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''Doppia morte al Governo Vecchio'' di Ugo Moretti
SoloLibri.net di marted 14 gennaio 2020


di Felice Laudadio
“S’i fossi foco arderei lo mondo, s’i fossi acqua lo annegherei, s’i fossi vento lo tempesterei”. È così che si può immaginare Ugo Moretti (1918-1991), tra i protagonisti della Roma inquieta del secondo dopoguerra, del neorealismo culturale e delle notti di Via Veneto. Intellettuale, giornalista, sceneggiatore, scrittore, autore di numerosi romanzi, oltre venti gialli, sotto svariati pseudonimi. Il più famoso è certamente Doppia morte al Governo Vecchio, in prima edizione nel 1960, tornato d’attualità una prima volta nel 1977 e ora per iniziativa di Diego Zandel, Oltre Edizioni (2019, collana I gialli Oltre, 186 pagine, 16 euro).
Una scrittura ironica, brillante, fuori dalle righe, un libro divertente, anche irriverente, valorizzato dalla natura istrionica dell’autore. Zandel, che gli è stato amico nonostante i trent’anni di divario anagrafico, si dichiara conquistato fin dal primo incontro dal personaggio Moretti. Ne aveva colto il coraggio di non essere sceso a compromessi col mestiere di scrittore, dal quale traeva l’unica fonte di reddito e pure precaria. Dichiarava di vivere da solo, pur avendo avuto molte donne (con sette aveva vissuto una lunga relazione, le chiamava mogli). Interprete in chiave italiana del sogno di una vita bohémien, alla Hemingway, avventure e viaggi:
era un libertino, gran tombeur de femmes, cultore di pratiche sessuali che gli avevano dato una grande conoscenza della natura femminile, delle donne in genere, per le quali aveva una venerazione tale che lo rendeva particolarmente attento alle loro sensibilità e desideri.
In testa a numerose pagine dedicate alla loro amicizia e prima del romanzo, è così che in poche righe viene riassunta la vita dello scrittore:
Ugo Moretti ebbe una carriera dispersiva e oscura, nonostante l’esordio promettente con “Vento caldo”, che ottenne il Premio Viareggio Opera Prima nel 1949 e fu tradotto in otto Paesi. Accanto a quelli che sono considerati i suoi romanzi più significativi, va ricordata una nutrita produzione di gialli, sotto pseudonimo. Viene anche ricordato per le sue sceneggiature, tra le più famose: “La mano nera” (1973) e “Doppio delitto” (1977). Nel 1965 ebbe anche un ruolo come attore nel film “Con rispetto parlando”.
Doppio delitto, per la regia del grande Steno e con Marcello Mastroianni come protagonista, è la versione per il grande schermo proprio del giallo principe dello scrittore umbro. Via del Governo Vecchio è una strada del centro storico di Roma, che collega piazza dell’Orologio a piazza di Pasquino o, se vogliamo, ponte dell’Angelo a piazza Navona. Deve il nome al trasferimento nel 1755 a palazzo Madama della sede del Governo Pontificio, ospitato prima in palazzo Nardini, al civico 39, che divenne così il vecchio Governo. Ma è in un vicolo di Trastevere, oltre il fiume, che dieci anni prima dei fatti si incontra Dindo (Armando) Baldassarre, commissario di polizia protagonista di un incontro fortunato per un pluriomicida, ma disastroso per la sua carriera nel Corpo della Pubblica Sicurezza. Sopraggiungendo per caso e sovrappensiero nei pressi della bottega in cui quattro tipi sono stati testè sbudellati, non solo non riconosce l’assassino, nonostante le mani sporche di sangue, che scambia per brina notturna, ma lo aiuta anche a far partire una moto e filare via. I vicini, accorsi, lo scambiano per un complice.
Silenzio, ordine, tutti indietro, sono il commissario. Sì e mio nonno è il ministro degli Interni.
Evita per un pelo un’espulsione ignominiosa e viene collocato nell’Archivio Corpi di Reato, punizione che riesce incredibilmente a mettere a frutto, dedicandosi a un fruttuoso commercio di reperti legati a casi criminali (da mettere all’asta dopo un decennio, ma con regolari bollette). Adesso Dindo è quarantenne, meno rampante ma ancora vice commissario aggiunto e tale prevede di restare. Scavando nella vita dell’archivista che lo ha preceduto, morto per aver ingerito cianuro scambiato per un innocuo antidolorifico, ha scoperto un locale segreto del defunto, in via del Governo Vecchio, pieno zeppo di ogni ben di Dio repertale. Materiale felicemente commerciabile. C’è un giro di collezionisti e feticisti del crimine che paga bene, a seconda della rarità dell’oggetto. A cosa gli servono i soldi che guadagna clandestinamente? A coltivare la sua passione. Le donne, sebbene abbia meno capelli e meno occasioni perché sposato con Adriana? Niente affatto: dipingere.
Tutto bene quel che comincia bene – e in segreto - fino al delitto che segnerà una svolta. Nello storico edificio, sembra un incidente il decesso del vecchio e nobile proprietario del palazzo e di Romolo, lo stagnaro, partner di Baldassarre sui tavoli del tresette. Se il caso prendesse un’altra piega, diciamo omicidiaria, la vita e la carriera di Dindo ne trarrebbero benefici certi e per i lettori sarebbe grasso che cola. Non c’è cinico dubbio che tenga.


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di Felice Laudadio
“S’i fossi foco arderei lo mondo, s’i fossi acqua lo annegherei, s’i fossi vento lo tempesterei”. È così che si può immaginare Ugo Moretti (1918-1991), tra i protagonisti della Roma inquieta del secondo dopoguerra, del neorealismo culturale e delle notti di Via Veneto. Intellettuale, giornalista, sceneggiatore, scrittore, autore di numerosi romanzi, oltre venti gialli, sotto svariati pseudonimi. Il più famoso è certamente Doppia morte al Governo Vecchio, in prima edizione nel 1960, tornato d’attualità una prima volta nel 1977 e ora per iniziativa di Diego Zandel, Oltre Edizioni (2019, collana I gialli Oltre, 186 pagine, 16 euro).
Una scrittura ironica, brillante, fuori dalle righe, un libro divertente, anche irriverente, valorizzato dalla natura istrionica dell’autore. Zandel, che gli è stato amico nonostante i trent’anni di divario anagrafico, si dichiara conquistato fin dal primo incontro dal personaggio Moretti. Ne aveva colto il coraggio di non essere sceso a compromessi col mestiere di scrittore, dal quale traeva l’unica fonte di reddito e pure precaria. Dichiarava di vivere da solo, pur avendo avuto molte donne (con sette aveva vissuto una lunga relazione, le chiamava mogli). Interprete in chiave italiana del sogno di una vita bohémien, alla Hemingway, avventure e viaggi:
era un libertino, gran tombeur de femmes, cultore di pratiche sessuali che gli avevano dato una grande conoscenza della natura femminile, delle donne in genere, per le quali aveva una venerazione tale che lo rendeva particolarmente attento alle loro sensibilità e desideri.
In testa a numerose pagine dedicate alla loro amicizia e prima del romanzo, è così che in poche righe viene riassunta la vita dello scrittore:
Ugo Moretti ebbe una carriera dispersiva e oscura, nonostante l’esordio promettente con “Vento caldo”, che ottenne il Premio Viareggio Opera Prima nel 1949 e fu tradotto in otto Paesi. Accanto a quelli che sono considerati i suoi romanzi più significativi, va ricordata una nutrita produzione di gialli, sotto pseudonimo. Viene anche ricordato per le sue sceneggiature, tra le più famose: “La mano nera” (1973) e “Doppio delitto” (1977). Nel 1965 ebbe anche un ruolo come attore nel film “Con rispetto parlando”.
Doppio delitto, per la regia del grande Steno e con Marcello Mastroianni come protagonista, è la versione per il grande schermo proprio del giallo principe dello scrittore umbro. Via del Governo Vecchio è una strada del centro storico di Roma, che collega piazza dell’Orologio a piazza di Pasquino o, se vogliamo, ponte dell’Angelo a piazza Navona. Deve il nome al trasferimento nel 1755 a palazzo Madama della sede del Governo Pontificio, ospitato prima in palazzo Nardini, al civico 39, che divenne così il vecchio Governo. Ma è in un vicolo di Trastevere, oltre il fiume, che dieci anni prima dei fatti si incontra Dindo (Armando) Baldassarre, commissario di polizia protagonista di un incontro fortunato per un pluriomicida, ma disastroso per la sua carriera nel Corpo della Pubblica Sicurezza. Sopraggiungendo per caso e sovrappensiero nei pressi della bottega in cui quattro tipi sono stati testè sbudellati, non solo non riconosce l’assassino, nonostante le mani sporche di sangue, che scambia per brina notturna, ma lo aiuta anche a far partire una moto e filare via. I vicini, accorsi, lo scambiano per un complice.
Silenzio, ordine, tutti indietro, sono il commissario. Sì e mio nonno è il ministro degli Interni.
Evita per un pelo un’espulsione ignominiosa e viene collocato nell’Archivio Corpi di Reato, punizione che riesce incredibilmente a mettere a frutto, dedicandosi a un fruttuoso commercio di reperti legati a casi criminali (da mettere all’asta dopo un decennio, ma con regolari bollette). Adesso Dindo è quarantenne, meno rampante ma ancora vice commissario aggiunto e tale prevede di restare. Scavando nella vita dell’archivista che lo ha preceduto, morto per aver ingerito cianuro scambiato per un innocuo antidolorifico, ha scoperto un locale segreto del defunto, in via del Governo Vecchio, pieno zeppo di ogni ben di Dio repertale. Materiale felicemente commerciabile. C’è un giro di collezionisti e feticisti del crimine che paga bene, a seconda della rarità dell’oggetto. A cosa gli servono i soldi che guadagna clandestinamente? A coltivare la sua passione. Le donne, sebbene abbia meno capelli e meno occasioni perché sposato con Adriana? Niente affatto: dipingere.
Tutto bene quel che comincia bene – e in segreto - fino al delitto che segnerà una svolta. Nello storico edificio, sembra un incidente il decesso del vecchio e nobile proprietario del palazzo e di Romolo, lo stagnaro, partner di Baldassarre sui tavoli del tresette. Se il caso prendesse un’altra piega, diciamo omicidiaria, la vita e la carriera di Dindo ne trarrebbero benefici certi e per i lettori sarebbe grasso che cola. Non c’è cinico dubbio che tenga.


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