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'Doppia morte al Governo Vecchio' di Ugo Moretti
leggindipendente.com di marted 14 gennaio 2020


di Serena Pisaneschi
Cari lettori, oggi la nostra Serena Pisaneschi ci parla di "Doppia morte al governo vecchio" di Ugo Moretti, edito da Oltre Edizioni.
Leggere “Doppia morte al Governo vecchio” è stata una boccata d'aria fresca, quella scampagnata che ti serve quando la vita ti pesa troppo, la commedia che ti fa sorridere dopo una giornata piena di cattivo umore. Secondo me andrebbe somministrato come terapia e certamente mi ha fatto scoprire un autore che non conoscevo e del quale cercherò altri lavori.

TRAMA
Dindo Baldassarre, poliziotto più dedito alla passione per la pittura che al proprio dovere professionale, un giorno si trova, suo malgrado, coinvolto in una brutta vicenda che ha visto due morti inspiegabili e improvvise. Suo malgrado, sì, perché il fattaccio accade in un quartiere popolare nel quale lui è conosciuto come un pittore squattrinato e non come un vice commissario aggiunto, e poi perché lui è impiegato all'archivio dei corpi di reato, che ne sa di investigazioni? Avvinto tra le pressioni di un capo che non sopporta e l'insofferenza della moglie, Dindo dovrà anche far fronte alla perdita dell'equilibrio che si era costruito in dieci anni di (dis)onorata carriera nella polizia.

I PERSONAGGI
Uno dopo l'altro sono caratterizzati con perfette pennellate, giusto per rimanere in un tema caro a Dindo. Ugo Moretti ce li dipinge in modo esemplare, ogni personaggio ha una sua storia, una sua inflessione, e la magia della lettura non fatica affatto a farceli figurare via via che si susseguono le pagine. Dalla giovane ragazza, al ladro incallito, al bimbo che è una piccola peste, tante vite s'intrecciano ma il lettore non farà affatto fatica a riconoscerle e tenerle bene a mente e Moretti, con maestria, tiene incollato chi assiste alle vicende senza confonderlo mai.

L'INDAGINE
In realtà una vera e propria indagine non c'è. Seppure Dindo Baldassare venga costretto a risolvere quella scomoda grana, non farà altro che cercare di barcamenarsi tra i guai con la moglie e la fedeltà agli amici del quartiere, riuscendo comunque a guadagnarsi gli onori del merito, anche se in maniera rocambolesca. Credo che la scelta di Moretti di creare un intreccio affatto basato sulle classiche investigazioni da commissariato sia una scelta vincente, il giallo regge e la scoperta di colpevole e movente è brillante. Questo suo stile dà movimento a tutto il libro, evitando il pericolo di una narrazione piatta e intrattenendo anche con ilarità, e quasi ci si scorda che sia un giallo, ma questo non è affatto un difetto, anzi!

CONCLUSIONE
Leggendo “Doppia morte al Governo Vecchio” si viene catapultati dentro uno di quelle commedie all'italiana stile “Poveri ma belli”. L'atmosfera è popolare, i protagonisti tutti straordinariamente veri, caratteristici, e la pagine scorrono via lisce come scorre il Mistrà nelle gola dei personaggi. È una lettura che consiglio perché intrattiene e fa sorridere, l'unico cruccio che mi è rimasto alla fine è che Dindo Baldassarre viva solo in questo romanzo e, non appena avrete finito l'ultima pagina, sono sicura che condividerete il mio rammarico.


leggi l'articolo integrale su leggindipendente.com
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di Serena Pisaneschi
Cari lettori, oggi la nostra Serena Pisaneschi ci parla di "Doppia morte al governo vecchio" di Ugo Moretti, edito da Oltre Edizioni.
Leggere “Doppia morte al Governo vecchio” è stata una boccata d'aria fresca, quella scampagnata che ti serve quando la vita ti pesa troppo, la commedia che ti fa sorridere dopo una giornata piena di cattivo umore. Secondo me andrebbe somministrato come terapia e certamente mi ha fatto scoprire un autore che non conoscevo e del quale cercherò altri lavori.

TRAMA
Dindo Baldassarre, poliziotto più dedito alla passione per la pittura che al proprio dovere professionale, un giorno si trova, suo malgrado, coinvolto in una brutta vicenda che ha visto due morti inspiegabili e improvvise. Suo malgrado, sì, perché il fattaccio accade in un quartiere popolare nel quale lui è conosciuto come un pittore squattrinato e non come un vice commissario aggiunto, e poi perché lui è impiegato all'archivio dei corpi di reato, che ne sa di investigazioni? Avvinto tra le pressioni di un capo che non sopporta e l'insofferenza della moglie, Dindo dovrà anche far fronte alla perdita dell'equilibrio che si era costruito in dieci anni di (dis)onorata carriera nella polizia.

I PERSONAGGI
Uno dopo l'altro sono caratterizzati con perfette pennellate, giusto per rimanere in un tema caro a Dindo. Ugo Moretti ce li dipinge in modo esemplare, ogni personaggio ha una sua storia, una sua inflessione, e la magia della lettura non fatica affatto a farceli figurare via via che si susseguono le pagine. Dalla giovane ragazza, al ladro incallito, al bimbo che è una piccola peste, tante vite s'intrecciano ma il lettore non farà affatto fatica a riconoscerle e tenerle bene a mente e Moretti, con maestria, tiene incollato chi assiste alle vicende senza confonderlo mai.

L'INDAGINE
In realtà una vera e propria indagine non c'è. Seppure Dindo Baldassare venga costretto a risolvere quella scomoda grana, non farà altro che cercare di barcamenarsi tra i guai con la moglie e la fedeltà agli amici del quartiere, riuscendo comunque a guadagnarsi gli onori del merito, anche se in maniera rocambolesca. Credo che la scelta di Moretti di creare un intreccio affatto basato sulle classiche investigazioni da commissariato sia una scelta vincente, il giallo regge e la scoperta di colpevole e movente è brillante. Questo suo stile dà movimento a tutto il libro, evitando il pericolo di una narrazione piatta e intrattenendo anche con ilarità, e quasi ci si scorda che sia un giallo, ma questo non è affatto un difetto, anzi!

CONCLUSIONE
Leggendo “Doppia morte al Governo Vecchio” si viene catapultati dentro uno di quelle commedie all'italiana stile “Poveri ma belli”. L'atmosfera è popolare, i protagonisti tutti straordinariamente veri, caratteristici, e la pagine scorrono via lisce come scorre il Mistrà nelle gola dei personaggi. È una lettura che consiglio perché intrattiene e fa sorridere, l'unico cruccio che mi è rimasto alla fine è che Dindo Baldassarre viva solo in questo romanzo e, non appena avrete finito l'ultima pagina, sono sicura che condividerete il mio rammarico.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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