Sì, il paradiso terrestre esisteva. E anche se non c’entrano serpenti e mele l’abbiamo perduto, nel momento in cui abbiamo deciso di rompere il patto con la natura: quando abbiamo cominciato a scannarci per il possesso del nuovo bene primario dell’umanità, la terra coltivata. E’ una rivelazione clamorosa, quella dell’archeologo Klaus Schmidt, che ha scoperto in Turchia un tempio gigantesco, che risale a migliaia di anni prima delle Piramidi. Se fino a ieri si riteneva che, per costruire edifici così grandi e impegnativi, la civiltà fosse già in possesso dell’agricoltura, unico mezzo per mantenere sul posto centinaia o migliaia di operai, Schmidt ribalta il concetto: l’agricoltura è nata proprio per questo, per poter costruire quell’edificio religioso.
Una svolta radicale, che arriva con il saggio “Costruirono i primi templi”: l’edizione italiana è la prima in traduzione, quattro anni dopo quella tedesca. In altri Paesi il libro uscirà in settembre, ma non è ancora prevista un’uscita in lingua inglese, pare per l’ostilità delle élite archeologiche anglosassoni, che mal digeriscono l’idea di dover rivedere completamente la ricostruzione della storia dell’umanità fin qui accettata. Tutto nasce a Göbekli Tepe (la “collina panciuta”), che secondo l’archeologo sudafricano David Lewis-Williams è «il più importante sito archeologico del mondo». Scambiato per “cimitero medievale” negli anni ’60 da una prima spedizione americana, il sito è stato identificato con precisione solo nel 1994 da Klaus Schmidt, del celebre Istituto archeologico di Berlino.
Göbekli Tepe, scrive Alex Saragosa sul “Venerdì di Repubblica”, è un modesto rilievo a nord della città turca di Urfa, vicino al confine siriano. La zona è la parte più settentrionale della cosiddetta “mezzaluna fertile”, l’area compresa fra Palestina, Turchia sud-orientale e Iraq. Qui, circa undicimila anni fa, tribù di cacciatori iniziarono a raccogliere e poi piantare cereali selvatici, inventando così l’agricoltura, e diedero il via a una serie di innovazioni – scrittura, città, monumenti, Stati – che avrebbero cambiato il destino dell’umanità. Nel ’94, continua Saragosa, Schmidt capì che i reperti scambiati per “lapidi tombali” erano in realtà pilastri a T neolitici, cioè rappresentazioni stilizzate di persone, talvolta con volti, mani e una sorta di stola scolpiti. Ce n’erano a decine, dai due ai sette metri di lunghezza.
Nelle successive stagioni di scavo, prosegue il “Venerdì”, Schmidt e i colleghi turchi hanno dissotterrato e ricostruito quattro grandi cerchi megalitici, dai dieci ai trenta metri di diametro, composti da 43 pilastri a T e muri a secco, decorati da centinaia di bassorilievi, con serpenti, volpi, avvoltoi, cinghiali, gru, leoni, asini, tori, anatre, ibis, insetti, ragni e scorpioni. «In pratica, uno zoo dell’età della pietra», dice Schmidt, «anche se alcune figure potrebbero rappresentare sciamani che danzano vestiti da animali». Sono state anche trovate statuette di uomini con il membro eretto, stipiti decorati con animali in altorilievo, misteriose cornici e anelli in calcare, mentre indagini con il geo-radar hanno rivelato che sulla collina sono sepolti altri sedici cerchi.
«Il vero shock – spiega Saragosa – è arrivato dalla datazione delle ossa degli animali trovati nei vari strati archeologici, da cui si è scoperto che la realizzazione di Göbekli Tepe è iniziata undicimila anni fa, ed è continuata per 1500 anni, quando tutto è stato sepolto». In altre parole, quando i faraoni costruivano le piramidi di Giza e i celti Stonehenge, i cerchi megalitici di Göbekli Tepe erano già vecchi di sei-settemila anni. «I blocchi di calcare dei pilastri (anche di cinquanta tonnellate l’uno) sono stati estratti e scolpiti da migliaia di persone che non solo non conoscevano ancora ruota, ceramica o metalli, ma non avevano neanche inventato l’agricoltura o l’allevamento», rivela Schmidt. «Difatti abbiamo trovato sul posto solo punte di freccia e mucchi di ossa di animali selvatici, soprattutto gazzelle».
Proprio questo aspetto della scoperta contrasta completamente con quanto si era sempre creduto: e cioè che l’agricoltura, con il surplus di cibo che produce, fosse la condizione necessaria per realizzare grandi monumenti, attraverso l’amministrazione e il coordinamento di un governo centrale. Ma le sorprese non finiscono qui, continua Saragosa: sui pilastri, sotto le immagini principali, si trovano combinazioni di figure animali e simboli come la mezzaluna, il cerchio o una sorta di “h”. «L’aspetto richiama fortemente quello dei geroglifici egizi», dice Schmidt. «Probabilmente si tratta di pittogrammi, dai quali le persone del luogo potevano trarre informazioni. Insomma, l’idea di base della scrittura risulta anticipata di migliaia di anni».
Ma a cosa serviva questo complesso monumentale? «È ormai impossibile ricostruire il mondo simbolico e spirituale degli uomini di Göbekli Tepe, ma tutto, lì, parla di sacro», spiega l’aercheologo tedesco. «L’assenza di raffigurazioni femminili (persino gli animali delle immagini sono maschi) e la predominanza di rappresentazioni di specie pericolose o legate alla morte violenta, così come le statuette falliche, mi fanno pensare che si trattasse di un tempio per i defunti, forse anche un luogo iniziatico, dove i giovani apprendevano i miti». Una sorta di cattedrale neolitica, dunque, capostipite di tutti i luoghi di culto dell’umanità.
Le enormi dimensioni dell’impresa, secondo Schmidt, devono aver prodotto un “effetto collaterale” sconvolgente. «Per mantenere le migliaia di persone che costruivano il monumento, a un certo punto la caccia non deve essere più bastata. A pochi chilometri da Göbekli Tepe c’è il monte Karaca Da, il luogo dove sono stati rinvenuti i capostipiti selvatici del grano coltivato. Da quei campi naturali di cereali gli uomini devono aver cominciato a raccogliere i semi, per avere un cibo abbondante e facile da conservare. Poi, dalla raccolta, si è passati alla coltivazione». Sempre secondo Schmidt, è stato quindi il primo dei monumenti umani ad aver spinto verso l’agricoltura, e non questa verso i monumenti, come si pensava.
Nel mondo spopolato uscito da appena due millenni dalla glaciazione, Göbekli Tepe, con la sua ricchezza di acque, pascoli, foreste e prede, doveva essere il paradiso dei cacciatori-raccoglitori. «Nel momento in cui fu inventata l’agricoltura, per quel paradiso fu però la fine», scrive Alex Saragosa: «Gli uomini, fino ad allora in equilibrio con l’ambiente, cominciarono ad addomesticare o sterminare gli animali che minacciavano i raccolti, a tagliare i boschi, dissodare i terreni, bruciare erbe selvatiche e costruire villaggi vicino ai campi». La società primitiva era probabilmente egualitaria, ma la competizione per la terra coltivata ha finito per stratificarla in contadini, guerrieri, capi e sacerdoti. «Comparvero conflitti per la terra, schiavitù, epidemie. E nuovi sanguinari dèi scalzarono gli idoli animali. A un certo punto la nuova società agricola deve aver deciso di cancellare l’antico santuario sotto metri di terra». Archiviato l’Eden, l’uomo è così entrato nell’era dell’«e tu coltiverai la terra con il sudore della fronte».
(Il libro: Klaus Schmidt, “Costruirono i primi templi”, Edizioni Oltre, 286 pagine, euro 24,50).
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