Ungaretti e le arti figurative, poesia di immagini |
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23/02/2022, ore 10:36
| Giuseppe Ungaretti, poeta dell'animo contemporaneo, dei suoi smarrimenti e delle sue accensioni, delle sue angosce e delle sue .illuminazioni, non ci ha lasciato poesie intimiste, umbratili, sentimentali. La sua è una poesia che procede per immagini, spesso molto concrete: il fiume, l'albero, il sasso, la luna, le foglie. Una poesia fortemente visiva, il cui autore è debitore - fra l'altro - delle arti figurative per le suggestioni che gli offrono, le immagini che gli regalano. Il rapporto fra Ungaretti e la pittura era stato scandagliato in un (ormai) antico convegno del 1979. Il tema viene affrontato e aggiornato ora da Carla Baroni, docente di Letteratura italiana contemporanea alla Cattolica di Brescia, nel suo «Lo sguardo di Ungaretti. Vi sività e influenza dell'arte figurativa nella poesia ungarettiana » (Gammarò editore, pp. 200, euro 18). Il viaggio di Baroni attorno al pianeta-Ungaretti data ormai un trentennio, a partire dal suo «Dall'Innocenza alla memoria: Giuseppe Ungaretti » che è del 1992. Per Ungaretti la poesia è arte totale: «Poesia/ è il mondo l'umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola». Il poeta 24enne sbarca a Brindisi nel 1912. Il sùo è uno sguardo vergine, alle spalle ha il deserto e una città caotica, Alessandria d'Egitto. A Firenze sarà innamoramento per Masaccio, a Roma per Bernini e Borromini. Ricorda Carla Baroni: «Partendo dalla luce accecante del deserto, attraversando la luce intrisa di grigi del periodo parigino e quella mistico-cristallina del periodo di guerra, Ungaretti approda alla luce barocca che 'il vecchio Travertino e la torbida acqua del Tevere ingoiavano negli estivi tramonti di Roma'». A Parigi frequenta Picasso, Modigliani, De Chirico, Savinio, Severini oltre che Apollinaire; in Italia intesse dialoghi con Carrà, Soffici, Rosai, Morandi, Viani, Martini. La sua penna di critico è talmente raffinata che la Rizzali, per i Grandi Classici dell'arte, gli affida il saggio su Vermeer, l'artista della luce da lui prediletto. È a partire da queste premesse che Carla Baroni muove, nei capitoli centrali del libro, all'analisi di tre poesie-cardine: I fiumi ( del 1916, in Porto sepolto), Girovago (1918, in Allegria di naufragi) e Mio fiume anche tu (1947, Il dolore). Nella prima, scritta in piena guerra e pervasa di sentimento religioso, il poeta si riconosce pascapascalianamente «docile fibra dell'universo ». Nella seconda il nomadismo è visto come paradigma della condizione umana. Nella terza, scritta dopo una nuova guerra, il bilancio esistenziale si _apre all'approdo religioso: «E il culmine di un itinerario cominciato 'col canto guerriero sulle rive dell1sonzo' e terminato, ventisette anni dopo, 'col canto religioso sulle rive del Tevere' ». Baroni, in serrato dialogo con i grandi interpreti ungarettiani, da Folco Portinari a Leone Piccioni, conduce su queste liriche analisi stilistiche e storico-critiche in cui è maestra. Ne esce un percorso catartico, personale e generazionale, un itinerario dal buio alla luce al termine del quale il poeta può rivelare: «Vedo ora chiaro nella notte triste».
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