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All’isola di Kos, il paradiso del Tempo
GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO di lunedģ 11 luglio 2016
«Manuale sentimentale dell'isola di Kos» di Diego Zandel

All’isola di Kos il paradiso del Tempo - Il nuovo libro di Diego Zandel
UGO SBISÀ·LUNEDÌ 11 LUGLIO 2016

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno dell’11 luglio 2016
Ugo Sbisà

Più che un luogo geografico, un vero e proprio luogo dell’anima. Non altrimenti si potrebbe definire l’isola greca di Kos, nel Dodecaneso, dopo aver letto il “Manuale sentimentale dell’isola di Kos (come trovare il paradiso)” di Diego Zandel. Lo scrittore fiumano – firma ben nota ai Lettori della Gazzetta – vi è legato sin dal 1969, quando, poco più che ventenne, vi giunse in visita con la famiglia di colei che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi figli (a sua volta oriunda di Kos per parte di madre) stabilendo con l’isola di Ippocrate un legame intenso e profondo.
Quella apparsa ai suoi occhi, era un’isola – e in parte più in generale una Grecia – lontana mille miglia dal modo in cui si presenta ai nostri giorni: pur sempre fascinosa, ma globalizzata e attenta alle esigenze del turismo internazionale. Era piuttosto un mondo a suo modo sospeso nel tempo, raggiungibile solo attraverso viaggi per mare lunghi e defatiganti e soprattutto legato a ritmi e consuetudini arcaiche, con case che, specie nei paesi collinari come Asfendiou – luogo d’origine della famiglia Xenicos, cui apparteneva Anna Del Bello in Zandel – erano prive di acqua corrente e moderni servizi igienici e in un unico ambiente raggruppavano tanto la cucina quanto la camera da letto o, meglio ancora, il tavlado, sorta di struttura a baldacchino il più delle volte destinata a ricovero notturno di famiglie intere che vi si coricavano tutte assieme.
Terzo dei libri dedicati all’isola di Kos – ricordiamo i precedenti “L’uomo di Kos” del 2004 e “Il fratello greco” del 2010 – il “Manuale sentimentale” è in realtà una sorta di diario privato nel quale Zandel rievoca i quasi cinquant’anni di frequentazione dell’isola attraverso le vicende della famiglia Xenicos, fra matrimoni, funerali e feste comandate – molto suggestivo il ricordo della Pasqua ortodossa – non senza aver inquadrato anche storicamente questo lembo di terra nel mare Egeo, a una manciata di chilometri dalla costa turca, ripercorrendone le vicende nei secoli e, soprattutto, tratteggiandone alcuni dei suoi personaggi più noti. Ecco allora il castello dei Cavalieri di San Giovanni e quello di Antimachia; le chiesette ortodosse disseminate lungo i percorsi più impervi; una natura dai paesaggi mozzafiato; il lungo periodo dell’amministrazione italiana, dal 1912 al 1943, che vide l’isola cambiare volto grazie alle imponenti opere civili e urbanistiche e alla razionalizzazione dell’agricoltura; l’orrida parentesi dell’occupazione nazista con la mai troppo rievocata strage degli ufficiali della Brigata Regina; il ritorno alla madre Grecia dopo quasi cinque secoli e poi ancora il periodo della dittatura dei colonnelli e le tensioni con la vicina Turchia negli anni dell’occupazione di Cipro. Episodi che, in alcuni casi, hanno visto l’autore come testimone e che vengono rievocati attraverso sapidi ricordi personali.
Poi, appunto, le storie e i personaggi, a cominciare dalle famiglie italiane che a Kos avevano messo le radici negli anni prima della guerra, fra i tanti i Forenza, i Ragusa, i Polizio, per arrivare a quelle ebree come i Menachè, vittime della deportazione nazista nei lager. E ancora il turco Omer Aras – oggi anzianissimo ed ex vice console italiano a Bodrum, in Turchia – con i suoi ricordi delle scuole italiane; lo psichiatra Costantino Kojopoulos, grande collezionista e studioso di storia locale; Elena Sciatore Klonari, che ogni giorno ha cura della lapide dedicata ai militari italiani nel locale cimitero cattolico; la materana Giuseppina Dilillo, che dopo aver sposato un greco è molto attiva nel promuovere in loco incontri letterari; il poeta dissidente Manilis Fourtounis che pagò la propria adesione al comunismo con un confino durato dal 1947 al 1971.
Storie pubbliche e private, memorie, ma anche profumi e sapori come quelli percepiti ai tavoli dei kafeneion, i bar che gli uomini greci eleggono a propri “uffici” trascorrendovi ore alla ricerca del tempo dell’anima, ma anche nell’attesa di un buon affare, concluso tra una tazzina di caffè rigorosamente alla turca e un bicchiere dell’immancabile ouzo.
Zandel racconta la “sua” Kos come chi avesse deciso di dischiudere ai lettori il proprio mondo interiore e lo fa lanciando lo sguardo anche sulle isole più vicine – Patmos, Symi, Nyssiros – o regalando qualche inedita prova letteraria, come nel capitolo “Lezioni di tedesco” che racconta la storia vera di Rudi Wolff, comunista tedesco spedito a Kos con la divisa nazista e ben presto diventato l’anima della locale resistenza contro gli invasori. Attraverso le pagine del libro, traspare non tanto e non solo l’immagine di un’isola ormai inevitabilmente diversa da come l’autore l’ha conosciuta, quanto piuttosto quella di un luogo ancora capace di riaccendere i moti dell’anima in quanti vadano alla sua scoperta cercando di coglierne gli aspetti più veri e genuini. E in questo senso, il Manuale propone delle “istruzioni” che non conoscono l’usura del tempo. “Manuale sentimentale dell’isola di Kos (come trovare il paradiso)” di Diego Zandel (Oltre ed., pagg 355, euro 16,00)

[leggi l'articolo originale su La Gazzetta del Mezzogiorno]


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«Manuale sentimentale dell'isola di Kos» di Diego Zandel

All’isola di Kos il paradiso del Tempo - Il nuovo libro di Diego Zandel
UGO SBISÀ·LUNEDÌ 11 LUGLIO 2016

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno dell’11 luglio 2016
Ugo Sbisà

Più che un luogo geografico, un vero e proprio luogo dell’anima. Non altrimenti si potrebbe definire l’isola greca di Kos, nel Dodecaneso, dopo aver letto il “Manuale sentimentale dell’isola di Kos (come trovare il paradiso)” di Diego Zandel. Lo scrittore fiumano – firma ben nota ai Lettori della Gazzetta – vi è legato sin dal 1969, quando, poco più che ventenne, vi giunse in visita con la famiglia di colei che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi figli (a sua volta oriunda di Kos per parte di madre) stabilendo con l’isola di Ippocrate un legame intenso e profondo.
Quella apparsa ai suoi occhi, era un’isola – e in parte più in generale una Grecia – lontana mille miglia dal modo in cui si presenta ai nostri giorni: pur sempre fascinosa, ma globalizzata e attenta alle esigenze del turismo internazionale. Era piuttosto un mondo a suo modo sospeso nel tempo, raggiungibile solo attraverso viaggi per mare lunghi e defatiganti e soprattutto legato a ritmi e consuetudini arcaiche, con case che, specie nei paesi collinari come Asfendiou – luogo d’origine della famiglia Xenicos, cui apparteneva Anna Del Bello in Zandel – erano prive di acqua corrente e moderni servizi igienici e in un unico ambiente raggruppavano tanto la cucina quanto la camera da letto o, meglio ancora, il tavlado, sorta di struttura a baldacchino il più delle volte destinata a ricovero notturno di famiglie intere che vi si coricavano tutte assieme.
Terzo dei libri dedicati all’isola di Kos – ricordiamo i precedenti “L’uomo di Kos” del 2004 e “Il fratello greco” del 2010 – il “Manuale sentimentale” è in realtà una sorta di diario privato nel quale Zandel rievoca i quasi cinquant’anni di frequentazione dell’isola attraverso le vicende della famiglia Xenicos, fra matrimoni, funerali e feste comandate – molto suggestivo il ricordo della Pasqua ortodossa – non senza aver inquadrato anche storicamente questo lembo di terra nel mare Egeo, a una manciata di chilometri dalla costa turca, ripercorrendone le vicende nei secoli e, soprattutto, tratteggiandone alcuni dei suoi personaggi più noti. Ecco allora il castello dei Cavalieri di San Giovanni e quello di Antimachia; le chiesette ortodosse disseminate lungo i percorsi più impervi; una natura dai paesaggi mozzafiato; il lungo periodo dell’amministrazione italiana, dal 1912 al 1943, che vide l’isola cambiare volto grazie alle imponenti opere civili e urbanistiche e alla razionalizzazione dell’agricoltura; l’orrida parentesi dell’occupazione nazista con la mai troppo rievocata strage degli ufficiali della Brigata Regina; il ritorno alla madre Grecia dopo quasi cinque secoli e poi ancora il periodo della dittatura dei colonnelli e le tensioni con la vicina Turchia negli anni dell’occupazione di Cipro. Episodi che, in alcuni casi, hanno visto l’autore come testimone e che vengono rievocati attraverso sapidi ricordi personali.
Poi, appunto, le storie e i personaggi, a cominciare dalle famiglie italiane che a Kos avevano messo le radici negli anni prima della guerra, fra i tanti i Forenza, i Ragusa, i Polizio, per arrivare a quelle ebree come i Menachè, vittime della deportazione nazista nei lager. E ancora il turco Omer Aras – oggi anzianissimo ed ex vice console italiano a Bodrum, in Turchia – con i suoi ricordi delle scuole italiane; lo psichiatra Costantino Kojopoulos, grande collezionista e studioso di storia locale; Elena Sciatore Klonari, che ogni giorno ha cura della lapide dedicata ai militari italiani nel locale cimitero cattolico; la materana Giuseppina Dilillo, che dopo aver sposato un greco è molto attiva nel promuovere in loco incontri letterari; il poeta dissidente Manilis Fourtounis che pagò la propria adesione al comunismo con un confino durato dal 1947 al 1971.
Storie pubbliche e private, memorie, ma anche profumi e sapori come quelli percepiti ai tavoli dei kafeneion, i bar che gli uomini greci eleggono a propri “uffici” trascorrendovi ore alla ricerca del tempo dell’anima, ma anche nell’attesa di un buon affare, concluso tra una tazzina di caffè rigorosamente alla turca e un bicchiere dell’immancabile ouzo.
Zandel racconta la “sua” Kos come chi avesse deciso di dischiudere ai lettori il proprio mondo interiore e lo fa lanciando lo sguardo anche sulle isole più vicine – Patmos, Symi, Nyssiros – o regalando qualche inedita prova letteraria, come nel capitolo “Lezioni di tedesco” che racconta la storia vera di Rudi Wolff, comunista tedesco spedito a Kos con la divisa nazista e ben presto diventato l’anima della locale resistenza contro gli invasori. Attraverso le pagine del libro, traspare non tanto e non solo l’immagine di un’isola ormai inevitabilmente diversa da come l’autore l’ha conosciuta, quanto piuttosto quella di un luogo ancora capace di riaccendere i moti dell’anima in quanti vadano alla sua scoperta cercando di coglierne gli aspetti più veri e genuini. E in questo senso, il Manuale propone delle “istruzioni” che non conoscono l’usura del tempo. “Manuale sentimentale dell’isola di Kos (come trovare il paradiso)” di Diego Zandel (Oltre ed., pagg 355, euro 16,00)

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OGT newspaper
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02/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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