'Le fiamme dei Balcani' divorano una famiglia tra due guerre

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14/05/2021, ore 11:14


Un romanzo nel romanzo: Zagabria 8 aprile 2008 un ragazzo sta facendo una tesina per l'esaine di marurità su Alojzije Stepinaé, il controverso primate di Croazia, beatificato il 3 ottobre 1998 da Giovanni Paolo Il. Va nella biblioteca di casa a cercare un libro e si imbatte in una cartella con un manoscritto, che, immediatamente, catrura la sua attenzione.
È questo l'inizio, di gusto ottocentesco, di "Le fiamme dei Balcani" di Valerio Di Donato (Oltre Edizioni, 280pagine, 18euro).L'autoreèstato redattore al "Giornale di Brescia"; occupandosi di politica interna ed estera, ha dedicato particolare attenzione alla delicata questione del confine orientale. Ha approfondito le cause dell'esodo dall'Istria, Quamero e Dalmazia e seguito le guerre balcaniche. Proprio da queste sue esperienze professionali è nato questo romanzo che mette insieme questi due momenti storici, che lui ricostruisce con notevole aderenza agli aventi. I protagonisti sono il professor Antonio Fabris, Tonci per i famigliari, sua sorella Giovanna e suo cognato Marijan, il nipote Ivan e la fu. tura moglie del ragazzo, Mirna.
Proprio quando comincia l'ultima (speriamo) guerra balcanica, Toncivieneasapere chi è stato la causa della sua fuga dall'Istria. Il professore infatti è uno delle migliaia di profughi che hanno abbandonato la piccola penisola nel secondo dopoguerra e si è ricostruito una vita in Tirolo. Ma lui torna nellasuaFasanaa trovare la sorella, che è rimasta, ha sposato un croato e ha un figlio alqualeToncièaffezionato. Il nipote Ivan si sente coinvolto da quanto sta accadendo e parte per la "guerra patriottica", come la denominano subito i croati, che scoppia nel giugno del '91. Sul tormentato fronte di Vukovar Ivan viene ferito durante un'azione definita eroica. Finisce in ospedale a Karlovac dove conosce Mima e poi va in licenza a Fasana. Quello che ha visto sul fronte e il confronto con lo zio e i suoi cari fanno riflettere Ivan sulle ragioni della guerra. Non vorrebbe tornare, ma il senso del dovere e l'amore per Mirna, peraltro non ancora dichiarato, Io inducono a tornare al fronte. Ma i dubbi si ingigantiscono, lvansisentesempre più a disagio con i suoi compagni, sente che il nazionalismo esasperato sta precipitando il suo Paese in un abisso di orrori e di questo fa partecipe anche Mirna, che finirà per condividere il suo stato d'animo. Anche lei si era presentata volontaria per alleviare le sofferenze dei soldati, ma adesso capisce che la guerra non è giusta, capisce che dietro ai discorsi patriottici c'è il grande inganno dei politici che vogliono soltanto conquistare territori e potere, dividersi quel che resta della Federativa.
Parallelamente si sviluppa la vicenda di Tonci, che ha le sue origini nei travagliari anni del dopoguerra, quando lui era nel mirino dei titini perché considerato un potenziale nemico del socialismo, così pericoloso da essere eliminato. Un agente dell'Ozna, che si scoprirà essere lo zio di Mirna, viene incaricato di ucciderlo, 1na sbaglia persona e Antonio Fabris, inconsapevole del pericolo che ha corso, capisce comunque di dover andare via e si rifugia in Italia, sceglie il Tirolo, dove si sentirà due volte straniero, ma si adatta e sarà un apprezzato insegnante.
Di Donato chiude il romanzo mettendo a confronto il killer e la mancata vittima e svela anche il mistero del manoscritto.

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