«Racconto del Kosovo e del suo tentativo di affrontare il passato per trovare pace»

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12/04/2021, ore 16:33

Il Kosovononfa notizia. Sarà perché è ancora uno Stato non formalmente Stato o perché è troppo complicato spiegare ciò che accade dalle parti di Pristina, dovendolo contestualizzare all’interno della guerra civile balcanica a partire dalla dissoluzione della Federazione jugoslava.
È convinta del contrario Benedetta Arrighini, 26enne bresciana, fresca laureata in Giurisprudenza all’Università di Trento e che ha pubblicato il suo primo lavoro dal titolo «Kosovo tra guerra e crimini» per Oltre edizioni (276 pagine, 21 euro) che sarà in libreria dal 15 aprile. O meglio la Arrigini è convinta della necessità di raccontare del Kosovo, per il fatto in sé ma anche perché come si legge nel sottotitolo del libro: affrontare il passato (serve per) affrontare il presente. Un’idea questa che va oltre il caso kosovaro o balcanico ma si applica anche ad altri casi.

Come nasce l’interesse per il Kosovo?

Al tempo delle superiori mi sono appassionata alle questioni balcaniche grazie ad una gita a Sarajevo. Mi ricordo che prima di partire mi ero letta «Venuto al mondo» di Margaret Mazzantini. L’interesse è cresciuto negli anni dell’università ed è culminato con una tesi in Diritto penale internazionale sul Tribunale speciale per il Kosovo. Nel frattempo ho collaborato con l’Osservatorio BalcaniCaucaso e Transeuropa ed è nata la possibilità di pubblicare la mia tesi. Ovviamente alleggerita di alcune parti molto tecniche.

Ha scelto un caso ancora poco studiato e recentissimo. Perché?

È vero, si è parlato molto negli anni del Tribunale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia e pochissimo di quello per il Kosovo che ne è di fatto un’emanazione e che è stato voluto fortemente dall’Unione europea. Le ragioni del mio interesse sono legate al fatto che si tratta di un caso di «Giustizia di transizione», ovvero il modo in cui uno Stato si confronta con crimini che sono avvenuti al suo interno nel passato recente in modo da trasformare la società in democratica e pacifica. E ancor di più il fatto che in Kosovo questo processo sia ancora in corso.

Per lei quindi non si è trattato solo di uno studio giuridico?

È molto interessante capire come si sviluppa il tribunale che è previsto all’interno della Costituzione di Pristina: i kosovari hanno accettato di inserirlo su richiesta dell’Ue. Ma è chiaro che ho una convinzione più profonda, ovvero che i popoli devono fare i conti con il proprio passato se vogliono affrontare il futuro con istituzioni democratiche solide. In Italia abbiamo fatto davvero i conti con i crimini del nazifascismo? Non ne sono così convinta. Ma parlando di giustizia di transizione ci sono tanti altri casi: la Germania post caduta del muro, la Spagna postfranchista, senza dimenticare tutti i Paesi dell’America Latina o ancora il Sudafrica. In tutti questi casi la ricerca della verità sui crimini contro l’umanità aveva come obiettivo quello di individuare i colpevoli ma anche costruire una società più giusta.

Restando al Tribunale per il Kosovo, questo nasce partendo da un’accusa molto pesante.

Sì, che l’Uck abbia utilizzato il traffico di organi per finanziarsi e che le vittime non fossero solo prigionieri di guerra, ma anche kosovari considerati collaborazionisti dei serbi e rom. Il punto è che per ora non ci sono ancora state prove tangibili che questo sia accaduto e il Tribunale non ha mai ottenuto testimonianze su questo. Per altro i fatti contestati risalgono al 1999 e più ci si allontana da quella data più diventa difficile ricostruire la verità. Ad ogni modo in questi mesi l’operato del Tribunale ha portato, il 4 novembre scorso, alle dimissioni del presidente kosovaro Hashim Thaci accusato di crimini contro l’umanità.

Continuerà ad occuparsi della questione kosovara?

Subito dopo la laurea ho iniziato a fare la pratica in uno studio di avvocati. Ma non nascondo che mi piacerebbe fare un dottorato e successivamente occuparmi di diritti umani e Balcani magari collaborando con una ONG o supportando il loro lavoro.
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