La memoria dei martiri delle Foibe è oltraggiata da pseudo-storici e da case editrici partigiane, ma registra anche il riconoscimento dei grandi media, come nel caso della paginata dedicata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera alla patriota Maria Pasquinelli.
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Fare chiarezza onestamente: questa è la parola d’ordine delle associazioni dei sopravvissuti e degli esuli. Hanno ragione gli esuli di terza generazione di origine istriana, dalmata e giuliana ad affermare che bisogna puntare non solo alla Giornata del Ricordo, che cade ogni 10 Febbraio, ma soprattutto a produrre studi e informazione per alimentare il ricordo dei Martiri dell’olocausto del confine orientale italiano. Questa nuova politica, di impostazione culturale, è stata varata da Carla Cace, neopresidente dell’Associazione nazionale dalmati, la quale sostiene che il miglior modo per commemorare le vittime italiane della pulizia etnica realizzata dai comunisti titini nel 1943-1947, è proprio fare chiarezza con studi, testimonianze, recupero di salme rimaste nelle foibe. Anche per contrastare il negazionismo. Infatti, è notizia di alcuni giorni fa che il Consiglio regionale del Veneto ha approvato una mozione (primo firmatario Raffaele Speranzon di FdI) che prevede che non vengano finanziate le associazioni che sostengono il negazionismo e il riduzionismo sul dramma delle foibe. Niente più soldi, quindi, a coloro che invece di effettuare studi fanno solo propaganda politica sulla pelle di quanti sono stati uccisi e gettati nelle foibe. La sinistra ha votato contro la mozione e questo la dice lunga. La speranza è che gli studi – come per tutte le vicende di ogni epoca storica – vengano incrementati.
Nelle foibe, cavità carsiche profonde centinaia di metri, vennero gettate decine di migliaia di italiani, o in mare con una pietra al collo. Seguivano stermini, torture, violenze sulle donne. Insomma, tutte le gesta dei partigiani comunisti titini con i collaborazionisti partigiani italiani va ricordato alle nuove generazioni. Per non far scadere quelle vicende nell’ambito delle generiche violenze del ‘900.
Non solo. Va ricordata anche la conseguenza di questo sterminio: l’esodo di oltre 300mila profughi dalmati, giuliani, istriani, che persero tutto e furono anche maltrattati in Italia dai comunisti italiani che appoggiavano i comunisti titini e non i compatrioti. Anche perché questa era la linea dettata dal PCI. In seguito gli jugoslavi proseguirono nella loro politica di depredazione e corruzione espropriando le terre italiane, appropriandosi delle case italiane, continuando a uccidere gli italiani rimasti in quella zona, perseguitando le minoranze, che in tutte le nazioni in genere sono state sempre tutelate. Azioni barbare che favorirono la diaspora.
Da poco è in libreria un’opera di particolare interesse per la ricchezza della documentazione. Il libro è frutto di un’opera di curatela di due giornaliste, Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti (Tutto ciò che vedi. Parla Maria Pasquinelli, Oltre ed., pagg. 386, euro 21,00) con testi raccolti proprio in quei giorni tragici da Maria Pasquinelli (1913-2013). L’autrice è nota perché il 10 febbraio del 1947 uccise a revolverate il generale britannico Robert De Winton, massima autorità alleata nella città di Pola (Istria), per protestare contro il trattato firmato quel giorno stesso a Parigi, che assegnava l’Istria, la Dalmazia e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Fu la decisione delle potenze vincitrici. Coraggiosa, Maria Pasquinelli. Fervente fascista, iscritta al Partito nazionale fascista, volontaria alla Scuola di Mistica fascista e poi aderente al Partito fascista repubblicano, volle con quel gesto colpire la decisione degli Alleati rivendicando l’italianità di quelle terre. Fedele fino alla fine, fu condannata all’ergastolo. Maestra nella vita, svolse nel 1944-45 attività informativa sul confine orientale per la X Flottiglia Mas entrando in collegamento direttamente con il comandante Junio Valerio Borghese. Il libro contiene testimonianze, interviste, dichiarazioni, fotografie, stralci di giornali dell’epoca sulle foibe e sui massacri titini, sulle fosse comuni, insomma sulla politica sterminazionista dei comunisti jugoslavi nelle terre italiane. Talvolta aiutati da collaborazionisti partigiani italiani. Le modalità di esecuzione e di tortura usate dai comunisti titini erano raccapriccianti per estrema violenza e sadismo. Tutto questo è confermato dal materiale raccolto da Pasquinelli (con tanto di testimonianze scritte, e nomi, cognomi e firme), custodito in un baule depositato dall’arcivescovo Antonio Santin nel caveau di una banca. Solo pochi anni fa il materiale è stato “desecretato” e affidato alle due giornaliste che ne hanno curato la pubblicazione. Una testimonianza con tanto di fatti, vicende, esecuzioni sommarie di itaiani che avevano la colpa di essere italiani.
Una pecca nel libro c’è. All’inizio, nella pur interessante introduzione, Ezio Giuricin paga pegno al “politicamente corretto” offrendo interpretazioni non sempre in linea con quanto è successo. Basta leggere le testimonianze. Chiude il libro un triste e impressionante elenco di 228 istriani uccisi dai partigiani slavi comunisti nel settembre e ottobre 1943. Fabbri, impiegati, docenti, casalinghe, agricoltori, meccanici, un lungo elenco di persone qualunque, colpevoli solo di essere orgogliosamente italiane.
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