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L'Agro Pontino si tinge di nero
IL CORRIERE DELLA CITTA' di luned 11 luglio 2016
«Finis Terrae - noir mediterraneo» di Gianluca Campagna

[leggi l'articolo originale su Il Corriere della Città]

Finis Terrae: l’Agro Pontino si tinge di nero
Tre misteri: un atroce omicidio di un prete scomodo a capo di un comitato per la difesa del territorio, uno strano traffico di camion pieni di rifiuti e una misteriosa scomparsa di una escort dell’Est che tutti conoscono ma di cui nessuno sa nulla davvero.
Inizia così il nuovo romanzo di Gian Luca Campagna, “Finis Terrae” (Oltre edizioni), noir intenso e bruciante fin dalle prime pagine, ambientato in una immaginaria città del sud Pontino che non sarà difficile riconoscere. Un racconto che è si snoda attraverso tante storie di personaggi, che sono tanti e tutti scolpiti dalle parole dell’autore in modo perfetto, protagonisti che incroceranno i loro destini e le loro miserie umane proprio cercando le risposte a quei tre enigmi tragici che si narrano all’inizio. Difficile indicare un protagonista centrale in questo bellissimo romanzo, il lettore con naturalezza si calerà nei panni di uno dei tanti “attori” in scena che sono raccontati con pennellate emozionali prima robuste e poi delicate come a definirne i contorni, scoprendo lati narrativi di una profondità spiazzante e sorprendente per chi legge, che inizia la lettura pensando di aver tra le mani un semplice thriller, scoprendo quasi subito di aver tra le mani un romanzo a tutto tondo, un orologio di parole scandite con precisione e grande maturità letteraria.
E tra i tanti personaggi c’è il giornalista disilluso, che ha amato la sua donna e la sua terra e che da tutte e due è stato tradito e che comprende che trovando la soluzione a quei tre misteri può trovare la pace interiore che, per ora, trova soltanto nel Rum; c’è l’ex portiere di calcio che ha sposato la figlia di un ricco agricoltore della zona che lo ha messo a libro paga e che lo considera solo una figurina Panini sbiadita; c’è l’ex cecchino serbo da cui tutti prendono le distanze ma che poi tutti cercano per risolvere quelle cose che non si confessano neanche a se stessi. Ma questi sono solo alcuni dei tanti uomini e delle tante donne narrate, tutti straordinariamente intrecciati tra loro in uno sciame umano dove miserie e nobiltà si fronteggiano, si equivalgono e forse in questa lotta senza esclusione di colpi soccombono entrambe.
Gian Luca Campagna scrive con una prosa agile ed abile, che affascina e attanaglia fin da subito avvolgendo il lettore che, siamo certi, difficilmente potrà separarsi dalla lettura prima di aver sfogliato l’ultima pagina. Agli uomini e alle donne di questo scorcio di Agro Pontino l’autore non fa sconti, sono loro, questi personaggi raccontati così bene la causa dei mali di questa ex palude l’Italia che nata come giardino agricolo del Paese è stata spesso aggredita corrosa e inquinata. Ecco, leggendo oltre le righe di questo splendido romanzo noir scopriremo senza neanche troppi filtri l’amore di Campagna per la sua terra e il suo grido di dolore per il dissesto attuale che come giornalista lui conosce e che così bene arriva tra le righe del libro.
Un romanzo da non perdere, perla rara che regala molto di più di una fugace suspense da libro giallo e che ci costringerà, specie a chi di questo territorio condivide aria, acqua e cibo, a osservare e osservarci con più attenzione e rispetto verso questa “Finis Terrae” del basso Lazio, così bella eppure così brutalmente masticata nella sua purezza dallo sfruttamento industriale e (a)morale.
Mauro Valentini

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IL CORRIERE DELLA CITTA' - luned 11 luglio 2016
«Finis Terrae - noir mediterraneo» di Gianluca Campagna

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Finis Terrae: l’Agro Pontino si tinge di nero
Tre misteri: un atroce omicidio di un prete scomodo a capo di un comitato per la difesa del territorio, uno strano traffico di camion pieni di rifiuti e una misteriosa scomparsa di una escort dell’Est che tutti conoscono ma di cui nessuno sa nulla davvero.
Inizia così il nuovo romanzo di Gian Luca Campagna, “Finis Terrae” (Oltre edizioni), noir intenso e bruciante fin dalle prime pagine, ambientato in una immaginaria città del sud Pontino che non sarà difficile riconoscere. Un racconto che è si snoda attraverso tante storie di personaggi, che sono tanti e tutti scolpiti dalle parole dell’autore in modo perfetto, protagonisti che incroceranno i loro destini e le loro miserie umane proprio cercando le risposte a quei tre enigmi tragici che si narrano all’inizio. Difficile indicare un protagonista centrale in questo bellissimo romanzo, il lettore con naturalezza si calerà nei panni di uno dei tanti “attori” in scena che sono raccontati con pennellate emozionali prima robuste e poi delicate come a definirne i contorni, scoprendo lati narrativi di una profondità spiazzante e sorprendente per chi legge, che inizia la lettura pensando di aver tra le mani un semplice thriller, scoprendo quasi subito di aver tra le mani un romanzo a tutto tondo, un orologio di parole scandite con precisione e grande maturità letteraria.
E tra i tanti personaggi c’è il giornalista disilluso, che ha amato la sua donna e la sua terra e che da tutte e due è stato tradito e che comprende che trovando la soluzione a quei tre misteri può trovare la pace interiore che, per ora, trova soltanto nel Rum; c’è l’ex portiere di calcio che ha sposato la figlia di un ricco agricoltore della zona che lo ha messo a libro paga e che lo considera solo una figurina Panini sbiadita; c’è l’ex cecchino serbo da cui tutti prendono le distanze ma che poi tutti cercano per risolvere quelle cose che non si confessano neanche a se stessi. Ma questi sono solo alcuni dei tanti uomini e delle tante donne narrate, tutti straordinariamente intrecciati tra loro in uno sciame umano dove miserie e nobiltà si fronteggiano, si equivalgono e forse in questa lotta senza esclusione di colpi soccombono entrambe.
Gian Luca Campagna scrive con una prosa agile ed abile, che affascina e attanaglia fin da subito avvolgendo il lettore che, siamo certi, difficilmente potrà separarsi dalla lettura prima di aver sfogliato l’ultima pagina. Agli uomini e alle donne di questo scorcio di Agro Pontino l’autore non fa sconti, sono loro, questi personaggi raccontati così bene la causa dei mali di questa ex palude l’Italia che nata come giardino agricolo del Paese è stata spesso aggredita corrosa e inquinata. Ecco, leggendo oltre le righe di questo splendido romanzo noir scopriremo senza neanche troppi filtri l’amore di Campagna per la sua terra e il suo grido di dolore per il dissesto attuale che come giornalista lui conosce e che così bene arriva tra le righe del libro.
Un romanzo da non perdere, perla rara che regala molto di più di una fugace suspense da libro giallo e che ci costringerà, specie a chi di questo territorio condivide aria, acqua e cibo, a osservare e osservarci con più attenzione e rispetto verso questa “Finis Terrae” del basso Lazio, così bella eppure così brutalmente masticata nella sua purezza dallo sfruttamento industriale e (a)morale.
Mauro Valentini

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02/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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