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Civitavecchia, pienone per il libro 'Non ne sapevo niente' di Ernesto Berretti
terzobinario.it di domenica 26 gennaio 2020
Solo posti in piedi, venerdģ 24 gennaio all’hotel San Giorgio nella sala che ha ospitato la presentazione, a cura della Fidapa sezione cittadina, del libro “Non ne sapevo niente”, firmato Ernesto Berretti

di Cristiana Vallarino
Una risposta davvero notevole. Anche considerando che non era la prima volta che si presentava in città l’opera di Berretti, ufficiale della Guardia di Finanza di mare ormai civitavecchiese d’adozione.
Stavolta però l’attenzione sul libro – che racconta l’avventura che l’autore visse oltre 25 anni fa nei Balcani come Basco blu della Ueo – era puntata sulle figure femminili dipinte nel romanzo. Perché di romanzo si tratta, pur se basato su l’esperienza vera di un giovane italiano a contatto con una realtà e con un popolo, anzi varie etnie, di cui appunto non ne sapeva niente. E tutta la serata, presentata dall’avvocato Rosalba Padroni, socia Fidapa, e aperta dai saluti dei prestigiosi ospiti, ha avuto come filo conduttore l’esortazione alla conoscenza dell’altro, come unica vera arma contro il pregiudizio.
Al microfono si sono alternati la padrona di casa, la Presidente Fidapa Patrizia Bravetti, che ha ricordato come la Federazione abbia come obiettivo le figure femminili, siano esse emarginate o eroiche, quando sono raccontate, come nel caso delle protagoniste di libri od opere teatrali, sia quando siano loro stesse autrici. “In questo volume si parla di donne rumene – ha chiarito la dottoressa Bravetti – che noi in città abbiamo imparato da tempo a conoscere, vista la forte presenza della comunità rumena”. A portare la voce delle istituzioni il sindaco, avvocato Ernesto Tedesco, che ha ringraziato per l’evento, apprezzandone l’ottima riuscita. Poi il parlamentare on. Alessandro Battilocchio, che ha raccontato dei suoi viaggi in Romania “paese splendido che sta reinventandosi dopo gli anni bui di Ceausescu” e poi l’on. Marietta Tidei, consigliere regionale, che negli ultimi anni ha girato l’Europa come osservatrice politica e che ha sottolineato l’impegno della comunità internazionale e quanto ancora ci sia da lavorare affinché in zone critiche come i Balcani la vita possa davvero migliorare.
In prima fila anche la Presidente della Fondazione Cariciv Gabriella Sarracco e tra il pubblico la rappresentante della Comunità Rumena a Civitavecchia, la giovane Eleonora Bovi, oltre a una rappresentanza della Fidapa sezione di Tolfa.Interessante l’intervento di Octavian Haragos, che ha sottolineato la coincidenza con la giornata: “Proprio 161 anni fa nacque la Romania moderna – ha detto il consigliere dell’Ambasciata rumena in Italia, alla sua terza presentazione del libro di Berretti -. Presentazioni che ogni volta offrono chiavi di lettura diverse”.E molte saranno le interpretazioni che il volume potrà ispirare ai giovani rumeni che, in patria, studiano l’Italiano. “Il romanzo di Ernesto – ha spiegato Oana Bosca Malin, vice direttore responsabile per la promozione culturale dell’Accademia di Romania di Roma – sarà nelle biblioteche degli istituti del mio paese e poi i ragazzi ne faranno oggetto di una competizione, ricavandoci degli elaborati. Grazie all’autore per aver fornito ai rumeni che di quegli anni non ne sanno niente un pezzo in più del loro puzzle culturale”.
Al colonnello Armando Franza, a capo del Roan, il compito di spiegare in grandi linee come si organizzano rapidamente, “senza saper niente” in anticipo, le varie missioni, in Italia e all’estero, del suo reparto che opera in mare e in aria.
Ad introdurre le quattro letture, fatte dallo stasso Berretti, è stato il poliedrico dottor Gino Saladini, anatomopatologo e scrittore. Prima di tutto però il doveroso riconoscimento ad un’altra donna, protagonista dietro le quinte dell’opera di Berretti, ovvero sua moglie Rossella (in sala), che lo ha aspettato a casa per i 7 mesi della missione, con un bimbo piccolissimo e che lui per tamponare un po’ quella inevitabile partenza, consolava regalandole decine di anatre di ceramica che ora sono disseminate in salotto. “Anatre che però a me non sono mai piaciute!” ha confessato Berretti strappando risate e applausi.
“La scrittura di Ernesto – ha detto fra l’altro un entusiasta Saladini – è semplice, ortodossa direi, ma i suoi sono dialoghi cinematografici”. Poi l’autore ha offerto alla interessata platea i ritratti di donne incontrate là, in quella base dal nome “biblico”, Calafat, accompagnato dalle note di una brava flautista, la diciassettenne Giulia Galimberti. Un altro giovane talentuoso, Paolo Giorgetti, alla pianola, ha invece fatto da colonna sono a quanti del pubblico si sono trattenuti per una apericena.
In chiusura, al momento dei saluti, un’anticipazione a sorpresa fatta dal regista Enrico Maria Falconi, che gestisce la Nuova Sala Gassman: a breve con Berretti si metterà al lavoro per un adattamento teatrale di “Non ne sapevo niente”.


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Solo posti in piedi, venerdģ 24 gennaio all’hotel San Giorgio nella sala che ha ospitato la presentazione, a cura della Fidapa sezione cittadina, del libro “Non ne sapevo niente”, firmato Ernesto Berretti

di Cristiana Vallarino
Una risposta davvero notevole. Anche considerando che non era la prima volta che si presentava in città l’opera di Berretti, ufficiale della Guardia di Finanza di mare ormai civitavecchiese d’adozione.
Stavolta però l’attenzione sul libro – che racconta l’avventura che l’autore visse oltre 25 anni fa nei Balcani come Basco blu della Ueo – era puntata sulle figure femminili dipinte nel romanzo. Perché di romanzo si tratta, pur se basato su l’esperienza vera di un giovane italiano a contatto con una realtà e con un popolo, anzi varie etnie, di cui appunto non ne sapeva niente. E tutta la serata, presentata dall’avvocato Rosalba Padroni, socia Fidapa, e aperta dai saluti dei prestigiosi ospiti, ha avuto come filo conduttore l’esortazione alla conoscenza dell’altro, come unica vera arma contro il pregiudizio.
Al microfono si sono alternati la padrona di casa, la Presidente Fidapa Patrizia Bravetti, che ha ricordato come la Federazione abbia come obiettivo le figure femminili, siano esse emarginate o eroiche, quando sono raccontate, come nel caso delle protagoniste di libri od opere teatrali, sia quando siano loro stesse autrici. “In questo volume si parla di donne rumene – ha chiarito la dottoressa Bravetti – che noi in città abbiamo imparato da tempo a conoscere, vista la forte presenza della comunità rumena”. A portare la voce delle istituzioni il sindaco, avvocato Ernesto Tedesco, che ha ringraziato per l’evento, apprezzandone l’ottima riuscita. Poi il parlamentare on. Alessandro Battilocchio, che ha raccontato dei suoi viaggi in Romania “paese splendido che sta reinventandosi dopo gli anni bui di Ceausescu” e poi l’on. Marietta Tidei, consigliere regionale, che negli ultimi anni ha girato l’Europa come osservatrice politica e che ha sottolineato l’impegno della comunità internazionale e quanto ancora ci sia da lavorare affinché in zone critiche come i Balcani la vita possa davvero migliorare.
In prima fila anche la Presidente della Fondazione Cariciv Gabriella Sarracco e tra il pubblico la rappresentante della Comunità Rumena a Civitavecchia, la giovane Eleonora Bovi, oltre a una rappresentanza della Fidapa sezione di Tolfa.Interessante l’intervento di Octavian Haragos, che ha sottolineato la coincidenza con la giornata: “Proprio 161 anni fa nacque la Romania moderna – ha detto il consigliere dell’Ambasciata rumena in Italia, alla sua terza presentazione del libro di Berretti -. Presentazioni che ogni volta offrono chiavi di lettura diverse”.E molte saranno le interpretazioni che il volume potrà ispirare ai giovani rumeni che, in patria, studiano l’Italiano. “Il romanzo di Ernesto – ha spiegato Oana Bosca Malin, vice direttore responsabile per la promozione culturale dell’Accademia di Romania di Roma – sarà nelle biblioteche degli istituti del mio paese e poi i ragazzi ne faranno oggetto di una competizione, ricavandoci degli elaborati. Grazie all’autore per aver fornito ai rumeni che di quegli anni non ne sanno niente un pezzo in più del loro puzzle culturale”.
Al colonnello Armando Franza, a capo del Roan, il compito di spiegare in grandi linee come si organizzano rapidamente, “senza saper niente” in anticipo, le varie missioni, in Italia e all’estero, del suo reparto che opera in mare e in aria.
Ad introdurre le quattro letture, fatte dallo stasso Berretti, è stato il poliedrico dottor Gino Saladini, anatomopatologo e scrittore. Prima di tutto però il doveroso riconoscimento ad un’altra donna, protagonista dietro le quinte dell’opera di Berretti, ovvero sua moglie Rossella (in sala), che lo ha aspettato a casa per i 7 mesi della missione, con un bimbo piccolissimo e che lui per tamponare un po’ quella inevitabile partenza, consolava regalandole decine di anatre di ceramica che ora sono disseminate in salotto. “Anatre che però a me non sono mai piaciute!” ha confessato Berretti strappando risate e applausi.
“La scrittura di Ernesto – ha detto fra l’altro un entusiasta Saladini – è semplice, ortodossa direi, ma i suoi sono dialoghi cinematografici”. Poi l’autore ha offerto alla interessata platea i ritratti di donne incontrate là, in quella base dal nome “biblico”, Calafat, accompagnato dalle note di una brava flautista, la diciassettenne Giulia Galimberti. Un altro giovane talentuoso, Paolo Giorgetti, alla pianola, ha invece fatto da colonna sono a quanti del pubblico si sono trattenuti per una apericena.
In chiusura, al momento dei saluti, un’anticipazione a sorpresa fatta dal regista Enrico Maria Falconi, che gestisce la Nuova Sala Gassman: a breve con Berretti si metterà al lavoro per un adattamento teatrale di “Non ne sapevo niente”.


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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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