L'UNITA' di lunedì 30 maggio 2016
ĞIstruzioni per l'Usağ di Seba Pezzani
La signora felice perché vedrà il Papa, la comunità degli Amish, le luci dei tanti motel. Le vie degli Usa sono luoghi sempre ricchi di sorprese anche per una rock band in là con gli anni
«Perché, come dice Bruce Springsteen, il più americano tra tutti i cantautori americani di qualità, "la notte appartiene agli amanti".
Sarà. Forse. Certo è che appartiene pure a generazioni ai scrittori, a maggior ragione se si tratta di scrittori-viaggiatori. Dopo ore passate nei posti più strani e, soprattutto, sulla strada alla ricerca di spunti interessanti, sono quasi sempre state le luci soffuse di un motel o quelle rosee di un crepuscolo romantico a far uscire grandi pagine dalle loro penne e dai loro cuori.
Però, contrariamente alle abitudini, inizio ad affrontare le pagine bianche del mio taccuino alle sei e trenta del mattino, in un albergo di Norristown, poco più che un puntino anonimo sulla cartina, nei sobborghi più lontani di Philadelphia. Per predispormi al viaggio che dall'Italia avrebbe portato il sottoscritto e un'allegra brigata di altri dieci elementi negli USA, stavolta ho deciso di fare uno strappo al cerimoniale e di sperimentare la melatonina, che alcuni sostengono faccia miracoli nel ripristinare quel ritmo del sonno che un trasferimento intercontinentale scompagina pesantemente.
In effetti, ho dormito per buona parte del volo, ma la stanchezza è comunque affiorata e stamattina, alle sei, i miei occhi si sono aperti di colpo e hanno deciso che la giornata era iniziata. E dire che, di norma, non sono mattiniero.
Eccomi, dunque, impegnato a scrivere di prima mattina. Ieri sera ho perso gli occhiali, il taccuino e la penna al ristorante, ennesimo disastro di una lunga, preoccupante serie di piccoli, grandi rovesci alla cui insegna pare essersi aperta la seconda trasferta americana dei RAB4.
Siamo rocker, vero, ma non più di primo e nemmeno di secondo pelo e certe cose fanno pericolosamente scricchiolare certezze maturate dopo decenni di musica suonata insieme.
Dannazione, gli occhiali! Le parole che la mia pessima calligrafia sta riversando sui fogli danzano davanti ai miei occhi come fantasmini impertinenti, ammiccando e prendendosi gioco di me. Come se volessero dirmi, "Caro, vecchio rocker, non hai più il fisico per certe cose". Il fisico e, magari, pure la testa. Come se non lo sapessi. E, mentre scrivo queste prime considerazioni e faccio una colazione piuttosto deprimente o, forse, sono io a essere depresso per i primi, poco promettenti rovesci americani la televisione trasmette immagini di autentica distruzione, quella che l'uragano Joaquin ha portato con sé nel South Carolina, non lontano da Charleston, una delle prossime mete del nostro viaggio. C'è di che preoccuparsi, insomma.
Se il buongiorno si vede davvero dal mattino, il cielo plumbeo che ha accolto il mio risveglio la dice lunga. E l'aria da mensa aziendale della sala dove si fa colazione non migliora lo stato d'animo. Ma a distogliermi dai foschi presagi che stanno turbando le mie riflessioni pensa un'affabile americana che deve avere più o meno la mia età. Mi racconta qualcosa di sé. È in viaggio con il figliolo, anzi, con uno dei figlioli. Ne ha nove, mi spiega. Nove, santa polenta! Lei e suo marito sono ferventi cattolici. Come se essere cattolici sia automaticamente indice di grande prestanza sessuale e comporti, comunque, la necessità confessionale di esercitare tale prorompente vitalità. Monty Python – Il senso della vita docet. Mi dice che il figlio sta per fare un provino per una importante squadra di baseball delle superiori. Lo stesso ragazzo è pure un musicista e, quando scopre che io sono in giro con la mia band, mi fa sentire un brano elettronico da lui realizzato. Lo trovo gradevole. Sua madre mi dice di essersi iscritta a una lotteria per poter partecipare a una delle messe celebrate negli Stati Uniti da Papa Francesco e di aver provato grande emozione quando ha saputo di essere stata estratta.
Ci mettiamo in viaggio. La 176 è un'autostrada che collega l'Ohio e la Pennsylvania e noi ne percorreremo un bel tratto. Il territorio ondulato, costellato di pascoli verdissimi e boschi fitti, ricorda vagamente la Germania del sud. La scritta "Jesus saves" (Gesù ci salva) campeggia davanti a una chiesa e, mi viene da dire, meno male che ci pensa lui, perché non vedo altri che intendano farlo. Ci sono chiese ovunque, dalle denominazioni più singolari, talvolta improbabili. Da queste parti, il primo svalvolato che si svegli dopo una notte brava o dopo un sogno sballato e senta di aver ricevuto una chiamata dall'Altissimo può tranquillamente decidere di mettere su chiesa. Già, non casa. Chiesa. Sarà poi sua cura cercare di riempirla. Ma negli USA il regime di massimo liberismo vale tanto per l'imprenditoria privata quanto per quella del Signore.
Reverenda tu che reverendo anch'io.
Passiamo da Lancaster, il cuore della più numerosa comunità amish degli Stati Uniti. Gli amish. Già, quelli di Witness – Il testimone, fortunato film di Peter Weir con un ancora baldanzoso Harrison Ford. Si tratta di una congregazione protestante nata in Svizzera e poi stabilitasi in America nel Settecento. Sono parenti stretti dei mennoniti e dei quaccheri e si vestono più o meno come loro e, francamente, non è che me ne importi più di tanto della loro scelta isolazionista e un po' fuori tempo di fare a meno di elettricità, moderne tecnologie e motori a scoppio. E del fatto che detestino pure essere fotografati e parlino uno strano misto di inglese e dialetti mitteleuropei. La loro attività principale, oltre che seguire l'Antico Testamento più o meno alla lettera, è rappresentata da agricoltura, pastorizia e lavorazione del legno.
Mentre attraversiamo le campagne popolate dagli amish, Danilo sintonizza la radio su una stazione soul/funk che trasmette classici e cose più recenti. In fondo, siamo non lontani da Philadelphia e il "Philly Sound" che a me in verità non ha mai fatto impazzire, con atmosfere fin troppo vellutate e una sensualità talmente marcata da risultare quasi caricaturale qui è ancora di casa. Però, quest'idea del "Say it loud, I'm black and I'm proud" ("Ditelo forte, sono nero e ne vado fiero") fa da stridente contrasto con il verde dei prati e il bianco latte di chi lì ci abita.
Passiamo accanto a quella che ha l'aria di essere una chiesa, ma che da queste parti potrebbe tranquillamente essere un'autorimessa o che so. A farmi propendere per la prima sensazione è l'apparecchiata di croci bianche di legno sul prato antistante. Il tutto accompagnato da un cartello che fa da solenne didascalia: 1.000.000 di aborti! Seguito
da qualche pio improperio evangelico contro il demonio dell'aborto. Benvenuti nel paradiso in terra dell'evangelismo. Essere pro-aborto in certi posti non è una convinzione salutare e di medici che pratichino l'aborto e che hanno ricevuto pesanti intimidazioni ammesso che tali minacce non si siano trasformate in veri e propri atti di violenza o addirittura in omicidi belli e buoni se ne contano parecchi. Il noto filosofo australiano Peter Singer, che insegna etica a Princeton, New Jersey, deve fare attenzione quando si sposta negli USA perché qualche simpatico antiabortista gliel'ha giurata. Singer, che ho avuto modo di conoscere diversi anni fa, facendogli pure da interprete, mi raccontò di essere considerato il demonio da una cospicua fetta di evangelici integralisti per via delle sue posizioni abortiste, pro-eutanasia e animaliste. Insomma, Singer è una specie di icona del veganesimo, solo che, al contrario di molti suoi sostenitori, è mite e ragionevole e spacca il capello in quattro. Sarei curioso di incrociare i dati di appartenenza al veganesimo e all'evangelismo ortodosso: ne verrebbero forse fuori delle belle.
Ci fermiamo a fare benzina e il Magico si precipita ad acquistare la famigerata beef jerky, la carne secca tanto cara a Tex Willer e Kit Carson di bonelliana memoria. Se ne trova in abbondanza nei supermercati e in qualsiasi stazione di servizio, dove viene venduta in stick accanto alle caramelle. Non posso fare a meno di inorridire, ma mi fa piacere vedere un sorriso affacciarsi finalmente sul viso del Magico, che fino a questo momento mi è parso un po' a disagio nella nuova realtà americana.
Di fronte alla mia espressione schifata quando azzanna la prima strisciolina di carne disidratata, il Magico scuote la testa. "Senti da che pulpito vien la predica", dice, indicando il bicchierone di Dr Pepper, la mia bibita preferita, che sciaguatta tra cubetti di ghiaccio in abbondanza. "La schifezza che stai bevendo sa di Cocoina Colla." So che ve lo state chiedendo: ma quanti anni ha questo Magico? Parecchi, però confesso che ha perfettamente ragione. Lasciando perdere le baggianate di Facebook tipo, "Non sei stato bambino negli anni Settanta se non hai mai giocato con il Pongo o non hai fatto i collage con la Cocoina Colla" e via discorrendo, ma è proprio vero che l'odore della colla più in uso alle scuole elementari della mia e sua generazione era identica all'aroma di questa bevanda gasata. Che a me piace un sacco. Punto. Si vedono tante case mobili in vendita, di fatto container convertiti in vere e proprie abitazioni. E un discreto numero di americani non avrà mai modo di conoscere altra sistemazione.
È l'era dei social network. Meno male, mi sento di dire anche in questo caso, perché altrimenti chi mi avvertirebbe in tempo reale dei risultati del campionato di calcio? Nadia, la compagna del Magico che se n'è rimasta a Torino, mi comunica che la Juventus ha vinto.
Un tenue squarcio di luce in una giornata che risente pesantemente delle fatiche del giorno prima e, soprattutto, dei rovesci patiti in aeroporto quando abbiamo scoperto che Niccolò, almeno per il momento, non sarebbe stato della partita. Faremo di necessità virtù, ma un sorriso pieno tornerà solo quando ce lo vedremo ricomparire davanti. A dispetto di qualche scettico di troppo, io resto fiducioso.
La cosa dopo un po' è talmente grottesca da spingerci a disattivare il sonoro. Raggiungiamo la casa dell'amica che stasera ospiterà il nostro primo concerto, nel sobborgo di Delmont, e riabbracciamo Kasey Lansdale, che ci ha preceduti e che ci accompagnerà nella prima settimana in giro per gli Stati Uniti così come noi l'accompagneremo nei brani del suo CD su alcuni dei palchi da cui ci esibiremo.
Kasey è figlia di Joe R. Lansdale, uno dei romanzieri americani più popolari in Italia. La casa di Annette e di suo marito Tom è una bella villetta lungo l'arteria principale di Delmont, un sobborgo borghese come ce ne sono tanti in tutto il paese. La casetta sorge dirimpetto a un'altra casa che ospita il laboratorio dentistico di Annette. Suo marito Tom, invece, è un ingegnere. Quando ho saputo che avevano adottato Leia, una bimba proveniente dall'America centrale, il nome inizialmente non l'ho capito bene e ho pensato che fosse una storpiatura di Lea. In realtà, la bimba, che sfoggia un sorriso perenne in grado di riconciliarci con l'universo, si chiama proprio come la principessa della saga di Guerre Stellari. Mi è bastato scendere nello scantinato in cui fra poco scalderemo i nostri strumenti per capire che Annette e TOm sono due dei milioni (forse miliardi) di fanatici della serie creata da George Lucas. Nello scantinato vi sono teche contenenti numerosi gadget. La fantascienza non mi ha mai entusiasmato e, dunque, non so quasi nulla del gergo e dell'immaginario di Guerre Stellari, ma posso garantirvi che per gli americani questa saga è più di una interminabile serie cinematografica, essendosi davvero insinuata nella quotidianità. La mia ex-compagna stessa scuoteva spesso la testa di fronte alla mia ignoranza in materia. Non comprendeva come mai un appassionato di cultura pop americana come me non cogliesse la rilevanza di tale fenomeno e, almeno, in quel caso, aveva perfettamente ragione. Averne capito la significatività non fa di me un esperto di cultura a stelle e strisce, ma colma una piccola lacuna. Detto ciò, non me ne può importare meno di battaglie tra galassie, mostriciattoli più o meno raccapriccianti e amori impossibili e immateriali.
Il momento a lungo desiderato è giunto. Il nostro primo pensiero non può non andare all'assenza di Niccolò, ma dovremo fare a meno di lui. Il pubblico, una manciata di amici e parenti di Annette e Tom, compresa Loretta, moglie del nostro amicone Fabrizio (che non può essere della partita perché impegnato in questo momento nel trasloco di mobili e suppellettili da Denver a Pittsburgh), rende l'atmosfera quanto mai informale, ma noi cerchiamo di darci dentro come se fossimo in un locale vero. È il "battesimo" americano del Magico, che non aveva potuto prendere parte alla nostra precedente gita negli USA. Il Magico non è un soggetto particolarmente emotivo e, dunque, il suo esordio a stelle e strisce non lo vive con terrore.
IL LIBRO
Dentro la provincia degli States "Domenica 4 Reverendiamoci": è il capitolo che pubblichiamo estratto di un libro sulle strade d'America scritto da uno scrittore, giornalista, traduttore e chitarrista che quelle vie, genti e terre conosce bene, Seba Pezzani. In questo suo "Istruzioni per l'Usa" (Oltre edizioni, 14 euro, 170
pagine) Pezzani raccoglie spunti di vita americana, con spirito d'osservazione, acume, affetto e pagine divertenti, e autoironiche, prendendo spunto da un tour con la sua rock band italiana «dalle radici americane», come ricordano le note di copertina, la RAB4.
Qui racconta l'America profonda, quella di provincia, tra fervori religiosi dei suoi abitanti, motel, piccoli inconvenienti e con Kasey Lansdale come vocalist della band e guida del gruppo. La quale, oltre a essere cantante, è figlia dello scrittore Joe R. Lansdale che Seba Pezzani traduce in italiano. Che traduce anche autori come Jeffrey Deaver, Ruth Rendell, Anne Perry.
Ha pubblicato il libro di viaggi "Americrazy".
Tra le molteplici attività, lo scrittore dirige il festival letterario e musicale che si tiene a Piacenza "Dal Mississippi al Po".
ISTRUZIONI PER L'USA
SEBA PEZZANI
14 euro, 170 pagine
Oltre Edizioni
L'UNITA' del 30.05.2016
«Perché, come dice Bruce Springsteen, il più americano tra tutti i cantautori americani di qualità, "la notte appartiene agli amanti".
Sarà. Forse. Certo è che appartiene pure a generazioni ai scrittori, a maggior ragione se si tratta di scrittori-viaggiatori. Dopo ore passate nei posti più strani e, soprattutto, sulla strada alla ricerca di spunti interessanti, sono quasi sempre state le luci soffuse di un motel o quelle rosee di un crepuscolo romantico a far uscire grandi pagine dalle loro penne e dai loro cuori.
Però, contrariamente alle abitudini, inizio ad affrontare le pagine bianche del mio taccuino alle sei e trenta del mattino, in un albergo di Norristown, poco più che un puntino anonimo sulla cartina, nei sobborghi più lontani di Philadelphia. Per predispormi al viaggio che dall'Italia avrebbe portato il sottoscritto e un'allegra brigata di altri dieci elementi negli USA, stavolta ho deciso di fare uno strappo al cerimoniale e di sperimentare la melatonina, che alcuni sostengono faccia miracoli nel ripristinare quel ritmo del sonno che un trasferimento intercontinentale scompagina pesantemente.
In effetti, ho dormito per buona parte del volo, ma la stanchezza è comunque affiorata e stamattina, alle sei, i miei occhi si sono aperti di colpo e hanno deciso che la giornata era iniziata. E dire che, di norma, non sono mattiniero.
Eccomi, dunque, impegnato a scrivere di prima mattina. Ieri sera ho perso gli occhiali, il taccuino e la penna al ristorante, ennesimo disastro di una lunga, preoccupante serie di piccoli, grandi rovesci alla cui insegna pare essersi aperta la seconda trasferta americana dei RAB4.
Siamo rocker, vero, ma non più di primo e nemmeno di secondo pelo e certe cose fanno pericolosamente scricchiolare certezze maturate dopo decenni di musica suonata insieme.
Dannazione, gli occhiali! Le parole che la mia pessima calligrafia sta riversando sui fogli danzano davanti ai miei occhi come fantasmini impertinenti, ammiccando e prendendosi gioco di me. Come se volessero dirmi, "Caro, vecchio rocker, non hai più il fisico per certe cose". Il fisico e, magari, pure la testa. Come se non lo sapessi. E, mentre scrivo queste prime considerazioni e faccio una colazione piuttosto deprimente o, forse, sono io a essere depresso per i primi, poco promettenti rovesci americani la televisione trasmette immagini di autentica distruzione, quella che l'uragano Joaquin ha portato con sé nel South Carolina, non lontano da Charleston, una delle prossime mete del nostro viaggio. C'è di che preoccuparsi, insomma.
Se il buongiorno si vede davvero dal mattino, il cielo plumbeo che ha accolto il mio risveglio la dice lunga. E l'aria da mensa aziendale della sala dove si fa colazione non migliora lo stato d'animo. Ma a distogliermi dai foschi presagi che stanno turbando le mie riflessioni pensa un'affabile americana che deve avere più o meno la mia età. Mi racconta qualcosa di sé. È in viaggio con il figliolo, anzi, con uno dei figlioli. Ne ha nove, mi spiega. Nove, santa polenta! Lei e suo marito sono ferventi cattolici. Come se essere cattolici sia automaticamente indice di grande prestanza sessuale e comporti, comunque, la necessità confessionale di esercitare tale prorompente vitalità. Monty Python – Il senso della vita docet. Mi dice che il figlio sta per fare un provino per una importante squadra di baseball delle superiori. Lo stesso ragazzo è pure un musicista e, quando scopre che io sono in giro con la mia band, mi fa sentire un brano elettronico da lui realizzato. Lo trovo gradevole. Sua madre mi dice di essersi iscritta a una lotteria per poter partecipare a una delle messe celebrate negli Stati Uniti da Papa Francesco e di aver provato grande emozione quando ha saputo di essere stata estratta.
Ci mettiamo in viaggio. La 176 è un'autostrada che collega l'Ohio e la Pennsylvania e noi ne percorreremo un bel tratto. Il territorio ondulato, costellato di pascoli verdissimi e boschi fitti, ricorda vagamente la Germania del sud. La scritta "Jesus saves" (Gesù ci salva) campeggia davanti a una chiesa e, mi viene da dire, meno male che ci pensa lui, perché non vedo altri che intendano farlo. Ci sono chiese ovunque, dalle denominazioni più singolari, talvolta improbabili. Da queste parti, il primo svalvolato che si svegli dopo una notte brava o dopo un sogno sballato e senta di aver ricevuto una chiamata dall'Altissimo può tranquillamente decidere di mettere su chiesa. Già, non casa. Chiesa. Sarà poi sua cura cercare di riempirla. Ma negli USA il regime di massimo liberismo vale tanto per l'imprenditoria privata quanto per quella del Signore.
Reverenda tu che reverendo anch'io.
Passiamo da Lancaster, il cuore della più numerosa comunità amish degli Stati Uniti. Gli amish. Già, quelli di Witness – Il testimone, fortunato film di Peter Weir con un ancora baldanzoso Harrison Ford. Si tratta di una congregazione protestante nata in Svizzera e poi stabilitasi in America nel Settecento. Sono parenti stretti dei mennoniti e dei quaccheri e si vestono più o meno come loro e, francamente, non è che me ne importi più di tanto della loro scelta isolazionista e un po' fuori tempo di fare a meno di elettricità, moderne tecnologie e motori a scoppio. E del fatto che detestino pure essere fotografati e parlino uno strano misto di inglese e dialetti mitteleuropei. La loro attività principale, oltre che seguire l'Antico Testamento più o meno alla lettera, è rappresentata da agricoltura, pastorizia e lavorazione del legno.
Mentre attraversiamo le campagne popolate dagli amish, Danilo sintonizza la radio su una stazione soul/funk che trasmette classici e cose più recenti. In fondo, siamo non lontani da Philadelphia e il "Philly Sound" che a me in verità non ha mai fatto impazzire, con atmosfere fin troppo vellutate e una sensualità talmente marcata da risultare quasi caricaturale qui è ancora di casa. Però, quest'idea del "Say it loud, I'm black and I'm proud" ("Ditelo forte, sono nero e ne vado fiero") fa da stridente contrasto con il verde dei prati e il bianco latte di chi lì ci abita.
Passiamo accanto a quella che ha l'aria di essere una chiesa, ma che da queste parti potrebbe tranquillamente essere un'autorimessa o che so. A farmi propendere per la prima sensazione è l'apparecchiata di croci bianche di legno sul prato antistante. Il tutto accompagnato da un cartello che fa da solenne didascalia: 1.000.000 di aborti! Seguito
da qualche pio improperio evangelico contro il demonio dell'aborto. Benvenuti nel paradiso in terra dell'evangelismo. Essere pro-aborto in certi posti non è una convinzione salutare e di medici che pratichino l'aborto e che hanno ricevuto pesanti intimidazioni ammesso che tali minacce non si siano trasformate in veri e propri atti di violenza o addirittura in omicidi belli e buoni se ne contano parecchi. Il noto filosofo australiano Peter Singer, che insegna etica a Princeton, New Jersey, deve fare attenzione quando si sposta negli USA perché qualche simpatico antiabortista gliel'ha giurata. Singer, che ho avuto modo di conoscere diversi anni fa, facendogli pure da interprete, mi raccontò di essere considerato il demonio da una cospicua fetta di evangelici integralisti per via delle sue posizioni abortiste, pro-eutanasia e animaliste. Insomma, Singer è una specie di icona del veganesimo, solo che, al contrario di molti suoi sostenitori, è mite e ragionevole e spacca il capello in quattro. Sarei curioso di incrociare i dati di appartenenza al veganesimo e all'evangelismo ortodosso: ne verrebbero forse fuori delle belle.
Ci fermiamo a fare benzina e il Magico si precipita ad acquistare la famigerata beef jerky, la carne secca tanto cara a Tex Willer e Kit Carson di bonelliana memoria. Se ne trova in abbondanza nei supermercati e in qualsiasi stazione di servizio, dove viene venduta in stick accanto alle caramelle. Non posso fare a meno di inorridire, ma mi fa piacere vedere un sorriso affacciarsi finalmente sul viso del Magico, che fino a questo momento mi è parso un po' a disagio nella nuova realtà americana.
Di fronte alla mia espressione schifata quando azzanna la prima strisciolina di carne disidratata, il Magico scuote la testa. "Senti da che pulpito vien la predica", dice, indicando il bicchierone di Dr Pepper, la mia bibita preferita, che sciaguatta tra cubetti di ghiaccio in abbondanza. "La schifezza che stai bevendo sa di Cocoina Colla." So che ve lo state chiedendo: ma quanti anni ha questo Magico? Parecchi, però confesso che ha perfettamente ragione. Lasciando perdere le baggianate di Facebook tipo, "Non sei stato bambino negli anni Settanta se non hai mai giocato con il Pongo o non hai fatto i collage con la Cocoina Colla" e via discorrendo, ma è proprio vero che l'odore della colla più in uso alle scuole elementari della mia e sua generazione era identica all'aroma di questa bevanda gasata. Che a me piace un sacco. Punto. Si vedono tante case mobili in vendita, di fatto container convertiti in vere e proprie abitazioni. E un discreto numero di americani non avrà mai modo di conoscere altra sistemazione.
È l'era dei social network. Meno male, mi sento di dire anche in questo caso, perché altrimenti chi mi avvertirebbe in tempo reale dei risultati del campionato di calcio? Nadia, la compagna del Magico che se n'è rimasta a Torino, mi comunica che la Juventus ha vinto.
Un tenue squarcio di luce in una giornata che risente pesantemente delle fatiche del giorno prima e, soprattutto, dei rovesci patiti in aeroporto quando abbiamo scoperto che Niccolò, almeno per il momento, non sarebbe stato della partita. Faremo di necessità virtù, ma un sorriso pieno tornerà solo quando ce lo vedremo ricomparire davanti. A dispetto di qualche scettico di troppo, io resto fiducioso.
2
IL CENTRO DI PITTSBURGH È BELLO
Pittsburgh, finalmente. Un tempo tacciata di essere una delle più brutte e più invivibili città degli Stati Uniti, con il suo cielo costantemente ingrigito dalle emissioni non certo salubri di acciaierie e altri stabilimenti industriali, in realtà questa città della Pennsylvania sudoccidentale vanta uno dei centri urbani più belli d'America. Sorta sulla confluenza tra i fiumi Allegheny e Monongahela che dà vita al fiume Ohio, oggi Pittsburgh è una piccola Manhattan, con i suoi splendidi grattacieli svettanti tra colline boscose dominate da Mount Washington, da cui si gode di una splendida vista sull'isola della downtown. Data la somiglianza, seppur su scala ridottissima, con la penisola di Manhattan e date le agevolazioni fiscali concesse dalle autorità locali, vi si girano parecchi film. La voce femminile del nostro GPS si ostina a chiamare simpaticamente la città "Pittòsburg".IL CENTRO DI PITTSBURGH È BELLO
La cosa dopo un po' è talmente grottesca da spingerci a disattivare il sonoro. Raggiungiamo la casa dell'amica che stasera ospiterà il nostro primo concerto, nel sobborgo di Delmont, e riabbracciamo Kasey Lansdale, che ci ha preceduti e che ci accompagnerà nella prima settimana in giro per gli Stati Uniti così come noi l'accompagneremo nei brani del suo CD su alcuni dei palchi da cui ci esibiremo.
Kasey è figlia di Joe R. Lansdale, uno dei romanzieri americani più popolari in Italia. La casa di Annette e di suo marito Tom è una bella villetta lungo l'arteria principale di Delmont, un sobborgo borghese come ce ne sono tanti in tutto il paese. La casetta sorge dirimpetto a un'altra casa che ospita il laboratorio dentistico di Annette. Suo marito Tom, invece, è un ingegnere. Quando ho saputo che avevano adottato Leia, una bimba proveniente dall'America centrale, il nome inizialmente non l'ho capito bene e ho pensato che fosse una storpiatura di Lea. In realtà, la bimba, che sfoggia un sorriso perenne in grado di riconciliarci con l'universo, si chiama proprio come la principessa della saga di Guerre Stellari. Mi è bastato scendere nello scantinato in cui fra poco scalderemo i nostri strumenti per capire che Annette e TOm sono due dei milioni (forse miliardi) di fanatici della serie creata da George Lucas. Nello scantinato vi sono teche contenenti numerosi gadget. La fantascienza non mi ha mai entusiasmato e, dunque, non so quasi nulla del gergo e dell'immaginario di Guerre Stellari, ma posso garantirvi che per gli americani questa saga è più di una interminabile serie cinematografica, essendosi davvero insinuata nella quotidianità. La mia ex-compagna stessa scuoteva spesso la testa di fronte alla mia ignoranza in materia. Non comprendeva come mai un appassionato di cultura pop americana come me non cogliesse la rilevanza di tale fenomeno e, almeno, in quel caso, aveva perfettamente ragione. Averne capito la significatività non fa di me un esperto di cultura a stelle e strisce, ma colma una piccola lacuna. Detto ciò, non me ne può importare meno di battaglie tra galassie, mostriciattoli più o meno raccapriccianti e amori impossibili e immateriali.
Il momento a lungo desiderato è giunto. Il nostro primo pensiero non può non andare all'assenza di Niccolò, ma dovremo fare a meno di lui. Il pubblico, una manciata di amici e parenti di Annette e Tom, compresa Loretta, moglie del nostro amicone Fabrizio (che non può essere della partita perché impegnato in questo momento nel trasloco di mobili e suppellettili da Denver a Pittsburgh), rende l'atmosfera quanto mai informale, ma noi cerchiamo di darci dentro come se fossimo in un locale vero. È il "battesimo" americano del Magico, che non aveva potuto prendere parte alla nostra precedente gita negli USA. Il Magico non è un soggetto particolarmente emotivo e, dunque, il suo esordio a stelle e strisce non lo vive con terrore.
3
IL LETTO AD ARIA NON È COMODO
Non è neppure un soggetto particolarmente esigente o difficile, ma il letto ad aria che Annette ci ha allestito proprio dove abbiamo appena finito di suonare proprio non gli va a genio. Si gira e rigira sul materasso blu come un orso incapace di abbandonarsi al letargo e, ogni tanto, coinvolge pure me nella sua agitazione. Vita da rocker, altro che balle.IL LETTO AD ARIA NON È COMODO
IL LIBRO
Dentro la provincia degli States "Domenica 4 Reverendiamoci": è il capitolo che pubblichiamo estratto di un libro sulle strade d'America scritto da uno scrittore, giornalista, traduttore e chitarrista che quelle vie, genti e terre conosce bene, Seba Pezzani. In questo suo "Istruzioni per l'Usa" (Oltre edizioni, 14 euro, 170
pagine) Pezzani raccoglie spunti di vita americana, con spirito d'osservazione, acume, affetto e pagine divertenti, e autoironiche, prendendo spunto da un tour con la sua rock band italiana «dalle radici americane», come ricordano le note di copertina, la RAB4.
Qui racconta l'America profonda, quella di provincia, tra fervori religiosi dei suoi abitanti, motel, piccoli inconvenienti e con Kasey Lansdale come vocalist della band e guida del gruppo. La quale, oltre a essere cantante, è figlia dello scrittore Joe R. Lansdale che Seba Pezzani traduce in italiano. Che traduce anche autori come Jeffrey Deaver, Ruth Rendell, Anne Perry.
Ha pubblicato il libro di viaggi "Americrazy".
Tra le molteplici attività, lo scrittore dirige il festival letterario e musicale che si tiene a Piacenza "Dal Mississippi al Po".
ISTRUZIONI PER L'USA
SEBA PEZZANI
14 euro, 170 pagine
Oltre Edizioni
L'UNITA' del 30.05.2016
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