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giovedě 14 settembre 2023
Marzio Sandro Biancolino, venditore di enciclopedie, operaio alimentare, chimico industriale, cameriere, vicecuoco, trascrittore di scommesse ippiche, satiro politico, satiro sportivo, correttore di bozze, autore musicale, redattore, scrittore, editor…

di Redazione
Nel campo profughi di Ceško, in Slovenia, anche un vaso di fiori su un davanzale poteva essere il segnale di vitali assestamenti dell’anima. Nell’agosto del 2001, parte degli ospiti di quella struttura sono rientrati nel l oro paesino in Bosnia, da cui erano scappati nel 1992 in seguito all’espansionismo serbo d’inizio guerra. Altri compaesani che invece si erano riaccasati nel mondo li raggiungono per condividere un momento davvero speciale: la “Festa della rinascita” di Korljevo. Da Milano arriva anche Massimo, volontario del gemellaggio che supportava il campo di Ceško, e che da quell’esperienza si era fatto assorbire in modo quasi viscerale, mentre da Trieste giunge Jana, psicologa che quell’intervento umanitario lo sovrintendeva. Il gioioso evento offre ai convenuti l’opportunità per riannodare vecchi legami nel tempo sfilacciati o anche spezzati, in particolare quello tra Jana e Massimo. Molte sono le sorprese che si snocciolano nei diversi incontri durante la festa, infine funestata da impensabili accadimenti che sconvolgono la piccola comunità bosniaca. E che fanno da sfondo al laborioso ripensamento del rapporto tra Massimo e Jana. Un romanzo di sentimenti che consente anche di esplorare le sottese dinamiche psicologiche tanto dei profughi quanto dei volontari, oltreché il complesso quadro di criticità politiche e sociali connesse ai rimpatri postbellici in Bosnia.

Incipit

JANA che si guarda attorno, scrutando con curiosità gli ultimi arrivati di quel tardo pomeriggio allo spiazzo della festa. Attenta a cogliere ogni nuovo nome che viene citato. Un nome che lei potrebbe finalmente associare a un volto. Quello di una delle statuine ancora anonime nel singolare presepe che in quegli ultimi sei anni è andata componendo nella sua mente. Jana che si riscuote un attimo e respira a fondo, come per prendersi una pausa da quel suo particolare esercizio. Con la schiena appoggiata al tronco dell’albero che la ombreggia, dà un altro piccolo morso alla costina di agnello. Poi la ripone nel piatto di plastica e si lecca le dita con gusto. Accenna un sorriso nel volgere il capo per studiare quel contesto rurale d’altri tempi, per certi dettagli così diverso dai canoni italiani. Jana che non è mai stata lì a Korljevo. Eppure, da una decina di anni quel paesino è entrato prepotentemente a far parte della sua vita. Addirittura gliel’ha sconvolta. Anche la sua.

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giovedě 14 settembre 2023
*I fiori si bagnano il venerdě. Vite e speranze sullo sfondo della Bosnia martoriata* di MARZIO SANDRO BIANCOLINO
Marzio Sandro Biancolino, venditore di enciclopedie, operaio alimentare, chimico industriale, cameriere, vicecuoco, trascrittore di scommesse ippiche, satiro politico, satiro sportivo, correttore di bozze, autore musicale, redattore, scrittore, editor…

di Redazione
Nel campo profughi di Ceško, in Slovenia, anche un vaso di fiori su un davanzale poteva essere il segnale di vitali assestamenti dell’anima. Nell’agosto del 2001, parte degli ospiti di quella struttura sono rientrati nel l oro paesino in Bosnia, da cui erano scappati nel 1992 in seguito all’espansionismo serbo d’inizio guerra. Altri compaesani che invece si erano riaccasati nel mondo li raggiungono per condividere un momento davvero speciale: la “Festa della rinascita” di Korljevo. Da Milano arriva anche Massimo, volontario del gemellaggio che supportava il campo di Ceško, e che da quell’esperienza si era fatto assorbire in modo quasi viscerale, mentre da Trieste giunge Jana, psicologa che quell’intervento umanitario lo sovrintendeva. Il gioioso evento offre ai convenuti l’opportunità per riannodare vecchi legami nel tempo sfilacciati o anche spezzati, in particolare quello tra Jana e Massimo. Molte sono le sorprese che si snocciolano nei diversi incontri durante la festa, infine funestata da impensabili accadimenti che sconvolgono la piccola comunità bosniaca. E che fanno da sfondo al laborioso ripensamento del rapporto tra Massimo e Jana. Un romanzo di sentimenti che consente anche di esplorare le sottese dinamiche psicologiche tanto dei profughi quanto dei volontari, oltreché il complesso quadro di criticità politiche e sociali connesse ai rimpatri postbellici in Bosnia.

Incipit

JANA che si guarda attorno, scrutando con curiosità gli ultimi arrivati di quel tardo pomeriggio allo spiazzo della festa. Attenta a cogliere ogni nuovo nome che viene citato. Un nome che lei potrebbe finalmente associare a un volto. Quello di una delle statuine ancora anonime nel singolare presepe che in quegli ultimi sei anni è andata componendo nella sua mente. Jana che si riscuote un attimo e respira a fondo, come per prendersi una pausa da quel suo particolare esercizio. Con la schiena appoggiata al tronco dell’albero che la ombreggia, dà un altro piccolo morso alla costina di agnello. Poi la ripone nel piatto di plastica e si lecca le dita con gusto. Accenna un sorriso nel volgere il capo per studiare quel contesto rurale d’altri tempi, per certi dettagli così diverso dai canoni italiani. Jana che non è mai stata lì a Korljevo. Eppure, da una decina di anni quel paesino è entrato prepotentemente a far parte della sua vita. Addirittura gliel’ha sconvolta. Anche la sua.

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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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