Fra tutte le molte nostalgie esiste anche quella, assai segreta, di ciò che non è mai esistito, e che Giorgio Caproni (1912-1990) riuscì a fermare in un’evocazione di pochi versi, straordinaria, forse irripetibile, nella poesia intitolata Ritorno: «Sono tornato là/ dove non ero mai stato./ Nulla, da come non fu, è mutato./ Sul tavolo (sull'incerato/ a quadretti) ammezzato/ ho ritrovato il bicchiere mai riempito./ Tutto è ancora rimasto quale/ mai l'avevo lasciato.» E’ un testo molto novecentesco (dalla raccolta Il muro della terra, 1975), alto ed enigmatico, che ci parla di esilio, spaesamento e oggetti quotidiani in una lingua nello stesso semplice ma dotata di risonanze complesse, imprevedibili: una lingua da studiare anche al di là del lavoro critico, come ci suggerisce in uno studio molto interessante (chissà, qualcuno lo troverà anche provocatorio) Maria Teresa Caprile, studiosa di Caproni e fra le alte cose docente di lingua italiani per stranieri all’Università di Genova.
Il saggio si intitola La poesia di Giorgio Caproni per imparare l’italiano e conoscere l’Italia (edizioni Gammarò) e consiste di una approfondita analisi del lessico e della grammatica del poeta livornese (ma profondamente ligure, perché visse gran parte della sua vita a Genova, e alla Liguria fu sempre legato culturalmente fino a ipotizzare tra il serio e il provocatorio una “linea ligustica” delle poesia italiana), oltre che a riflessioni di tipo metodologico e teorico sulla possibilità di imparare appunto una lingua straniera attraverso la letteratura. Ebbene, con Caproni è possibile, anzi fortemente consigliabile, sostiene la studiosa. E lo è, aggiungeremmo, nonostante sia uno scrittore complesso, nonostante la sua “ontologia negativa” (è una definizione di Italo Calvino, come Montale suo grande ammiratore) dove “ciò che si presenta come emblema d’un elementare attaccamento alla vita vuole significare solo questo: ciò che è, è poca cosa, mentre il resto (il tutto, o quasi) è ciò che non è, che non è stato, che non sarà mai”.
La poesia prima citata è a questo proposito quantomeno illuminante: concretezza di ciò che è, le cose, le parole, importanza fondamentale di ciò che non è. Caproni tenendosi su questo difficile discrimine ha davvero raccontato l’Italia. E dunque, studiare l’italiano sui suoi testi non solo è possibile, ma permette anche di conoscere il nostro Paese e come sensibilità, sentimento, cultura materiale. Maria Teresa Caprile sviluppa il suo persuasivo argomento pensando agli studenti stranieri. Ma al lettore potrebbero venire in mente invece gli italiani, e non solo quelli protagonisti della recente occupazione all’Università di Roma: dove una studentessa pare abbia letto con grane serietà un comunicato in cui si parlava di “migliaia di studentu” - per evitare un plurale dal suono maschile e a suo giudizio evidentemente discriminatorio. Folclore, si dirà. E’ tuttavia vero che la lingua cambia continuamente, se pure lentamente: e il “vecchio” Caproni, che era pure fu maestro di scuola, forse avrebbe semplicemente sorriso, con quella sua aria mite. L’invito (implicito?) di questo libro, ricominciare a studiare da lui la nostra lingua (poi liberi di massacrarla a piacere, se magari ci riusciamo davvero e se qualcuno ci segue), di questi tempi non andrebbe sprecato.
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