Stanno ancora lì, nei moli centrali del vecchio porto di Fiume, a svolgere la funzione originaria, in funzione degli ormeggi delle barche, oggi sempre di più veri e propri panfili; stanno ancora lì, robuste, in ghisa, con i segni del tempo che fu, a ricordarci, a tenerci ancorati all’eredità del passato: sono le bitte. Non è un caso, ma è proprio in una collana che riporta questo termine nautico che vede la luce il Un tetto di radici di Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano. Saggio scientifico di impostazione monografica (fresco di stampa, edito dalla ligure Gammarò), di grande spessore sia sotto l’aspetto contenutistico che come mole (sono quasi 700 pagine), attraverso la scrittura, le due autrici raccontano la Fiume… fiumana, italiana; la sua storia, la sua cultura, la sua anima, le diverse esperienze, le differenti scelte, i traumi, i tentativi di rinascere e dare continuità a un percorso plurisecolare. Il libro ha il grande pregio di recuperare e valorizzare un patrimonio culturale di grande valore; letteratura ai confini, letteratura minore, poco nota e studiata. Perfino ignorata. Dimenticata dalla Fiume capitale europea della cultura. “Fiume cuore simbolo dell’Europa del secolo Ventesimo”, scriveva alcuni decenni fa Osvaldo Ramous, forse il più grande scrittore fiumano novecentesco di quest’area.
Il libro, che ha pure una versione croata, si articola in due parti. Nelle prime duecento pagine, viene proposto un excursus sintetico e critico sulla storia della letteratura di lingua italiana a Fiume, che offre al lettore il quadro storico d’insieme, seguendone l’evoluzione nelle sue diverse fasi, dal Medioevo ai giorni nostri, senza trascurare la dimensione dialettale e quella che è la letteratura dell’esodo. La seconda parte si focalizza nel dettaglio su quasi una ventina di autori, di cui si tracciano le biografie, il contesto in cui hanno vissuto e creato, le tematiche trattate, gli stili, il loro ruolo. Il titolo del libro è un omaggio a Osvaldo Ramous, che non a caso apre la galleria. Fiumano “patoco de Zitavecia”, poeta, romanziere, giornalista, traduttore, promotore culturale, oltre che direttore del Dramma Italiano. “Io volevo svelare la vera anima travagliata della mia città”, spiegherà in una lettera ad Edoardo Miscia (1969). Ramous rappresenta la continuità storica della letteratura italiana a Fiume e in Istria. Ma non solo: da rimasto ma con il suo “esilio interno”, riesce a far trasmettere, per certi tratti, una pare della prospettiva e dello straniamento degli scrittori che Fiume invece l’abbandonarono dopo il 1945. Una lacerazione che trasformerà gli italiani in una sparuta minoranza.