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Lino Lava - Giuseppe Pietrobelli  Lino Lava - Giuseppe Pietrobelli
Navi di amianto




copertina di Andrew Tosh
La battaglia persa della Marina Militare Italiana non si è combattuta in mare, ma nelle sale macchine, nei dormitori e nelle sale mensa delle navi, dentro i sommergibili, negli Arsenali di La Spezia, Taranto e Augusta. La battaglia persa, che dura da decenni e non è ancora conclusa, non ha avuto come avversaria una flotta pronta a invadere le nostre coste, ma un nemico invisibile, l'amianto, che ha causato centinaia di morti.
È dal 1992 che il minerale è stato messo al bando da una legge dello Stato, eppure le navi hanno continuato a restare in servizio, a navigare con i loro equipaggi e con il loro carico letale. E ancora oggi, un quarto di secolo dopo, i marinai e gli ufficiali continuano ad ammalarsi, vittime del mesotelioma o di altre forme di tumore causate dall'inalazione delle terribili fibre che si insediano nei polmoni o nella pleura, dove possono restare latenti anche per trent'anni. E le bonifiche a bordo non si sono ancora concluse, nonostante il Ministero della Difesa assicuri che non c'è pericolo, che l'amianto è tutto rimosso o è stato messo in sicurezza dalla metà degli anni Novanta.

Il libro di Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli, giornalisti de "Il Gazzettino", il primo cronista giudiziario di lungo corso, il secondo inviato speciale, non è solo la ricostruzione di un'istruttoria che ha messo sotto accusa i vertici della Marina Militare.
È anche il racconto di tante storie di bravi ragazzi che hanno dato i loro anni migliori e la loro vita professionale alla Marina, e che sono stati colpiti da un male che non perdona.


 
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Oltre edizioni
Pubblicato il 01/09/2017
pagine: 250
formato: cm. 14 x 21
copertina: softback con alette — brossura
collana: PBS
genere: Indagini e Inchieste
ISBN: 9788899932138

Prezzo di copertina € 16.00
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La battaglia persa della Marina Militare Italiana non si è combattuta in mare, ma nelle sale macchine, nei dormitori e nelle sale mensa delle navi, dentro i sommergibili, negli Arsenali di La Spezia, Taranto e Augusta. La battaglia persa, che dura da decenni e non è ancora conclusa, non ha avuto come avversaria una flotta pronta a invadere le nostre coste, ma un nemico invisibile, l'amianto, che ha causato centinaia di morti.
È dal 1992 che il minerale è stato messo al bando da una legge dello Stato, eppure le navi hanno continuato a restare in servizio, a navigare con i loro equipaggi e con il loro carico letale. E ancora oggi, un quarto di secolo dopo, i marinai e gli ufficiali continuano ad ammalarsi, vittime del mesotelioma o di altre forme di tumore causate dall'inalazione delle terribili fibre che si insediano nei polmoni o nella pleura, dove possono restare latenti anche per trent'anni. E le bonifiche a bordo non si sono ancora concluse, nonostante il Ministero della Difesa assicuri che non c'è pericolo, che l'amianto è tutto rimosso o è stato messo in sicurezza dalla metà degli anni Novanta.

Il libro di Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli, giornalisti de "Il Gazzettino", il primo cronista giudiziario di lungo corso, il secondo inviato speciale, non è solo la ricostruzione di un'istruttoria che ha messo sotto accusa i vertici della Marina Militare.
È anche il racconto di tante storie di bravi ragazzi che hanno dato i loro anni migliori e la loro vita professionale alla Marina, e che sono stati colpiti da un male che non perdona.



GLI AUTORI
Lino Lava – Nato a Treviso, vive a Padova. Dopo aver collaborato con il settimanale “7 Giorni Veneto”, nel 1978 viene assunto dal quotidiano “L’Eco di Padova” del Gruppo Rizzoli. Nel 1979 gli è affidata la direzione del telegiornale di “Antenna Tre Veneto”. Nel 1983 passa a “Il Gazzettino” e si occupa di terrorismo, sequestri di persona, mafia, seguendo le grandi inchieste giudiziarie del Nordest. Collabora ancora a “Il Gazzettino”. Nel 2009 ha pubblicato per Ibiskos Editrice Risolo il romanzo Le Figure Piane e nel 2012, per Betelgeuse, il saggio Quattro Gialli del Nordest.

Giuseppe Pietrobelli – Nato a Schio, vive a Treviso. Si è laureato in Filosofia e Scienze Politiche all'Università di Padova. Per oltre vent'anni, come inviato speciale del quotidiano “Il Gazzettino” (per il quale continua a collaborare), si è occupato di politica, costume, cronaca nera e giudiziaria, raccontando fatti e misfatti del Nordest, e non solo. Oggi scrive anche per “Il Fatto Quotidiano” e il giornale on-line “ilfattoquotidiano.it”. Con Marsilio Editore ha pubblicato nel 2009 Gli anni delle toghe.

 
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Pubblicato il 01/09/2017
pagine: 250
formato: cm. 14 x 21
copertina: softback con alette — brossura
collana: PBS
genere: Indagini e Inchieste
ISBN: 9788899932138

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Libro accusa molto crudo e veritiero, da leggere tutto d'un fiato, che mette in mostra lo scarso senso di responsabilit che ha lo stato nei confronti dei suoi "fedeli servitori".

Antonino S. (via Amazon), 27/10/2017

 

 
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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