aise di giovedģ 2 febbraio 2023
ROMA\ aise\ - Sarą in tutte le librerie italiane dal 17 febbraio per Oltre edizioni “Ma io in guerra non ci volevo andare. Fiume-Mülhdorf/Dachau e ritorno (1944-1954)” (pp.122, euro 16). Antonio Zorco, detto Nino, č l’autore di questo libro di memorie centrate...
di aise
ROMA\ aise\ - Sarà in tutte le librerie italiane dal 17 febbraio per Oltre edizioni “Ma io in guerra non ci volevo andare. Fiume-Mülhdorf/Dachau e ritorno (1944-1954)” (pp.122, euro 16). Antonio Zorco, detto Nino, è l’autore di questo libro di memorie centrate soprattutto sul suo arresto, nell’agosto del 1944, da parte dei tedeschi, sulla sua detenzione ai lavori forzati nel campo di concentramento di Mühldorf dal 9 settembre 1944 al 4 agosto 1945 e sull’immediato dopoguerra, quando, tornato a Fiume, la sua città natale, la trova occupata dalle forze jugoslave e vede i suoi vecchi amici d’infanzia un po’ alla volta andarsene in esilio, chi clandestinamente, come farà una delle sue due sorelle non appena sposata con uno dei suoi migliori amici, chi legalmente, dopo essersi visto espropriare tutti i beni dal potere comunista, chi suicidandosi. Anni che risultano fondamentali per capire, attraverso le drammatiche vicende personali di un tranquillo uomo qualunque, cosa è successo a Fiume e nella Venezia Giulia, in generale, negli anni della guerra in seguito all'occupazione prima tedesca e poi jugoslava. Quel progressivo sentirsi stranieri in casa propria dove, nel giro di pochi mesi, a prendere il sopravvento in città in maniera del tutto inarrestabile, agli ordini di Belgrado, è altra gente, con un’altra lingua e cultura, altri costumi, dando così avvio a un processo di cambiamento radicale dell’humus secolare proprio delle terre istriane e della città di Fiume, da far sentire estranei in casa propria i pochi italiani a cui è capitato di restare.
L’introduzione al libro di Diego Zandel, nipote dell’autore, e la postfazione dello storico Roberto Spazzali aiutano a contestualizzare le drammatiche vicende personali qui narrate nel quadro familiare da una parte e storico dall’altra di cui Antonio Zorco è stato, suo malgrado, uno delle migliaia e migliaia di protagonisti.
Antonio Zorco era nato a Fiume nel 1925 da genitori istriani di Visignano d'Istria. Renitente a qualsiasi leva, nel 1944 venne arrestato dai tedeschi e costretto, come civile, a entrare nell'organizzazione di lavori forzati Todt in Germania, nel campo di concentramento di Muhldorf, dove restò fino alla fine della guerra e da dove tornò con mezzi di fortuna e malato in Italia, nell'agosto del 1945. L'occupazione di Fiume da parte delle truppe titine ritardò il suo ritorno a casa. Quando gli fu possibile, scoprì la città svuotata di amici e parenti, di tanti fiumani, e abitata da gente proveniente dalle più diverse parti della ex Jugoslavia, condizione che lo fece sentire - come ha scritto nel suo diario - "uno straniero a casa propria". Due volte fece richiesta alle autorità jugoslave di andare in Italia: gli vennero negate. Lavorò per tutta la vita come tecnico nella raffineria di Fiume, dove morì nel 2003. (aise)
L’introduzione al libro di Diego Zandel, nipote dell’autore, e la postfazione dello storico Roberto Spazzali aiutano a contestualizzare le drammatiche vicende personali qui narrate nel quadro familiare da una parte e storico dall’altra di cui Antonio Zorco è stato, suo malgrado, uno delle migliaia e migliaia di protagonisti.
Antonio Zorco era nato a Fiume nel 1925 da genitori istriani di Visignano d'Istria. Renitente a qualsiasi leva, nel 1944 venne arrestato dai tedeschi e costretto, come civile, a entrare nell'organizzazione di lavori forzati Todt in Germania, nel campo di concentramento di Muhldorf, dove restò fino alla fine della guerra e da dove tornò con mezzi di fortuna e malato in Italia, nell'agosto del 1945. L'occupazione di Fiume da parte delle truppe titine ritardò il suo ritorno a casa. Quando gli fu possibile, scoprì la città svuotata di amici e parenti, di tanti fiumani, e abitata da gente proveniente dalle più diverse parti della ex Jugoslavia, condizione che lo fece sentire - come ha scritto nel suo diario - "uno straniero a casa propria". Due volte fece richiesta alle autorità jugoslave di andare in Italia: gli vennero negate. Lavorò per tutta la vita come tecnico nella raffineria di Fiume, dove morì nel 2003. (aise)
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