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Ugo Moretti, stupori, incanti e cuori infranti
Fenice Bookstore di domenica 10 novembre 2019
Lo scrittore, tornato in libreria con “Doppia morte al governo vecchio” uscito nei Gialli Oltre e in vendita su Fenice Bookstore, nei ricordi di una scrittrice che gli č stata amica

di Hilde Ponti
Scrivevamo sulla stessa rivista, Ugo e io, lui teneva una Rubrica di Spettacolo – la psicologia era curata da Emilio Servadio – io pubblicavo racconti: ho avuto quindi modo di conoscere parecchie armonie del suo animo, negli anni di frequentazione della sua casa-studio, abitavamo vicini, ai Parioli. Aveva fermenti di umanità, di cui solo i grandi sono dotati, Moretti dimostrò stima per me e per tanti giovani artisti. Pittori, scultori erano soliti consultarlo, discutendo con lui ogni evolvere del loro lavoro, insomma comuni esercizi quotidiani di meraviglia, testimoniati anche da Diego Zandel.

Non era mai solo Ugo Moretti, attorniato com’era dalla meglio gioventù creativa di ogni parte d’Italia. E lui, beandosi dell’impegno intellettuale che lo circondava, non smetteva di scrivere: apriva continuamente nuove pagine, parola dietro l’altra, battute con lo stesso ritmo alla sua Olivetti Lettera 22. Ora lavorava a uno sceneggiato radiofonico Rai, e la componente essenziale era costituita dall’imbastitura con la quale avrebbe preso le mosse un Giallo dei suoi (ben 12 erano gli pseudonimi da lui usati), abile e oliato com’era trovava soluzioni a ogni caso, portando a dama ciascuna pedina del suo scacchiere, in una settimana o poco più. Per poi mettere mano, a una nuova edizione, magari di: “Gente al Babuino”, uno spaccato di vita romana più volte adattato per svariate edizioni. Capace di tanta produzione, Ugo aveva il privilegio di scrivere con il rigore che l’ha sempre contraddistinto e, al contempo in sequenza, interessarsi all’Arte: Renato Guttuso, Renzo Vespignani, Ugo Attardi, Bruno Caruso, Alberto Sughi, etc., senza contare Alberto Burri un’amicizia condivisa con il grande poeta Emilio Villa, svariati i nostri viaggi insieme per recarci a Città di Castello.

Ugo Moretti però non ha mai trascurato quelli che riteneva promesse dell’arte, una straordinaria colonia a cui dare vitalità con orgoglio: seguiva stupori e lo incantavano le ricerche pittoriche. Ritagliava il suo tempo per l’arte figurativa: essendo nelle sue corde le dedicava una porzione di vita. Centinaia sono i giovani pittori che hanno condiviso i perimetri di Ugo Moretti, per loro ha scritto, firmato presentazioni di esposizioni.

Non ci si deve dimenticare del Moretti giornalista, documentato e puntuale. Ha siglato pure pezzi memorabili di giornalismo sportivo, secco, descrittivo, Hemingwayano, al “Corriere dello Sport” – direzione Antonio Ghirelli.

Sarebbe un’irriverenza macroscopica non ricordare due cose, i suoi gatti rossi e un po’ tonti, e le donne che hanno accompagnato la sua vita di scrittore. Tante le creature sposate ogni volta, amate intensamente fino al prossimo innamoramento. Ma pur con il cuore infranto, le sue donne alla fin fine l’hanno sempre perdonato, nonostante che per non sbagliarsi – ma questa è una battuta di Milena Milani – Ugo le chiamava tutte: “Ninni!”. Per smentire, un esempio: nonostante l’abbandono, l’adorata Miki vestì la mamma di Ugo, per il suo ultimo viaggio con l’unica pelliccia che possedeva. Molto della sua creatività, Ugo Moretti l’ha dedicata proprio ai suoi amori e a quella splendida energia che gli hanno trasmesso.

La vita di Ugo è stata costellata di meraviglie, qualcosa di supremo, lo testimonia pure la riedizione di: “Doppia morte al Governo Vecchio”, emblema straordinario della sua scrittura, un giallo architettato con visione lucida e matura dei fatti, una lezione efficace in ogni discorso, tanto da essere ripreso paro paro dalla cinematografia, un film con un cast d’eccezione, da Marcello Mastroianni a Peter Ustinov, e una splendida Ursula Andress. Insomma, una riedizione azzeccata, comprovata dal successo, densa di investigazioni nei vari orizzonti, un giallo di gran classe in tutti i sensi, Ugo Moretti ebbe a confidarmi la simpatia che provava per il protagonista, a cui si era ispirato, il principe Vittorio Massimo, un uomo che sapeva mordere la vita, proprio come Ugo, afferrandola con grande intraprendenza, quasi come fosse un esercizio quotidiano di meraviglia.


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Lo scrittore, tornato in libreria con “Doppia morte al governo vecchio” uscito nei Gialli Oltre e in vendita su Fenice Bookstore, nei ricordi di una scrittrice che gli č stata amica

di Hilde Ponti
Scrivevamo sulla stessa rivista, Ugo e io, lui teneva una Rubrica di Spettacolo – la psicologia era curata da Emilio Servadio – io pubblicavo racconti: ho avuto quindi modo di conoscere parecchie armonie del suo animo, negli anni di frequentazione della sua casa-studio, abitavamo vicini, ai Parioli. Aveva fermenti di umanità, di cui solo i grandi sono dotati, Moretti dimostrò stima per me e per tanti giovani artisti. Pittori, scultori erano soliti consultarlo, discutendo con lui ogni evolvere del loro lavoro, insomma comuni esercizi quotidiani di meraviglia, testimoniati anche da Diego Zandel.

Non era mai solo Ugo Moretti, attorniato com’era dalla meglio gioventù creativa di ogni parte d’Italia. E lui, beandosi dell’impegno intellettuale che lo circondava, non smetteva di scrivere: apriva continuamente nuove pagine, parola dietro l’altra, battute con lo stesso ritmo alla sua Olivetti Lettera 22. Ora lavorava a uno sceneggiato radiofonico Rai, e la componente essenziale era costituita dall’imbastitura con la quale avrebbe preso le mosse un Giallo dei suoi (ben 12 erano gli pseudonimi da lui usati), abile e oliato com’era trovava soluzioni a ogni caso, portando a dama ciascuna pedina del suo scacchiere, in una settimana o poco più. Per poi mettere mano, a una nuova edizione, magari di: “Gente al Babuino”, uno spaccato di vita romana più volte adattato per svariate edizioni. Capace di tanta produzione, Ugo aveva il privilegio di scrivere con il rigore che l’ha sempre contraddistinto e, al contempo in sequenza, interessarsi all’Arte: Renato Guttuso, Renzo Vespignani, Ugo Attardi, Bruno Caruso, Alberto Sughi, etc., senza contare Alberto Burri un’amicizia condivisa con il grande poeta Emilio Villa, svariati i nostri viaggi insieme per recarci a Città di Castello.

Ugo Moretti però non ha mai trascurato quelli che riteneva promesse dell’arte, una straordinaria colonia a cui dare vitalità con orgoglio: seguiva stupori e lo incantavano le ricerche pittoriche. Ritagliava il suo tempo per l’arte figurativa: essendo nelle sue corde le dedicava una porzione di vita. Centinaia sono i giovani pittori che hanno condiviso i perimetri di Ugo Moretti, per loro ha scritto, firmato presentazioni di esposizioni.

Non ci si deve dimenticare del Moretti giornalista, documentato e puntuale. Ha siglato pure pezzi memorabili di giornalismo sportivo, secco, descrittivo, Hemingwayano, al “Corriere dello Sport” – direzione Antonio Ghirelli.

Sarebbe un’irriverenza macroscopica non ricordare due cose, i suoi gatti rossi e un po’ tonti, e le donne che hanno accompagnato la sua vita di scrittore. Tante le creature sposate ogni volta, amate intensamente fino al prossimo innamoramento. Ma pur con il cuore infranto, le sue donne alla fin fine l’hanno sempre perdonato, nonostante che per non sbagliarsi – ma questa è una battuta di Milena Milani – Ugo le chiamava tutte: “Ninni!”. Per smentire, un esempio: nonostante l’abbandono, l’adorata Miki vestì la mamma di Ugo, per il suo ultimo viaggio con l’unica pelliccia che possedeva. Molto della sua creatività, Ugo Moretti l’ha dedicata proprio ai suoi amori e a quella splendida energia che gli hanno trasmesso.

La vita di Ugo è stata costellata di meraviglie, qualcosa di supremo, lo testimonia pure la riedizione di: “Doppia morte al Governo Vecchio”, emblema straordinario della sua scrittura, un giallo architettato con visione lucida e matura dei fatti, una lezione efficace in ogni discorso, tanto da essere ripreso paro paro dalla cinematografia, un film con un cast d’eccezione, da Marcello Mastroianni a Peter Ustinov, e una splendida Ursula Andress. Insomma, una riedizione azzeccata, comprovata dal successo, densa di investigazioni nei vari orizzonti, un giallo di gran classe in tutti i sensi, Ugo Moretti ebbe a confidarmi la simpatia che provava per il protagonista, a cui si era ispirato, il principe Vittorio Massimo, un uomo che sapeva mordere la vita, proprio come Ugo, afferrandola con grande intraprendenza, quasi come fosse un esercizio quotidiano di meraviglia.


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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