L’idea secondo la quale l’umanità avrebbe sperimentato una progressiva evoluzione da forme “semplici” e originariamente egualitarie di vita collettiva società complesse inevitabilmente gerarchizzate è ancora oggi molto diffusa nella cultura comune.
Il punto di svolta decisivo, che avrebbe estradato in modo irreversibile umanità su un percorso all’insegna della disuguaglianza dello sfruttamento, sarebbe avvenuto circa diecimila anni fa con la rivoluzione politica, ovvero con la nascita dei primi villaggi permanenti e delle prime economie agricole.
Una ricostruzione tuttavia messa in discussione dai dati raccolti da archeologi in più di un secolo di studi sul Neolitico del Vicino Oriente. Nonostante le sfide generate dalla vita sedentaria e le allettanti opportunità offerte dalle nascenti economie di produzione, sembra che i nostri antenati neolitici per diversi millenni siano riusciti a prevenire con successo lo sviluppo di società stratificate e di istituzioni politiche centralizzate e oppressive.
Per risolvere questo enigma e cercare di comprendere l’organizzazione sociale preistorica, l’autore sostiene che va rivisto in modo radicale il modo in cui vengono definite nozioni come quelle di “persona”, “società” e “potere”. Bisogna, piuttosto, concentrarsi sul complesso rapporto di reciproca dipendenza che lega le persone alle cose e sul rapporto altrettanto complesso che queste intrattengono con le forze e le entità legate alla sfera della trascendenza.
La caratteristica delle forme di organizzazione delle società neolitiche è derivata da una sinergia tra tendenze individualistiche e tendenze egalitarie, sinergia che trovò espressione in un’ampia varietà di fenomeni culturali e sociali, come una particolare concezione del corpo, svelata in particolare dai temi figurativi e dall’arte plastica, dalle pratiche funerarie, nonché da una visione cosmologica che, attraverso il rito, ispirava formule di vita collettiva.
Una molteplicità di fattori sia esterni che interni (avvicendamento delle stagioni, diversificazione delle strategie di sussistenza, tendenze demografiche) ha, quindi, contribuito a creare un contesto favorevole a un modello di questo tipo, mentre a garantire la sua incredibile sopravvivenza nel corso dei millenni avrebbero contribuito formule culturali e politiche ancora oggi pressoché sconosciute, ma sulle quali è possibile suggerire delle congetture a partire dalle testimonianze archeologiche.
Una possibile spiegazione del motivo per il quale le opportunità offerte dalla nascente economia agricola non modificarono l’organizzazione scarsamente stratificata di quelle società può essere trovata nel modo in cui i nostri antenati neolitici pensavano sé stessi, tanto come persone quanto come collettività, profondamente diverso da quello attuale.
Una tesi chiaramente speculativa, ma secondo l’autore le testimonianze archeologiche, per quanto frammentarie e spesso contraddittorie, nell’insieme la supportano in modo convincente.
Stefano Radaelli, laureato in Filosofia e specializzato in Semiotica, ha operato per diversi anni nell’organizzazione di eventi musicali e lavora attualmente come collaboratore scolastico. Identità preistoriche (Oltre edizioni, 2023) è il frutto di tre anni di ricerca indipendente, condotta con l’obiettivo di rendere note a un pubblico più ampio alcune delle teorie più interessanti sviluppate negli ultimi decenni da antropologi e archeologi su temi come le origini della disuguaglianza e il rapporto tra rito, identità e organizzazione collettiva.
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