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Lina Morselli ci parla di 'Confini incerti' di Agi Berta
LeggIndipendente.com di lunedģ 23 dicembre 2019
Gli appassionati di storia saranno entusiasti di questo libro, ma lo stesso avverrą per chi, invece, confonde ancora date e nomi, e fatica a raccapezzarsi nelle vicende europee degli ultimi 200 anni. Merito della magia del passato, certo, ma senza la bravura e l’entusiasmo dell’autrice tutta la vicenda somiglierebbe ad un’appendice nel manuale di storia. Invece, qui, vicende storiche grandi e piccole si intrecciano in una passione travolgente

di Lina Morselli
Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci parla di "Confini incerti" di Agi Berta, edito da Oltre Edizioni.
Gli appassionati di storia saranno entusiasti di questo libro, ma lo stesso avverrà per chi, invece, confonde ancora date e nomi, e fatica a raccapezzarsi nelle vicende europee degli ultimi 200 anni. Merito della magia del passato, certo, ma senza la bravura e l’entusiasmo dell’autrice tutta la vicenda somiglierebbe ad un’appendice nel manuale di storia. Invece, qui, vicende storiche grandi e piccole si intrecciano in una passione travolgente.

IL CONTESTO STORICO E GEOGRAFICO La nonna della narratrice muore nel 1996 e il riordino fra le sue cose trasforma l’inevitabile pena per una perdita in una irresistibile cavalcata nella storia di famiglia, a partire dal 1849, quando Dusan, il capostipite degli Hadrovics, croato da più di sette generazioni, decide di cambiare il suo cognome in Harmat, scegliendo così l’appartenenza all’etnia ungherese e segnando il destino dei suoi discendenti. Perché ci troviamo sì in Croazia, ma in quel territorio ondivago fra una cultura slava e una forte presenza magiara, proprio negli anni in cui gli ungheresi faranno fuoco e fiamme per conquistare rispetto e autonomia all’interno dell’Impero Asburgico, fino a imporre la denominazione di Impero Austro-Ungarico.

I CONTENUTI Da questo momento la storia è tutta un susseguirsi di intrecci fra le vicende famigliari e i grandi eventi sullo scacchiere europeo, tanto da rendere arduo tracciare una vera trama, tanti sono i reciproci condizionamenti. Vero è che i confini incerti del titolo cambiano i loro tracciati spostandosi ora verso la Romania, ora verso la Slovacchia, ora rivolgendo la loro attenzione a quella che sarà la Jugoslavia, ora cercando di mantenere una matrice più austriaca, ora gravitando intorno alla Germania, ora come avamposto dell’Unione Sovietica. L’autrice non risparmia giudizi e commenti su scelte spesso scellerate del futuro Stato ungherese in materia di difesa nazionale, di alleanze e di entusiasmi nazionalistici, portandoci spesso a riflettere sulle radici di un’appartenenza ideologico-politica ungherese, che ancora oggi legge il proprio patriottismo come rifiuto di ogni tipo di diversità, e intransigenza nei confronti di qualsiasi minoranza o emancipazione. Nello stesso tempo non nasconde la miopia del contesto politico europeo, che mai ha tenuto conto delle lingue, delle culture e dei vincoli di varia natura, muovendosi solo secondo la ragion di Stato, e calpestando con colpa grave tessuti sociali costruiti con fatica, ma tra loro in equilibrio.

EVENTI FAMIGLIARI E GRANDE STORIA Le divisioni, le rivalità, gli odi della grande Storia ricadono inevitabilmente sulle vite delle persone, e la famiglia Harmat non sfugge al destino della propria geografia. Così, onesti e pacifici funzionari si ritrovano, loro malgrado, in prima linea nella difesa delle proprie appartenenze. Figli devoti raggiungono la loro maturità schierandosi contro le idee dei genitori. Fratelli trasformano il loro affetto sincero in rivalità insanabili. Le famiglie si dividono tra il sostegno al Partito Comunista e la fede cieca nel nazionalismo fiancheggiatore del nazismo. E, come in tutta l’Ungheria, alcuni difenderanno strenuamente i diritti umani e l’uguaglianza fra le genti, mentre altri sosterranno lo sterminio degli Ebrei. Nessuno verrà risparmiato dal vento violento delle guerre mondiali, la Prima perché distrugge gli Stati e la loro geografia, la Seconda perché distrugge gli equilibri di tutti e di ciascuno. Fino al 1952, quando una cerimonia nascosta (ma in realtà tutti ne sono a conoscenza) celebra il battesimo dell’ultima nata, ovvero la stessa scrittrice, che ora fa da custode e da testimone alla storia della sua famiglia.

LO STILE NARRATIVO La narrazione si avvale di uno stile freschissimo e non accademico, eppure puntuale e non retorico. I paragrafi in corsivo sono della voce narrante, dei suoi ricordi diretti, delle sue impressioni, e servono a dare nuovi spunti di riflessione, ma sono anche una tregua alla lettura, quando gli eventi storici rischiano di impadronirsi della scena. Nei corsivi vengono spesso anticipati eventi, ed elementi narrativi successivi, e questo movimenta piacevolmente la lettura, creando un’aspettativa degna di ogni buon romanzo d’azione.

LA SCRITTRICE Agi Berta spesso sembra usare i ricordi come una terapia, come se stesse compiendo un rito liberatorio, o stesse pagando un debito morale. Forse si tratta di tutte queste cose. Aggiungo che la stessa Agi Berta non è certo nuova alla letteratura: da oltre 40 anni vive a Napoli, dove si è laureata in Storia dell’Europa Orientale, dopo gli studi nella nativa Ungheria e in Polonia. In Italia ha pubblicato racconti, ha collaborato con testate giornalistiche e si è affermata come traduttrice dall’ungherese. E’ sua la splendida traduzione di Ferenc Karinthy, autore del bellissimo “Epepe”, considerato un classico della letteratura moderna ungherese, pubblicato in Italia prima da Voland e ora da Adelphi. Una scrittura e una storia così incisive, avrebbero però meritato una maggiore attenzione nella cura grafica del libro: la bella foto di copertina non basta a silenziare una quarantina di refusi.


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LeggIndipendente.com - lunedģ 23 dicembre 2019
Gli appassionati di storia saranno entusiasti di questo libro, ma lo stesso avverrą per chi, invece, confonde ancora date e nomi, e fatica a raccapezzarsi nelle vicende europee degli ultimi 200 anni. Merito della magia del passato, certo, ma senza la bravura e l’entusiasmo dell’autrice tutta la vicenda somiglierebbe ad un’appendice nel manuale di storia. Invece, qui, vicende storiche grandi e piccole si intrecciano in una passione travolgente

di Lina Morselli
Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci parla di "Confini incerti" di Agi Berta, edito da Oltre Edizioni.
Gli appassionati di storia saranno entusiasti di questo libro, ma lo stesso avverrà per chi, invece, confonde ancora date e nomi, e fatica a raccapezzarsi nelle vicende europee degli ultimi 200 anni. Merito della magia del passato, certo, ma senza la bravura e l’entusiasmo dell’autrice tutta la vicenda somiglierebbe ad un’appendice nel manuale di storia. Invece, qui, vicende storiche grandi e piccole si intrecciano in una passione travolgente.

IL CONTESTO STORICO E GEOGRAFICO La nonna della narratrice muore nel 1996 e il riordino fra le sue cose trasforma l’inevitabile pena per una perdita in una irresistibile cavalcata nella storia di famiglia, a partire dal 1849, quando Dusan, il capostipite degli Hadrovics, croato da più di sette generazioni, decide di cambiare il suo cognome in Harmat, scegliendo così l’appartenenza all’etnia ungherese e segnando il destino dei suoi discendenti. Perché ci troviamo sì in Croazia, ma in quel territorio ondivago fra una cultura slava e una forte presenza magiara, proprio negli anni in cui gli ungheresi faranno fuoco e fiamme per conquistare rispetto e autonomia all’interno dell’Impero Asburgico, fino a imporre la denominazione di Impero Austro-Ungarico.

I CONTENUTI Da questo momento la storia è tutta un susseguirsi di intrecci fra le vicende famigliari e i grandi eventi sullo scacchiere europeo, tanto da rendere arduo tracciare una vera trama, tanti sono i reciproci condizionamenti. Vero è che i confini incerti del titolo cambiano i loro tracciati spostandosi ora verso la Romania, ora verso la Slovacchia, ora rivolgendo la loro attenzione a quella che sarà la Jugoslavia, ora cercando di mantenere una matrice più austriaca, ora gravitando intorno alla Germania, ora come avamposto dell’Unione Sovietica. L’autrice non risparmia giudizi e commenti su scelte spesso scellerate del futuro Stato ungherese in materia di difesa nazionale, di alleanze e di entusiasmi nazionalistici, portandoci spesso a riflettere sulle radici di un’appartenenza ideologico-politica ungherese, che ancora oggi legge il proprio patriottismo come rifiuto di ogni tipo di diversità, e intransigenza nei confronti di qualsiasi minoranza o emancipazione. Nello stesso tempo non nasconde la miopia del contesto politico europeo, che mai ha tenuto conto delle lingue, delle culture e dei vincoli di varia natura, muovendosi solo secondo la ragion di Stato, e calpestando con colpa grave tessuti sociali costruiti con fatica, ma tra loro in equilibrio.

EVENTI FAMIGLIARI E GRANDE STORIA Le divisioni, le rivalità, gli odi della grande Storia ricadono inevitabilmente sulle vite delle persone, e la famiglia Harmat non sfugge al destino della propria geografia. Così, onesti e pacifici funzionari si ritrovano, loro malgrado, in prima linea nella difesa delle proprie appartenenze. Figli devoti raggiungono la loro maturità schierandosi contro le idee dei genitori. Fratelli trasformano il loro affetto sincero in rivalità insanabili. Le famiglie si dividono tra il sostegno al Partito Comunista e la fede cieca nel nazionalismo fiancheggiatore del nazismo. E, come in tutta l’Ungheria, alcuni difenderanno strenuamente i diritti umani e l’uguaglianza fra le genti, mentre altri sosterranno lo sterminio degli Ebrei. Nessuno verrà risparmiato dal vento violento delle guerre mondiali, la Prima perché distrugge gli Stati e la loro geografia, la Seconda perché distrugge gli equilibri di tutti e di ciascuno. Fino al 1952, quando una cerimonia nascosta (ma in realtà tutti ne sono a conoscenza) celebra il battesimo dell’ultima nata, ovvero la stessa scrittrice, che ora fa da custode e da testimone alla storia della sua famiglia.

LO STILE NARRATIVO La narrazione si avvale di uno stile freschissimo e non accademico, eppure puntuale e non retorico. I paragrafi in corsivo sono della voce narrante, dei suoi ricordi diretti, delle sue impressioni, e servono a dare nuovi spunti di riflessione, ma sono anche una tregua alla lettura, quando gli eventi storici rischiano di impadronirsi della scena. Nei corsivi vengono spesso anticipati eventi, ed elementi narrativi successivi, e questo movimenta piacevolmente la lettura, creando un’aspettativa degna di ogni buon romanzo d’azione.

LA SCRITTRICE Agi Berta spesso sembra usare i ricordi come una terapia, come se stesse compiendo un rito liberatorio, o stesse pagando un debito morale. Forse si tratta di tutte queste cose. Aggiungo che la stessa Agi Berta non è certo nuova alla letteratura: da oltre 40 anni vive a Napoli, dove si è laureata in Storia dell’Europa Orientale, dopo gli studi nella nativa Ungheria e in Polonia. In Italia ha pubblicato racconti, ha collaborato con testate giornalistiche e si è affermata come traduttrice dall’ungherese. E’ sua la splendida traduzione di Ferenc Karinthy, autore del bellissimo “Epepe”, considerato un classico della letteratura moderna ungherese, pubblicato in Italia prima da Voland e ora da Adelphi. Una scrittura e una storia così incisive, avrebbero però meritato una maggiore attenzione nella cura grafica del libro: la bella foto di copertina non basta a silenziare una quarantina di refusi.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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