Lei è una delle figure di spicco della cultura triestina e una voce importante della memoria istriana e sicuramente il cruccio di molti esuli, continuamente impegnati a ricordare la loro storia è riavere l’identità negata, sicuramente molte cose sono cambiate dal momento in cui è stato riconosciuto ed istituito il Giorno del Ricordo, ma ancora c’è tanta strada da fare. Quale il suo pensiero?
“Non esiste il colpo di spugna che possa cancellare sessant’anni di silenzio sulla vicenda delle terre dell’Adriatico orientale ed è un segno che rimarrà per sempre. Si può certamente recuperare, come si sta facendo, e ci si può proiettare nel futuro, la cosa più difficile ma l’unica possibile. Il Giorno del Ricordo offre oggi questa opportunità, ovvero di costruire un sentire aperto e positivo per le nuove generazioni, attraverso l’analisi obiettiva della storia e la sua rappresentazione attraverso l’arte e la bellezza. Le tragedie della guerra peseranno sempre sulla memoria collettiva ma se vogliamo continuare ad esistere si dovrà scegliere la strada della comprensione e della catarsi. Sapere per crescere”.
Molti sostengono che esuli e rimasti si sono trovarti sotto governi che hanno voluto nascondere la storia, è d’accordo con questa disamina?
“Non posso che essere d’accordo. Oggi sappiamo che la consegna del silenzio è stata imposta per decenni e chi sapeva ha dovuto tacere. Molti dei protagonisti di questa storia negata sono andati avanti, per fortuna hanno lasciato racconti e testimonianze che oggi ci permettono di analizzare pagine di storia occultate o sminuite”.
Tutto ciò che vidi (Oltre edizioni), il suo ultimo libro scritto con Rossana Poletti, sta riscuotendo grande successo ed interesse da parte del pubblico affrontando un tema molto interessante ma anche molto scomodo, ce ne vuole parlare?
“E’ parte della storia di Maria Pasquinelli, una maestra di Bergamo, che il 10 febbraio del 1947 a Pola, per protestare contro i grandi che stavano consegnando le terre italiane dell’Adriatico orientale ai titini, sparò e uccise il loro massimo rappresentante in città, il generale inglese Robert De Winton. Prima che ciò succedesse, aveva vissuto la tragedia di Spalato nel 1943 mentre nel 1945 aveva girato l’Istria, indagando sulla tragedia delle foibe con una incredibile competenza giornalistica. Lo scopo era di stilare delle relazioni veritiere e documentate per convincere il Governo del Sud – e poi i partigiani della formazione Osoppo – di intervenire in Istria per farla rimanere terra italiana. Materiale custodito per decenni in una cassa dentro ad una banca di Trieste. Quando ho intervistato l’ergastolana Pasquinelli per il primo libro uscito nel 2007 ha voluto che questo suo materiale l’avessi io. Ci sono voluti anni per studiare il contenuto e renderlo pubblico in questo libro. E’ uno spaccato di storia di incredibile peso e valore che molte persone stanno leggendo”.
Lei ha da poco ricevuto il premio Tomizza del Club Lions Trieste Europa e uno dei passi della motivazione sottolinea proprio il suo impegno vissuto come missione, un riconoscimento conferito per l’impegno profuso a favore della pacifica convivenza dei popoli dell’area transfrontaliera. Veder riconosciuto il proprio impegno, risultato di sacrifici, passione, rinunce e sicuramente anche delusioni, ecco tra i tanti comportamenti ostativi che si incontrano nel perseguire missioni come la sua, quale l’ha amareggiata di più e quale, al contrario le ha infuso energia?
“C’è la mia vita in questa domanda…Quando si ha il coraggio di osare, le delusioni si moltiplicano perché è difficile e impopolare proporre progetti innovativi, indicare altre strade, dare consistenza ai sogni ma quale soddisfazione quando le idee si realizzano. O si vince un premio come il Tomizza di cui sono profondamente felice per la stima che ho sempre avuto per lo scrittore, onorata di entrare in una rosa di personaggi eccellenti. E’ un continuo equilibrismo tra sofferenza e soddisfazione. La grande felicità della mia vita è proprio nel lavoro che ho potuto svolgere sempre, nonostante difficoltà e chiusure, anche dopo aver cambiato Paese, il giornalismo è stata la mia forza. Ho tenuto duro perché ci ho sempre creduto. Mi ha amareggiata il giudizio degli incompetenti, mi infonde energia la solidarietà di tanti amici che continuano a darmi credito. E mi rende felice vedere che altri cercano di riproporre le mie idee anche se lo fanno senza di me. Significa che ho vinto”.
In molti suoi romanzi lei racconta il femminile, descrive la donna istriana, ma com’è la donna istriana?
“Quelle giovani e acculturate che ho avuto modo di conoscere e frequentare hanno la forza di spostare le montagne. A volte sono scomode perché non è facile seguire il loro genio. Le altre hanno la saggezza della terra, la fantasia del marinaio, sono materne e la loro compagnia è come un pane caldo, consola. Ne ho scritto perché ne ammiro il coraggio e la filosofia di vita, concreta con qualche vezzo concesso alla vanità e con una sana follia che ogni tanto deborda e coinvolge tutti. Sono l’anima della festa e questo mi piace. Sono custodi delle tradizioni, di usi e costumi, regine della cucina dal cuore generoso, la loro casa è un porto sicuro. Forse idealizzo ma parto dall’esperienza personale, dalla famiglia e da tutti gli incontri organizzati per scrivere i miei libri. Il loro abbraccio è istintivo e forte. Aveva ragione Guido Miglia, giornalista e scrittore, a definire l’Istria una quercia, come le sue donne”.
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