«Affrontare il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti,le arti figurative e la propria esperienza visiva - premette Carla Boroni, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica di Brescia - significa innanzitutto cercare di dar conto di una frequentazione e di un’affinità espressiva che trovano la propria ragion d’essere in una ben precisa sensibilità estetica». Compito difficile, ma egregiamente svolto dalla prof.ssa Boroni, che attraverso «Lo sguardo di Ungaretti»(Gammarò,200 pagine, 18 euro; in libreria dal 20novembre) ha saputo cogliere con notevole acume critico «visività e influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana». Ma che cosa inquadrava di preferenza lo sguardo benevolmente inquisitivo di Giuseppe Ungaretti (Alessandria, Egitto 1888 - Milano 1970), «il poeta più rivoluzionario dei primi cinquant’anni del Novecento»?. Su quali dettagli si soffermava, cosa lo colpiva di certe pitture, sculture, architetture, tanto da tradurle in versi che sono altrettanti lampi luminosi d’un «impressionismo» vitale? «In Ungaretti- spiega Carla Boroni - l’arte figurativa, sia quella del passato sia la
contemporanea, non ha mai costituito motivo di pura erudizione. Le motivazioni che lo hanno spinto ad approfondire particolari artisti o determinati periodi della storia dell’arte nascono sempre da una forte correlazione con la propria riflessione di poeta e con la propria poesia».
Quasi un rapporto artistico simbiotico?
È possibile. Ungaretti ha frequentato il mondo delle arti visive volendo instaurare sempre un rapporto vitale con la propria poetica. Ogni interesse per l’arte figurativa è stato per lui un interesse esistenziale, non puramente artistico. E ha determinato in vari modi la sua poetica. I suoi versi come «espressionismo» esponenziale dell’autenticità dell’idea?
La poesia come letteratura trova giustificazione in Ungaretti solo come espressione che affonda le sue radici nel dato esistenziale, come espressione di vita mai disgiunta dalla pura vitalità. Anche dove non esplicita, tale vitalità è presente nella poesia ungarettiana come elemento motivante, perlomeno a livello di poetica. Questo vale anche per l’esperienza religiosa, inizialmente cosmica e naturale, sentita come anelito verso l’eterno e il trascendente,non accettata pienamente, ancora problematica, ma che diventerà col tempo più meditata, più sofferta, più consapevole, per arrivare,a conclusione di un itinerario religioso maiquieto nemmeno dopo la dichiarata conversione, all’accettazione e all’esaltazione anche teologica di Dio, ora non più indistinto, ma colto nella persona di Cristo.
Con quali impulsi visivi-emotivi racchiude l’infinito in brevi versi?
Voler dire l’indicibile nasce da un’esigenza mistica. La visività della poesia ungarettiana nasce dall’esperienza religiosa, dallo sguardo estatico, mistico, che si tramuta in sguardo estetico, sensibile.
Il tema religioso proiezione e affondo nel turbine insidioso del dubbio fino alla conversione?
Sì, fino alla conversione, ma anche dopo... Cristo «pensoso palpito» è il culmine di un itinerario cominciato col canto guerriero sulle rive dell’Isonzo e terminato, 27 anni dopo,col canto religioso sulle rive del Tevere. Rappresenta il vertice di un itinerario che Ungaretti ha compiuto nell’approfondimento, continuo e spesso tormentato, delle proprie origini. Prima come figlio dell’Essere, poi come figlio di Dio,nella certezza ultima, nella fede, che solo riconoscendosi figlio di Dio, fratello di Cristo, l’uomo può arrivare ad essere veramente uomo. Ungaretti scrive qualche poesia sul Garda: quale stato d’animo lo infiammava, quale visione lo incantò? Quelli che il girovago Ungaretti percorre non sono solo luoghi geografici... E tuttavia neppure sono luoghi puramente letterari, perché, anche se vivono nella scrittura, nascono dal suo proprio percorso esistenziale.
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