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ARIANNAEDITRICE.IT: La Stonehenge della Turchia cambia la storia del Neolitico
 di mercoled 15 giugno 2011


Il complesso di Göbekli Tepe risale al 10 mila avanti Cristo mentre le piramidi di Giza sono del 2600 a.C. e Stonehenge del 2000 a. C. I 40 monoliti (alcuni di 16 tonnellate) sono disposti in quattro cerchi principali: sono decorati con figure di animali di raffinata fattura
Gli scavi sono condotti da Klaus Schmidt del Deutsches Archaeologisches Institut di Berlino In Italia è appena uscito il suo libro «Costruirono i primi templi» (Oltre Edizioni)

Quando nel 1994 l’archeologo tedesco Klaus Schmidt si imbatte in quella che con un nome stravagante i curdi della Turchia sudorientale chiamano «La collina con la pancia», è alla ricerca di qualcosa di «succoso», in termini archeologici, qualcosa che non gli faccia battere piste già consumate. La zona è una miniera di ritrovamenti e Göbekli Tepe è nota agli studiosi fin dagli Anni 60, ma considerata «senza particolare interesse». Il cumulo di terra dalle forme non del tutto naturali può al massimo nascondere qualche insediamento del Neolitico. Schmidt si convince che c’è sotto qualcosa di più complesso: «C’erano troppi utensili in pietra per non capirlo». Non immagina che sta per imbattersi nel più importante sito dell’età della pietra mai scoperto. «La collina con la pancia» è destinata a cambiare per sempre le nostre conoscenze, e le idee, sulla nascita della civiltà.

Göbekli Tepe è vecchio di almeno 12 mila anni. Siamo nel Neolitico «preceramico», senza oggetti in terracotta, l’età dei cacciatori raccoglitori, degli utensili in pietra, ma soprattutto dei primi animali domestici e delle primissime coltivazioni di cereali. I passi iniziali di un processo «culturale» che porteranno alla comparsa, 6 mila anni dopo, della scrittura, delle città, della civiltà umana come la conosciamo oggi. Ma fra gli ziggurat babilonesi, le piramidi egiziane, e i cacciatori-raccoglitori del Neolitico, c’è un abisso, 5 o 6 millenni. Göbekli Tepe ha dimostrato che quell’abisso non è così profondo. E che i nostri cacciatori-raccoglitori erano un popolo molto più sofisticato, propenso all’arte e alle speculazioni.
In più avevano «capacità tecniche così sorprendenti» da poter tagliare, incidere e trasportare 40 monoliti, alcuni pesanti 16 tonnellate, sulla «collina con la pancia» per costruire il più antico tempio mai scoperto, con le pietre scolpite con figure di animali che formano quattro cerchi e che un tempo facevano da colonne a edifici straordinari. Una gigantesca Stonehenge della Mesopotamia. Ottomila anni prima. «Gö bekli Tepe è sorprendentemente antica - conferma Schmidt -. Siamo intorno al 10 mila a.C., prima della ceramica e della ruota. Basti pensare che Stonehenge è del 2000 a.C. In più abbiamo dimostrato che non si tratta di un sito solo civile, bensì religioso, il più antico tempio della storia. Indica che i cacciatori-raccoglitori erano capaci di arte e speculazione, qualcosa che non era mai stato immaginato prima».
La scoperta di Schmidt, considerata «la più importante per l’epoca neolitica degli ultimi 50 anni» e raccontata in prima persona nel saggio «Costruirono i primi templi» appena tradotto in Italia (sarà presentato oggi dall’autore all’auditorium dell’Acquario di Genova, alle 17 e 30), va oltre le aspettative dell’ambizioso archeologo e necessita di un lavoro di équipe: al di là della complessità degli scavi, c’è bisogno di fondi per la copertura del sito, perché l’esposizione all’aria aperta, dopo millenni, non lo danneggi, mentre storici e paleontologi devono contribuire a decifrare il complesso monumentale.
Le domande si moltiplicano. Perché affrontare un’impresa simile, che richiedeva enormi investimenti di energia, squadre organizzate per i lavori, gruppi che procurassero cibo per tutti, anni di impegno? Che cosa volevano significare, celebrare gli uomini di Göbekli Tepe? «Credo che celebri la cattura, lo stile di vita dei cacciatoriraccoglitori - ipotizza Schmidt -. E perché non dovrebbe? Era una vita ricca e comoda, e offriva loro abbastanza tempo libero per dedicarsi alla scultura». In effetti, studi per esempio sui Boscimani in Africa, dimostrano che i cacciatori-raccoglitori «lavorano» soltanto 2-4 ore al giorno, sufficienti a procurarsi da vivere.
Ma le cose erano destinare a cambiare. «Riunirsi a scopi religiosi significa che avevano necessità di nutrire più persone - spiega Schmidt -. Così cominciarono a coltivare le erbe selvatiche». Era il passaggio all’agricoltura e nei dintorni di Göbekli Tepe sono stati trovati semi di Triticum monococcum, precursore dei cereali. E ci sono prove che i maiali vennero addomesticati nella regione, nella stessa epoca. È l’inizio della «rivoluzione del Neolitico», che porterà all’agricoltura e alla prima esplosione demografica. Finora gli studiosi hanno attribuito la svolta a un cambiamento climatico, a stagioni più calde che favorirono attorno al X millennio a. C. la coltivazione dei cereali. Göbekli Tepe, però, potrebbe dare una nuova lettura.
Lo spettacolare complesso, i raffinati bassorilievi visibili anche da lontano, potrebbero aver attirato gruppi sempre più numerosi di cacciatori-raccoglitori. La curiosità si sarebbe poi trasformata in culto. I pellegrinaggi al tempio, forse, sono diventati l’equivalente di quelli odierni alla Mecca o al Vaticano. E attorno al sito si sarebbe formata una società più complessa. Il preludio delle città. Schmidt non esclude questo tipo di speculazioni, anche se respinge interpretazioni più fantasiose. Göbekli Tepe venne sommersa da un fiume di fango, una tremenda alluvione. Qualcuno, specie in America, ci ha visto la prova del Diluvio universale. La «collina con la pancia» era il Giardino dell’Eden? Troppo anche per Schmidt: «È solo un fantasia».

[leggi l'articolo originale su www.ariannaeditrice.it]


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Il complesso di Göbekli Tepe risale al 10 mila avanti Cristo mentre le piramidi di Giza sono del 2600 a.C. e Stonehenge del 2000 a. C. I 40 monoliti (alcuni di 16 tonnellate) sono disposti in quattro cerchi principali: sono decorati con figure di animali di raffinata fattura
Gli scavi sono condotti da Klaus Schmidt del Deutsches Archaeologisches Institut di Berlino In Italia è appena uscito il suo libro «Costruirono i primi templi» (Oltre Edizioni)

Quando nel 1994 l’archeologo tedesco Klaus Schmidt si imbatte in quella che con un nome stravagante i curdi della Turchia sudorientale chiamano «La collina con la pancia», è alla ricerca di qualcosa di «succoso», in termini archeologici, qualcosa che non gli faccia battere piste già consumate. La zona è una miniera di ritrovamenti e Göbekli Tepe è nota agli studiosi fin dagli Anni 60, ma considerata «senza particolare interesse». Il cumulo di terra dalle forme non del tutto naturali può al massimo nascondere qualche insediamento del Neolitico. Schmidt si convince che c’è sotto qualcosa di più complesso: «C’erano troppi utensili in pietra per non capirlo». Non immagina che sta per imbattersi nel più importante sito dell’età della pietra mai scoperto. «La collina con la pancia» è destinata a cambiare per sempre le nostre conoscenze, e le idee, sulla nascita della civiltà.

Göbekli Tepe è vecchio di almeno 12 mila anni. Siamo nel Neolitico «preceramico», senza oggetti in terracotta, l’età dei cacciatori raccoglitori, degli utensili in pietra, ma soprattutto dei primi animali domestici e delle primissime coltivazioni di cereali. I passi iniziali di un processo «culturale» che porteranno alla comparsa, 6 mila anni dopo, della scrittura, delle città, della civiltà umana come la conosciamo oggi. Ma fra gli ziggurat babilonesi, le piramidi egiziane, e i cacciatori-raccoglitori del Neolitico, c’è un abisso, 5 o 6 millenni. Göbekli Tepe ha dimostrato che quell’abisso non è così profondo. E che i nostri cacciatori-raccoglitori erano un popolo molto più sofisticato, propenso all’arte e alle speculazioni.
In più avevano «capacità tecniche così sorprendenti» da poter tagliare, incidere e trasportare 40 monoliti, alcuni pesanti 16 tonnellate, sulla «collina con la pancia» per costruire il più antico tempio mai scoperto, con le pietre scolpite con figure di animali che formano quattro cerchi e che un tempo facevano da colonne a edifici straordinari. Una gigantesca Stonehenge della Mesopotamia. Ottomila anni prima. «Gö bekli Tepe è sorprendentemente antica - conferma Schmidt -. Siamo intorno al 10 mila a.C., prima della ceramica e della ruota. Basti pensare che Stonehenge è del 2000 a.C. In più abbiamo dimostrato che non si tratta di un sito solo civile, bensì religioso, il più antico tempio della storia. Indica che i cacciatori-raccoglitori erano capaci di arte e speculazione, qualcosa che non era mai stato immaginato prima».
La scoperta di Schmidt, considerata «la più importante per l’epoca neolitica degli ultimi 50 anni» e raccontata in prima persona nel saggio «Costruirono i primi templi» appena tradotto in Italia (sarà presentato oggi dall’autore all’auditorium dell’Acquario di Genova, alle 17 e 30), va oltre le aspettative dell’ambizioso archeologo e necessita di un lavoro di équipe: al di là della complessità degli scavi, c’è bisogno di fondi per la copertura del sito, perché l’esposizione all’aria aperta, dopo millenni, non lo danneggi, mentre storici e paleontologi devono contribuire a decifrare il complesso monumentale.
Le domande si moltiplicano. Perché affrontare un’impresa simile, che richiedeva enormi investimenti di energia, squadre organizzate per i lavori, gruppi che procurassero cibo per tutti, anni di impegno? Che cosa volevano significare, celebrare gli uomini di Göbekli Tepe? «Credo che celebri la cattura, lo stile di vita dei cacciatoriraccoglitori - ipotizza Schmidt -. E perché non dovrebbe? Era una vita ricca e comoda, e offriva loro abbastanza tempo libero per dedicarsi alla scultura». In effetti, studi per esempio sui Boscimani in Africa, dimostrano che i cacciatori-raccoglitori «lavorano» soltanto 2-4 ore al giorno, sufficienti a procurarsi da vivere.
Ma le cose erano destinare a cambiare. «Riunirsi a scopi religiosi significa che avevano necessità di nutrire più persone - spiega Schmidt -. Così cominciarono a coltivare le erbe selvatiche». Era il passaggio all’agricoltura e nei dintorni di Göbekli Tepe sono stati trovati semi di Triticum monococcum, precursore dei cereali. E ci sono prove che i maiali vennero addomesticati nella regione, nella stessa epoca. È l’inizio della «rivoluzione del Neolitico», che porterà all’agricoltura e alla prima esplosione demografica. Finora gli studiosi hanno attribuito la svolta a un cambiamento climatico, a stagioni più calde che favorirono attorno al X millennio a. C. la coltivazione dei cereali. Göbekli Tepe, però, potrebbe dare una nuova lettura.
Lo spettacolare complesso, i raffinati bassorilievi visibili anche da lontano, potrebbero aver attirato gruppi sempre più numerosi di cacciatori-raccoglitori. La curiosità si sarebbe poi trasformata in culto. I pellegrinaggi al tempio, forse, sono diventati l’equivalente di quelli odierni alla Mecca o al Vaticano. E attorno al sito si sarebbe formata una società più complessa. Il preludio delle città. Schmidt non esclude questo tipo di speculazioni, anche se respinge interpretazioni più fantasiose. Göbekli Tepe venne sommersa da un fiume di fango, una tremenda alluvione. Qualcuno, specie in America, ci ha visto la prova del Diluvio universale. La «collina con la pancia» era il Giardino dell’Eden? Troppo anche per Schmidt: «È solo un fantasia».

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OGT newspaper
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02/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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