Nel trentennale della guerra nella ex Jugoslavia, l’editore Gammarò ripropone l’opera di Diego Zandel I confini dell’odio, uscita originariamente nel 2002 per l’editore piemontese Aragno.
Un romanzo avvincente sul conflitto interetnico nell’ex stato balcanico, scontro che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia.
Il protagonista del romanzo è Bruno Lednaz, uno scrittore che vive a Roma. Bruno ha promesso al padre che seppellirà le sue spoglie mortali a Fiume, terra natale del genitore: città italiana, poi jugoslava e, dopo la fine della guerra nei Balcani, croata.
È il 1996 e da pochi mesi sono stati firmati gli accordi Dayton, che hanno sancito, dopo quattro anni di ostilità, la fine della guerra in Bosnia e la nascita di un nuovo Stato di Bosnia Erzegovina, composto dalla Federazione croato-musulmana e dalla Repubblica Srpska.
Sì le ostilità sono finite, ma non sono cessati gli odi atavici che dividono le tre comunità e Bruno, uomo pacifico e istruito, avrà modo di verificarlo di persona quando avrà la malaugurata idea di accompagnare Srečko, il marito di sua cugina, a Gospić, il capoluogo della regione della Lika; territorio della Croazia ma in parte ancora sotto il controllo dei Serbi.
Inizierà così per lui una odissea attraverso i territori della Croazia e della Bosnia, dove toccherà per mano gli orrori di una guerra non ancora finita e gli sporchi interessi che si nascondono dietro di essa.
Bruno proverà così istinti e sentimenti che non pensava di possedere, imparerà le leggi della difesa e della fuga e vivrà una fratellanza viscerale verso un territorio e una popolazione che non pensava di sentire parte di sé stesso.
E al termine di questo viaggio, simile a una discesa negli inferi, deciderà di non assecondare le ultime volontà del padre e di riportare invece la sua bara in Italia, perché:
Non è più la sua terra. Non è più la sua città. Ormai è un’altra cosa. Tutto è cambiato.
Una storia che probabilmente solo Diego Zandel poteva scrivere, perché conoscitore dei Balcani e soprattutto figlio di esuli istriani, una condizione che ha condizionato tutta la sua esistenza, raccontata anche in molte altre sue opere letterarie.
Non a caso Zandel affida al protagonista del romanzo il compito di spiegare cosa vuol dire trovarsi coinvolti in un conflitto viscerale, dilaniante, dove l’appartenenza a un gruppo etnico–religioso di fatto ti costringe a schierarti a prescindere che tu voglia farlo oppure no.
Le vicende del protagonista sono raccontate in modo coinvolgente, catturano il lettore che si trova di fronte a scene di paura, di fuga, di violenza. Non sono da meno le pagine che descrivono l’universo femminile slavo, formato donne molto coraggiose, ma troppe spesso vittime di una violenza mirata, tesa distruggere la loro dignità di persona sino a scardinare la struttura sociale della ex Jugoslavia.
Insomma, I confini dell’odio è un romanzo dotato di una profonda complessità psicologica e di puntuale realismo storico, un’opera d’azione definibile mitteleuropea per quanto riguarda l’aspetto introspettivo e stilistico, che denuncia la ferocia del conflitto nella ex Jugoslavia senza parteggiare per nessuno. Si schiera solo dalla parte delle vittime di un conflitto che assomiglia tantissimo al “suicidio collettivo” di una intera nazione.