CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
*La sottile trama dell’acqua* di Nada Gasic
sololibri.net di giovedģ 4 maggio 2023
Secondo romanzo, un altro social thriller edito in Italia come il primo a qualche anno dall’uscita in lingua croata, per la scrittrice di Zagabria che denuncia il grigiore della Jugoslava unita artificialmente da Tito

di Felice Laudadio

A novembre cadono le foglie, ma fioriscono i romanzi di Nada Gasic. L’undicesimo mese dell’anno è congeniale in Italia alla scrittrice croata.
A novembre del 2016, Oltre Edizioni pubblicò il suo thriller d’esordio, sei anni dopo dopo è toccato al secondo, La sottile trama dell’acqua, un volume di 422 pagine, edito dal marchio di Sestri Levante nella collana “Narrazioni”, diretta da Diego Zandel.
La traduzione è di Dubravka Brozovic ed è stato dato alle stampe col sostegno del Ministero della cultura della Repubblica di Croazia.

Laureata in sociologia e studi croati, Nada Gasic vive dal 1952 a Zagabria. Nell’anno scolastico 1975-1976 ha insegnato croato nell’Università Carolina di Praga e per due anni ha collaborato col Ministero della cultura ceca e tradotto Il buon soldato Schweik nella sua lingua. Il suo primo romanzo Un tranquillo viale alberato, in Italia ha meritato il premio DHK per il miglior libro d’esordio 2007.
Con Voda, pavutyna, il secondo, di cui stiamo parlando con il titolo La sottile trama dell’acqua, ha vinto nel 2010 il premio Vladimir Nazor per la letteratura.
Quelli di Nada sono thriller corali, surreali, conflittuali. Corali, perché coinvolgono, sollecitano, scatenano una quantità di soggetti: uomini e donne, giovani e vecchi, innocenti e colpevoli. Tanti, che l’autrice sente di doverli riprendere uno per uno in appendice al volume, indicandone il rispettivo futuro. Surreali, perché si sviluppano in habitat aperti eppure claustrofobici e sono articolati su vari piani temporali, a rimbalzo tra il passato e presenti diversi. Conflittuali, perché non descrivono una società unita, omogenea, pacifica. Non contemplano comunità coese, ancorché piccole. Non presentano famiglie compatte, ancor meno serene.
Da croata, è anche una denuncia della disunità e delle contraddizioni che serpeggiavano sotto l’apparente cemento della Federazione delle Repubbliche che costituivano la Jugoslavia di Josip Tito, una sommatoria di realtà etniche litigiose, tenuta insieme dall’unico collante della personalità unificante del maresciallo presidente. Infatti, alla morte del patriarca il castello di carte-Stato è venuto giù come un grande domino separatista, dalla Slovenia al Kosovo.

Gasic è impietosa nel denunciare tutto quello che avrebbe dovuto funzionare e non ha funzionato, per scongiurare i danni della grande alluvione del fiume Sava, che nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1964 inondò le zone meridionali di Zagabria (180mila abitanti) e distrusse o danneggiò 8676 case, causando diciassette vittime tra i cittadini.
Senza nessun allarme lanciato dalle autorità, le acque invasero il quartiere di Tresnjevica e costrinsero gli abitanti alla febbrile ricerca di salvezza, al buio pesto, a piedi, sotto gli ombrelli o perfino senza, spingendo biciclette sovraccariche, trascinando valigie di cartone e borse da spesa colme di oggetti salvati a casaccio, oppure a mani vuote. “Non si udiva alcun rumore”, scrive l’autrice, a parte le grida e il maligno vociare dell’acqua che invadeva ogni cosa. Era come se una belva avesse spalancato le fauci per ruggire, senza fine.

Per radio non si ascoltò fino a sera una sola parola sulla massa liquida ormai alle porte di Zagabria. Anche quando l’acqua stava invadendo le cantine nelle periferie, la gente temeva solo che le continue interruzioni della corrente impedissero di seguire l’episodio della serie Bonanza nei circoli e nelle poche case che all’epoca possedevano un televisore.

A dire il vero, quella notte il quartiere non sprofondò nel buio, visto che dal buio non era mai emerso, considerata la illuminazione sempre rarefatta lungo le strade. Fino a mezzanotte non si udì alcun suono. Due ore dopo, qualcuno uscì sotto la pioggia “e nella notte partì un grido”, seguìto dal frenetico bussare alle porte, da invocazioni “mamma” e da voci che maledicevano Tresnjevka e le tenebre. In autostrada, da troppo lontano perchè si distinguessero le parole, la milizia ordinava col megafono agli abitanti di abbandonare i locali seminterrati e a pian terreno. La gente avvertì solo confusamente quell’eco di allerta a distanza, dimenticando un istante dopo “la ragione di quel richiamo innaturale”. Tacquero anche le campane delle chiese, che a Zagabria suonavano l’allarme ad ogni alluvione.

Il disastro si portò via il marito di Anna e padre di Katarina, partorita nelle ore successive: Zdravko Firman venne ritrovato da un gommone militare non tanto distante da casa. Non si stabilì come il prestante ventisettenne fosse annegato.
Nel quartiere dovettero accontentarsi di due versioni. Una, incline al sacrificio del generoso eroe mentre cercava di svegliare “i semisordi e malvagi” coniugi Zgorelec (invece svegli e al sicuro, nel sottotetto, fino al ritiro dell’acqua).
L’altra insinuava che dalla guerra i genitori del giovane custodissero in soffitta uno scrigno con tesori ebrei non più reclamati e che Zdravko avesse cercato di portarli fuori in un pesante baule:

per poi annegarci insieme.

Le acque sono protagoniste. Coprono e scoprono tutto nel romanzo.
Un delitto, nel 2009, mette in moto la trama gialla, tanto ampia, sulle prime incoerente, progressivamente amalgamata dall’elemento liquido che invade ogni ambiente, ogni angolo, ogni piega.

Il comunicato della Questura di Zagabria: dopo la segnalazione di alcuni cittadini, il giorno 26 ottobre 2009 è avvenuto il ritrovamento di un corpo femminile privo di vita nei pressi del mercato di Tresnjevica. Sono in corso le procedure per scoprire l’identità della donna e la causa del decesso, al momento sconosciute. Le prove raccolte indicano una morte violenta. Vengono condotte indagini per trovare l’assassino e fare luce sulle circostanze del caso.
È la prima di due donne che non avranno un nome, le uniche tra le tante del romanzo di Nada Gasic.



leggi l'articolo integrale su sololibri.net
SCHEDA LIBRO   |   Segnala  |  Ufficio Stampa


CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
sololibri.net - giovedģ 4 maggio 2023
Secondo romanzo, un altro social thriller edito in Italia come il primo a qualche anno dall’uscita in lingua croata, per la scrittrice di Zagabria che denuncia il grigiore della Jugoslava unita artificialmente da Tito

di Felice Laudadio

A novembre cadono le foglie, ma fioriscono i romanzi di Nada Gasic. L’undicesimo mese dell’anno è congeniale in Italia alla scrittrice croata.
A novembre del 2016, Oltre Edizioni pubblicò il suo thriller d’esordio, sei anni dopo dopo è toccato al secondo, La sottile trama dell’acqua, un volume di 422 pagine, edito dal marchio di Sestri Levante nella collana “Narrazioni”, diretta da Diego Zandel.
La traduzione è di Dubravka Brozovic ed è stato dato alle stampe col sostegno del Ministero della cultura della Repubblica di Croazia.

Laureata in sociologia e studi croati, Nada Gasic vive dal 1952 a Zagabria. Nell’anno scolastico 1975-1976 ha insegnato croato nell’Università Carolina di Praga e per due anni ha collaborato col Ministero della cultura ceca e tradotto Il buon soldato Schweik nella sua lingua. Il suo primo romanzo Un tranquillo viale alberato, in Italia ha meritato il premio DHK per il miglior libro d’esordio 2007.
Con Voda, pavutyna, il secondo, di cui stiamo parlando con il titolo La sottile trama dell’acqua, ha vinto nel 2010 il premio Vladimir Nazor per la letteratura.
Quelli di Nada sono thriller corali, surreali, conflittuali. Corali, perché coinvolgono, sollecitano, scatenano una quantità di soggetti: uomini e donne, giovani e vecchi, innocenti e colpevoli. Tanti, che l’autrice sente di doverli riprendere uno per uno in appendice al volume, indicandone il rispettivo futuro. Surreali, perché si sviluppano in habitat aperti eppure claustrofobici e sono articolati su vari piani temporali, a rimbalzo tra il passato e presenti diversi. Conflittuali, perché non descrivono una società unita, omogenea, pacifica. Non contemplano comunità coese, ancorché piccole. Non presentano famiglie compatte, ancor meno serene.
Da croata, è anche una denuncia della disunità e delle contraddizioni che serpeggiavano sotto l’apparente cemento della Federazione delle Repubbliche che costituivano la Jugoslavia di Josip Tito, una sommatoria di realtà etniche litigiose, tenuta insieme dall’unico collante della personalità unificante del maresciallo presidente. Infatti, alla morte del patriarca il castello di carte-Stato è venuto giù come un grande domino separatista, dalla Slovenia al Kosovo.

Gasic è impietosa nel denunciare tutto quello che avrebbe dovuto funzionare e non ha funzionato, per scongiurare i danni della grande alluvione del fiume Sava, che nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1964 inondò le zone meridionali di Zagabria (180mila abitanti) e distrusse o danneggiò 8676 case, causando diciassette vittime tra i cittadini.
Senza nessun allarme lanciato dalle autorità, le acque invasero il quartiere di Tresnjevica e costrinsero gli abitanti alla febbrile ricerca di salvezza, al buio pesto, a piedi, sotto gli ombrelli o perfino senza, spingendo biciclette sovraccariche, trascinando valigie di cartone e borse da spesa colme di oggetti salvati a casaccio, oppure a mani vuote. “Non si udiva alcun rumore”, scrive l’autrice, a parte le grida e il maligno vociare dell’acqua che invadeva ogni cosa. Era come se una belva avesse spalancato le fauci per ruggire, senza fine.

Per radio non si ascoltò fino a sera una sola parola sulla massa liquida ormai alle porte di Zagabria. Anche quando l’acqua stava invadendo le cantine nelle periferie, la gente temeva solo che le continue interruzioni della corrente impedissero di seguire l’episodio della serie Bonanza nei circoli e nelle poche case che all’epoca possedevano un televisore.

A dire il vero, quella notte il quartiere non sprofondò nel buio, visto che dal buio non era mai emerso, considerata la illuminazione sempre rarefatta lungo le strade. Fino a mezzanotte non si udì alcun suono. Due ore dopo, qualcuno uscì sotto la pioggia “e nella notte partì un grido”, seguìto dal frenetico bussare alle porte, da invocazioni “mamma” e da voci che maledicevano Tresnjevka e le tenebre. In autostrada, da troppo lontano perchè si distinguessero le parole, la milizia ordinava col megafono agli abitanti di abbandonare i locali seminterrati e a pian terreno. La gente avvertì solo confusamente quell’eco di allerta a distanza, dimenticando un istante dopo “la ragione di quel richiamo innaturale”. Tacquero anche le campane delle chiese, che a Zagabria suonavano l’allarme ad ogni alluvione.

Il disastro si portò via il marito di Anna e padre di Katarina, partorita nelle ore successive: Zdravko Firman venne ritrovato da un gommone militare non tanto distante da casa. Non si stabilì come il prestante ventisettenne fosse annegato.
Nel quartiere dovettero accontentarsi di due versioni. Una, incline al sacrificio del generoso eroe mentre cercava di svegliare “i semisordi e malvagi” coniugi Zgorelec (invece svegli e al sicuro, nel sottotetto, fino al ritiro dell’acqua).
L’altra insinuava che dalla guerra i genitori del giovane custodissero in soffitta uno scrigno con tesori ebrei non più reclamati e che Zdravko avesse cercato di portarli fuori in un pesante baule:

per poi annegarci insieme.

Le acque sono protagoniste. Coprono e scoprono tutto nel romanzo.
Un delitto, nel 2009, mette in moto la trama gialla, tanto ampia, sulle prime incoerente, progressivamente amalgamata dall’elemento liquido che invade ogni ambiente, ogni angolo, ogni piega.

Il comunicato della Questura di Zagabria: dopo la segnalazione di alcuni cittadini, il giorno 26 ottobre 2009 è avvenuto il ritrovamento di un corpo femminile privo di vita nei pressi del mercato di Tresnjevica. Sono in corso le procedure per scoprire l’identità della donna e la causa del decesso, al momento sconosciute. Le prove raccolte indicano una morte violenta. Vengono condotte indagini per trovare l’assassino e fare luce sulle circostanze del caso.
È la prima di due donne che non avranno un nome, le uniche tra le tante del romanzo di Nada Gasic.



leggi l'articolo integrale su sololibri.net
SCHEDA LIBRO   |   Stampa   |   Segnala  |  Ufficio Stampa

TUTTI GLI EVENTI

OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

LEGGI TUTTO