A trent’anni dal “congedo” di Giorgio Caproni

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17/05/2021, ore 11:45

Nel 2017 Giorgio Caproni finì tra gli hashtag più quotati dei social in seguito all’inserimento di una sua poesia, “Versicoli ecologici” (in “Res Amissa”, raccolta di poesie uscita postuma, 1991), nella prima prova della maturità scolastica di quell’anno. La polemica fu feroce, legata all’inesplorata poetica del Novecento nelle scuole.
Un poeta, Caproni, tra i più importanti del nostro secolo, uno sconosciuto per i giovani maturandi. 

Giorgio Caproni nacque a Livorno il 7 gennaio 1912, secondogenito di Attilio, ragioniere, e di Anna Picchi, sarta e ricamatrice. La sua fu un'infanzia condizionata dalle difficoltà economiche in cui la famiglia precipitò dopo il richiamo in guerra del padre. Livorno resterà città simbolo della figura materna, mentre Genova, dove la famiglia si trasferì quando aveva dieci anni, rappresenterà la città della sua crescita culturale. Lì, proseguì le scuole e contemporaneamente si dedicò allo studio del violino. A tredici anni si diplomò in composizione. Per non gravare sulle già mediocri condizioni economiche della famiglia, a diciotto anni accettò di lavorare come fattorino e di rinunciare agli studi musicali. Una scelta sofferta. Tuttavia, la passione per la musica, ereditata dai suoi genitori (sua madre suonava la chitarra, il padre il violino) non lo abbandonò mai e, anzi, si andò man mano fondendo con il suo amore per la scrittura, per la poesia. Fu insegnante di scuola elementare, poeta, traduttore, consulente editoriale e giornalista (per un approfondimento biografico seguite il link). 



La sua poesia trova radici nell’ermetismo e nel vocianesimo di Sbarbaro, amalgamando il verso breve, l’autobiografismo e l’uso della parola alla maniera della poesia tradizionale, con un risultato straordinario: una poesia classica e popolare dimentica del verso e attenta alla musicalità, alla parola.  

In questo libro si omaggiano proprio questi aspetti della poetica di Giorgio Caproni, scomparso trent’anni fa in un freddo gennaio, salutato nel suo ultimo viaggio, da pochi intimi. Una cerimonia funebre senza ufficialità. È così che si apre il primo intervento di Francesco De Nicola, già docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Genova, ripercorrendo gli anni compresi tra la morte del poeta ed oggi, riferendo sulle pubblicazioni postume di pagine di e su Caproni con alcune riflessioni sulla sua ancora limitata notorietà. 

Angela Siciliano, dottoranda dell’Università di Pisa, approfondisce gli anni della formazione del poeta trascorsi a Livorno, sulle tracce di quanto quel periodo ha lasciato nei suoi versi. Tutta la “livornesità”, che egli stesso dichiarò di aver sfogato e rappresentato nel “Seme del piangere”, dedicato alla vita di sua madre ancora ragazza, è indizio soprattutto del racconto della nascita e della crescita del poeta Caproni. L’utilizzo della rima come elemento costruttivo, dagli effetti psicologici. Rime paragonate ad accordi musicali. Livorno evocata attraverso toponimi, luoghi e modelli letterari e musicali locali. E poi ancora altri temi collaterali: la fenomenologia dell’innamoramento, la donna amata scortata dalle compagne in una visione stilnovistica rimodernata; l’omaggio al provenzalismo di Cavalcanti nella rappresentazione della donna come apparizione. Una originale sintesi tra poesia classica e moderna. L’uso del lessico tosco-livornese in funzione ironico-patetica per descrivere le difficoltà del mestiere del poeta. 

Maria Teresa Caprile, professoressa a contratto di Letteratura e cultura italiana per stranieri all'Università di Genova, approfondisce la componente lessicale dei primi quattro libri di Caproni in una serie di tabelle puntualmente commentate. La poetica di Caproni viene divisa in tre fasi o tempi (per utilizzare il linguaggio musicale) ognuno dei quali è caratterizzato da temi e soluzioni ritmiche e scelte lessicali.  La scrittura mantiene intatte nel tempo alcune caratteristiche, ma conosce trasformazioni sia nello stile che nelle tematiche.
Il fil rouge potrebbe essere la ricerca continua di musicalità. Caproni stesso definirà la sua poesia, musica.
Il tono domestico lo inserisce come ultimo baluardo della poetica italiana che va da Saba a Pascoli. Il lavoro costante sulla parola, al fine di darle spessore e leggerezza. Fu quasi una lotta, la sua, che pagò con una costante inquietudine esistenziale, percepibile in tutta la sua produzione. Vorrebbe scegliere il silenzio alla fine della sua carriera, addentrandosi fino ai limiti del linguaggio, quasi a negarlo, per poi ritornare ostinatamente a scrivere.
In “Versi controversi”, Caproni consiglia di non fidarsi della parola e di non cercarla, perché le cose appena nominate cessano di esistere. 

Francesca Irene Sensini, professoressa di Letteratura Italiana all'Università di Nizza, prende in considerazione la componente naturalistica dell’ambito campestre nella poesia di Caproni. Gli elementi paesaggistici sono utilizzati col chiaro intento di separare il mondo esterno dal soggetto. La veduta e l’osservatore, in un continuo scontrarsi. 

Uscito dalla mia tana, 
guardavo – nel linciaggio
della mente – il paesaggio.
Ai miei occhi, una frana.
La frana d’un’alluvione. 
La frana della ragione.

(“La frana” vv. 18-21, Tutte le poesie)

Gli orti-giardini fioriti, sono punti di espansione, guardano dentro, vedono il vuoto e accrescono l’inquietudine. Le stagioni, il cielo, i sensi che si svegliano nella ricerca del contatto con il paesaggio, con la natura. La finestra come confine tra immaginario e reale, tra l’uomo e il naturale. Lo spazio dell’orto che nella raccolta “Il conte di Kevenhüller” (1986) diventa luogo interiore che diffida della realtà esterna. Perdendo il suo senso di sicurezza e divenendo pericoloso, tana della fiera. Predatore e preda, coincidono in una stessa identità: il poeta, il solo capace di capovolgerne i ruoli. 

Infine, Valentina Colonna, dottoranda all'Università di Torino, compie un’indagine sugli echi musicali nella poesia di Caproni con le osservazioni derivatele dalla sua esperienza di musicista e studiosa di prosodia nella poesia. La scrittura di Caproni è disseminata di sonorità, già nella scelta di alcuni titoli, osserviamo chiari riferimenti musicali: “Andantino”; “Aria di tenore”; “Cadenza”; “Cantabile (ma stonato)”. Si indaga sulla vocalità come pensiero musicale. Achille Millo, fu scelto da Caproni stesso come esecutore vocale dei suoi versi. Esiste un’intonazione caproniana, un andamento melodico discendente, con pause di silenzio che seguono la punteggiatura più che il verso. La volontà di assecondare il contenuto del testo diviene il ritmo della narrazione. Una musica sfuggevole attraversa il suo pensiero poetico. 

Il libro si chiude col racconto di Federico Marenco, dirigente del settore parchi della Regione Liguria e grande appassionato di letteratura, sulla genesi del ritratto di Caproni eseguito da Flavio Costantini riportato sulla copertina del libro. L’artista spiega la scelta degli oggetti per il suo ritratto-rebus.
Pagine davvero intense, pregne di significato e passione per l’arte. 

Giorgio Caproni, cesellatore di musica e parole, se n’è andato in silenzio, ma tra i suoi versi continua a suonare la sua anima, densa di armonie.


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