A novembre cadono le foglie, ma fioriscono i romanzi di Nada Gasic. L’undicesimo mese dell’anno è congeniale in Italia alla scrittrice croata.
A novembre del 2016, Oltre Edizioni pubblicò il suo thriller d’esordio, sei anni dopo dopo è toccato al secondo, La sottile trama dell’acqua, un volume di 422 pagine, edito dal marchio di Sestri Levante nella collana “Narrazioni”, diretta da Diego Zandel.
La traduzione è di Dubravka Brozovic ed è stato dato alle stampe col sostegno del Ministero della cultura della Repubblica di Croazia.
Laureata in sociologia e studi croati, Nada Gasic vive dal 1952 a Zagabria. Nell’anno scolastico 1975-1976 ha insegnato croato nell’Università Carolina di Praga e per due anni ha collaborato col Ministero della cultura ceca e tradotto Il buon soldato Schweik nella sua lingua. Il suo primo romanzo Un tranquillo viale alberato, in Italia ha meritato il premio DHK per il miglior libro d’esordio 2007.
Con Voda, pavutyna, il secondo, di cui stiamo parlando con il titolo La sottile trama dell’acqua, ha vinto nel 2010 il premio Vladimir Nazor per la letteratura.
Quelli di Nada sono thriller corali, surreali, conflittuali. Corali, perché coinvolgono, sollecitano, scatenano una quantità di soggetti: uomini e donne, giovani e vecchi, innocenti e colpevoli. Tanti, che l’autrice sente di doverli riprendere uno per uno in appendice al volume, indicandone il rispettivo futuro. Surreali, perché si sviluppano in habitat aperti eppure claustrofobici e sono articolati su vari piani temporali, a rimbalzo tra il passato e presenti diversi. Conflittuali, perché non descrivono una società unita, omogenea, pacifica. Non contemplano comunità coese, ancorché piccole. Non presentano famiglie compatte, ancor meno serene.
Da croata, è anche una denuncia della disunità e delle contraddizioni che serpeggiavano sotto l’apparente cemento della Federazione delle Repubbliche che costituivano la Jugoslavia di Josip Tito, una sommatoria di realtà etniche litigiose, tenuta insieme dall’unico collante della personalità unificante del maresciallo presidente. Infatti, alla morte del patriarca il castello di carte-Stato è venuto giù come un grande domino separatista, dalla Slovenia al Kosovo.
Gasic è impietosa nel denunciare tutto quello che avrebbe dovuto funzionare e non ha funzionato, per scongiurare i danni della grande alluvione del fiume Sava, che nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1964 inondò le zone meridionali di Zagabria (180mila abitanti) e distrusse o danneggiò 8676 case, causando diciassette vittime tra i cittadini.
Senza nessun allarme lanciato dalle autorità, le acque invasero il quartiere di Tresnjevica e costrinsero gli abitanti alla febbrile ricerca di salvezza, al buio pesto, a piedi, sotto gli ombrelli o perfino senza, spingendo biciclette sovraccariche, trascinando valigie di cartone e borse da spesa colme di oggetti salvati a casaccio, oppure a mani vuote. “Non si udiva alcun rumore”, scrive l’autrice, a parte le grida e il maligno vociare dell’acqua che invadeva ogni cosa. Era come se una belva avesse spalancato le fauci per ruggire, senza fine.
Per radio non si ascoltò fino a sera una sola parola sulla massa liquida ormai alle porte di Zagabria. Anche quando l’acqua stava invadendo le cantine nelle periferie, la gente temeva solo che le continue interruzioni della corrente impedissero di seguire l’episodio della serie Bonanza nei circoli e nelle poche case che all’epoca possedevano un televisore.
A dire il vero, quella notte il quartiere non sprofondò nel buio, visto che dal buio non era mai emerso, considerata la illuminazione sempre rarefatta lungo le strade. Fino a mezzanotte non si udì alcun suono. Due ore dopo, qualcuno uscì sotto la pioggia “e nella notte partì un grido”, seguìto dal frenetico bussare alle porte, da invocazioni “mamma” e da voci che maledicevano Tresnjevka e le tenebre. In autostrada, da troppo lontano perchè si distinguessero le parole, la milizia ordinava col megafono agli abitanti di abbandonare i locali seminterrati e a pian terreno. La gente avvertì solo confusamente quell’eco di allerta a distanza, dimenticando un istante dopo “la ragione di quel richiamo innaturale”. Tacquero anche le campane delle chiese, che a Zagabria suonavano l’allarme ad ogni alluvione.
Il disastro si portò via il marito di Anna e padre di Katarina, partorita nelle ore successive: Zdravko Firman venne ritrovato da un gommone militare non tanto distante da casa. Non si stabilì come il prestante ventisettenne fosse annegato.
Nel quartiere dovettero accontentarsi di due versioni. Una, incline al sacrificio del generoso eroe mentre cercava di svegliare “i semisordi e malvagi” coniugi Zgorelec (invece svegli e al sicuro, nel sottotetto, fino al ritiro dell’acqua).
L’altra insinuava che dalla guerra i genitori del giovane custodissero in soffitta uno scrigno con tesori ebrei non più reclamati e che Zdravko avesse cercato di portarli fuori in un pesante baule:
per poi annegarci insieme.
Le acque sono protagoniste. Coprono e scoprono tutto nel romanzo.
Un delitto, nel 2009, mette in moto la trama gialla, tanto ampia, sulle prime incoerente, progressivamente amalgamata dall’elemento liquido che invade ogni ambiente, ogni angolo, ogni piega.
Il comunicato della Questura di Zagabria: dopo la segnalazione di alcuni cittadini, il giorno 26 ottobre 2009 è avvenuto il ritrovamento di un corpo femminile privo di vita nei pressi del mercato di Tresnjevica. Sono in corso le procedure per scoprire l’identità della donna e la causa del decesso, al momento sconosciute. Le prove raccolte indicano una morte violenta. Vengono condotte indagini per trovare l’assassino e fare luce sulle circostanze del caso.
È la prima di due donne che non avranno un nome, le uniche tra le tante del romanzo di Nada Gasic.
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