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*Topografia di un paese nebbioso* di Cristina Cigognini
Sololibri di mercoled 24 maggio 2023
Buon debutto di una scrittrice finora impegnata come editor, redattrice editoriale e semmai editrice. Un thriller scorrevole, in un ambiente inconsueto di provincia, il Lodigiano meridionale, la Bassa lombarda

di Felice Laudadio

Prima di diventarlo a tutti gli effetti. Buon avvio, ben pensato, intrigante.
Un debutto con i fiocchi, sotto ogni aspetto. Cristina Cigognini sta conquistando tutti, critica e pubblico, con il romanzo d’esordio, un franco e scorrevole giallo made in Italy, nel bianco fitto ovattato del Basso Lodigiano, Topografia di una paese nebbioso, in prima edizione ad agosto 2022 per il marchio editoriale “Oltre” di Sestri Levante (collana Narrazioni, 152 pagine).

Dopotutto, prima di co-fondare nel 2019 una casa editrice di letteratura anglofona e di scrivere a sua volta, ha svolto per diciotto anni un ruolo fondamentale nella redazione di un grande editore nazionale, affiancando scrittrici e scrittori nella limatura-centratura dei progetti narrativi, prima della pubblicazione.
Quello che si chiama “editing”. Sicchè conosce bene i segreti della scrittura efficace, per quanto questo non l’abbia esentata dall’affidarsi a sua volta un editor, nel rispetto delle regole, quando è toccato a lei proporre un testo.

È originaria di Codogno, cittadina in provincia di Lodi che ha ispirato l’immaginaria Conaglia del romanzo, sempre nel cuore della Bassa, ancorché molto più popolosa della comunità natale di Cristina. Se il clima è uguale, pari pari, cambia il paesaggio, in brutto: anni d’incuria hanno sfigurato con distese di capannoni una “pianura incredibile”.
A intenerire il cuore e rilassarla resta la nebbia, che sale dai campi fino a nascondere tutto, anche le oscenità post-industriali. Il bianco assoluto non le dà noia, non è poi questo gran disastro che vedono tutti. Vela l’orizzonte, addormenta la natura, la riveste:

Di un manto regale, bianco come l’ermellino e impalpabile come la seta.

L’avvio ad effetto, la cucina come la scena di un crimine, è per via della cena in preparazione nella villetta del signor Alberto, uomo solo, professore universitario e buongustaio, in via Ugo Foscolo. Lo stradario è una fissa della neoscrittrice lombarda: ogni capitolo è preceduto dal nome della via, della piazza, del viale in cui si svolge l’azione narrata, a parte due brevi ritorni al passato, in un liceo scientifico milanese nel 1996 e nella Londra del 2007.

Il racconto parte in un caos di coltelli, piatti, ciotole. Schizzi ovunque, di olio e pomodoro. Nel lavandino potrebbe benissimo essere stato sgozzato qualcuno... invece, è solo una bella orata, pulita per bene, pronta per la cottura al vapore, prima di affogare in un sugo con olive e capperi.
Qualcuno suona alla porta. Il prof. raggiunge lo spioncino, irritato dal contrattempo, ma la sorpresa lo spinge ad aprire la porta d’impulso. Una persona entra senza parlare, scura in volto. Si sposta in cucina, afferra il coltello usato da Alberto per pulire il pesce...
Un caso per Arrigo Corvi. Intanto lo incontriamo a spasso per strade di campagna, nella nebbia che come nel Macbeth comincia ad avvolgere gli alberi, tra i quali trotterella l’inseparabile bracco Jeeves: gli ha dato il nome del personaggio fisso dello scrittore inglese Wodehouse, che ama citare Shakespeare e altri anglo classici.
Corvi ha vinto da qualche mese il concorso per passare da ispettore di polizia a commissario ed è stato assegnato a Conaglia.
Città di 34.302 abitanti, non succede granché. Rari fermi per ubriachezza, pochi piccoli spacciatori, furti nei periodi di vacanza, magari qualche sottoposto da mettere in riga. La destinazione non gli dispiace affatto, è nato in questi posti, conosce la mentalità della gente e per un poliziotto è sempre bene sapere con chi hai a che fare. Certo, sarebbe meglio non generalizzare, ma la laurea in letteratura inglese lo aiuta a classificare i tipi umani che gli girano attorno, comprende bene:

L’importanza che assumono i piccoli nel generare la grandezza dei grandi.

Anche Adelaide è del posto e conosceva Paco. Apprende ch’è stato assassinato. L’hanno trovato accoltellato in cucina. Secondo l’articolo sul giornale, non c’era nessuna impronta, né sembrava che qualcuna fosse stata cancellata: un lavoro pulito. Premeditazione? Omicidio di stampo passionale? Gelosie o cose del genere? Pare non ci fosse nessuna donna nella sua vita. Indubbiamente “fumava” parecchio, ma da consumare a spacciare, ne passa. Non era il suo caso.
Di Paco ricorda che sapeva rendersi sgradevole. È scomparso dalla sua vita quando Guglielmo si è eclissato. Adelaide Dolci, mamma di due bimbe di quattro e due anni, single da poco perché lasciata dall’ex, conduce una dura lotta quotidiana per conciliare la vita e la maternità solitarie con il lavoro d’architetto, in uno studio in un altro centro.

Cova una sensazione di abbandono

un senso di solitudine che fa sentire respinti e isolati. Gran bel personaggio tratteggiato da Cristina Cigognini.

I genitori si sono trasferiti in Bretagna e dopo essere stata lasciata sta accumulando una serie di insicurezze che acutizzano gli stati d’ansia incombenti. Hai voglia a cercare di placarli leggendo i polizieschi di Agatha Christie!
Raggiungendo la villetta del delitto, si scontra con il ruvido commissario. La prima impressione è che sia un “maleducato”. Cambierà dopo i successivi, insoliti eventi nella Bassa?



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Buon debutto di una scrittrice finora impegnata come editor, redattrice editoriale e semmai editrice. Un thriller scorrevole, in un ambiente inconsueto di provincia, il Lodigiano meridionale, la Bassa lombarda

di Felice Laudadio

Prima di diventarlo a tutti gli effetti. Buon avvio, ben pensato, intrigante.
Un debutto con i fiocchi, sotto ogni aspetto. Cristina Cigognini sta conquistando tutti, critica e pubblico, con il romanzo d’esordio, un franco e scorrevole giallo made in Italy, nel bianco fitto ovattato del Basso Lodigiano, Topografia di una paese nebbioso, in prima edizione ad agosto 2022 per il marchio editoriale “Oltre” di Sestri Levante (collana Narrazioni, 152 pagine).

Dopotutto, prima di co-fondare nel 2019 una casa editrice di letteratura anglofona e di scrivere a sua volta, ha svolto per diciotto anni un ruolo fondamentale nella redazione di un grande editore nazionale, affiancando scrittrici e scrittori nella limatura-centratura dei progetti narrativi, prima della pubblicazione.
Quello che si chiama “editing”. Sicchè conosce bene i segreti della scrittura efficace, per quanto questo non l’abbia esentata dall’affidarsi a sua volta un editor, nel rispetto delle regole, quando è toccato a lei proporre un testo.

È originaria di Codogno, cittadina in provincia di Lodi che ha ispirato l’immaginaria Conaglia del romanzo, sempre nel cuore della Bassa, ancorché molto più popolosa della comunità natale di Cristina. Se il clima è uguale, pari pari, cambia il paesaggio, in brutto: anni d’incuria hanno sfigurato con distese di capannoni una “pianura incredibile”.
A intenerire il cuore e rilassarla resta la nebbia, che sale dai campi fino a nascondere tutto, anche le oscenità post-industriali. Il bianco assoluto non le dà noia, non è poi questo gran disastro che vedono tutti. Vela l’orizzonte, addormenta la natura, la riveste:

Di un manto regale, bianco come l’ermellino e impalpabile come la seta.

L’avvio ad effetto, la cucina come la scena di un crimine, è per via della cena in preparazione nella villetta del signor Alberto, uomo solo, professore universitario e buongustaio, in via Ugo Foscolo. Lo stradario è una fissa della neoscrittrice lombarda: ogni capitolo è preceduto dal nome della via, della piazza, del viale in cui si svolge l’azione narrata, a parte due brevi ritorni al passato, in un liceo scientifico milanese nel 1996 e nella Londra del 2007.

Il racconto parte in un caos di coltelli, piatti, ciotole. Schizzi ovunque, di olio e pomodoro. Nel lavandino potrebbe benissimo essere stato sgozzato qualcuno... invece, è solo una bella orata, pulita per bene, pronta per la cottura al vapore, prima di affogare in un sugo con olive e capperi.
Qualcuno suona alla porta. Il prof. raggiunge lo spioncino, irritato dal contrattempo, ma la sorpresa lo spinge ad aprire la porta d’impulso. Una persona entra senza parlare, scura in volto. Si sposta in cucina, afferra il coltello usato da Alberto per pulire il pesce...
Un caso per Arrigo Corvi. Intanto lo incontriamo a spasso per strade di campagna, nella nebbia che come nel Macbeth comincia ad avvolgere gli alberi, tra i quali trotterella l’inseparabile bracco Jeeves: gli ha dato il nome del personaggio fisso dello scrittore inglese Wodehouse, che ama citare Shakespeare e altri anglo classici.
Corvi ha vinto da qualche mese il concorso per passare da ispettore di polizia a commissario ed è stato assegnato a Conaglia.
Città di 34.302 abitanti, non succede granché. Rari fermi per ubriachezza, pochi piccoli spacciatori, furti nei periodi di vacanza, magari qualche sottoposto da mettere in riga. La destinazione non gli dispiace affatto, è nato in questi posti, conosce la mentalità della gente e per un poliziotto è sempre bene sapere con chi hai a che fare. Certo, sarebbe meglio non generalizzare, ma la laurea in letteratura inglese lo aiuta a classificare i tipi umani che gli girano attorno, comprende bene:

L’importanza che assumono i piccoli nel generare la grandezza dei grandi.

Anche Adelaide è del posto e conosceva Paco. Apprende ch’è stato assassinato. L’hanno trovato accoltellato in cucina. Secondo l’articolo sul giornale, non c’era nessuna impronta, né sembrava che qualcuna fosse stata cancellata: un lavoro pulito. Premeditazione? Omicidio di stampo passionale? Gelosie o cose del genere? Pare non ci fosse nessuna donna nella sua vita. Indubbiamente “fumava” parecchio, ma da consumare a spacciare, ne passa. Non era il suo caso.
Di Paco ricorda che sapeva rendersi sgradevole. È scomparso dalla sua vita quando Guglielmo si è eclissato. Adelaide Dolci, mamma di due bimbe di quattro e due anni, single da poco perché lasciata dall’ex, conduce una dura lotta quotidiana per conciliare la vita e la maternità solitarie con il lavoro d’architetto, in uno studio in un altro centro.

Cova una sensazione di abbandono

un senso di solitudine che fa sentire respinti e isolati. Gran bel personaggio tratteggiato da Cristina Cigognini.

I genitori si sono trasferiti in Bretagna e dopo essere stata lasciata sta accumulando una serie di insicurezze che acutizzano gli stati d’ansia incombenti. Hai voglia a cercare di placarli leggendo i polizieschi di Agatha Christie!
Raggiungendo la villetta del delitto, si scontra con il ruvido commissario. La prima impressione è che sia un “maleducato”. Cambierà dopo i successivi, insoliti eventi nella Bassa?



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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