Identikit di un pluriomicida minorenne, autore di cinque delitti tra il 1937 e il 1939: il Mostro di Sarzana, nel ventennio, “quando c’era lui” e per la gente “certe cose” non succedevano. Oltre ottant’anni anni dopo, a un secolo dalla nascita dell’assassino, la psicoterapeuta e criminologa sarzanese Vanessa Isoppo ha voluto esaminare quel caso, guardando in modo diverso al sia pur breve vissuto, anche psicologico, del giovanissimo killer.
Specializzata in psicoterapia dell’approccio sulla persona, ha realizzato un saggio, G.W. Vizzardelli. Analisi psico-criminologica di un serial killer adolescente, dato alle stampe l’anno scorso da Gammarò di Sestri Levante, del Gruppo Editoriale Oltre (agosto 2022, 224 pagine).
Un pluriassassino in pantaloncini corti Giorgio William Vizzardelli (1922-1973), nemmeno quindicenne all’epoca del primo duplice omicidio e solo diciassettenne all’atto dell’ultima uccisione, in provincia di La Spezia, alla fine degli anni Trenta.
La vicenda, poco nota, è interessante e in parte esemplare in relazione all’oggi discusso valore della pena ai fini dell’espiazione.
Nell’ispirato e professionale approfondimento, accessibile a qualsiasi lettore, la dott.ssa Isoppo ragiona empaticamente e invita a riflettere oggettivamente su alcuni aspetti del caso, più che mai attuali. Innanzitutto, quanto l’ambiente familiare possa facilitare lo sviluppo di una mente criminale, in secondo luogo il peso di una pena come l’ergastolo, comminato all’epoca a un minorenne.
Di rilievo le considerazioni sulla finalità del carcere, non solo come luogo di riabilitazione, anche di:
Contenimento rispetto a problematiche psichiatriche che necessitano di determinate condizioni per essere tenute sotto controllo senza ricorrere ai vecchi manicomi criminali, attualmente REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza).
Cinque le vittime. Nel gennaio 1937, due religiosi vincenziani del Collegio delle Missioni di Sarzana, in cui Giorgio frequentava il ginnasio.
Nell’agosto 1938, un barbiere ventenne e un autista d’auto da noleggio, uccisi sul greto di un fiume, in una valle disabitata, attinti da quattordici colpi di due pistole differenti, alcuni sparati quand’erano già morti.
Il più giovane dei due si era vantato di conoscere con certezza l’assassino di don Bernardelli e don Bruno. A fine dicembre 1939, il settantacinquenne custode del Palazzo delle Finanze, massacrato a colpi di accetta in testa, gli ultimi inferti a terra. La violenza dell’assassino si era fermata solo perché il settimo colpo aveva conficcato la scure tanto profondamente nel cranio da non poterla estrarre.
Fino al quinto delitto, nonostante il clamore e le pressioni del duce in persona, qualche inchiesta e perfino un processo a carico di innocenti finito nel nulla, nessuno avrebbe sospettato di Giorgio. Ma il commissario Cozzi, della Mobile, avviò le indagini nel 1939 partendo dall’unico in possesso delle chiavi del Palazzo, il direttore dell’Ufficio del Registro Vizzardelli. Nella perquisizione domiciliare (un atto dovuto), risaltarono alcuni particolari che riguardavano il figlio minore.
Il diciassettenne non aveva un alibi per la sera del 29 dicembre, era sempre a caccia di soldi che il padre gli faceva mancare, conosceva il barbiere ucciso e aveva frequentato il Collegio dei Vincenziani. In cantina, conservava bottiglie unte della stessa sostanza appiccicosa rilevata sul manico dell’ascia omicida. Sparava sadicamente agli animali, con pistole fuori uso che riparava da solo, fin da ragazzino.
Cozzi completò indagini discrete che condussero alle accuse e alla condanna, un percorso accortamente descritto dall’autrice, docente di psicologia generale all’Università di Genova, specializzata in problemi e patologie alcool-correlate e scienze criminologico forensi.
Vanessa Isoppo si sofferma sul profilo psicanalitico del giovane Vizzardelli, nato ultimo e molto più piccolo di sei figli, da un parto difficile, costato l’invalidità permanente della madre. Padre severo e manesco, infanzia segnata da problemi di salute e gracilità. Carattere schivo e chiuso. Il terremoto di Sarzana del 1930 lo aveva tanto terrorizzato in aula, da causargli una fobia fisica per la scuola e rendergli insopportabile lo studio.
In compenso, aveva sviluppato una grande abilità tecnica e manuale. Riparava pistole inattive e si esercitava crudelmente contro cani e gatti, indifferente alle sofferenze inflitte. Nella cantina aveva allestito una specie di laboratorio chimico. Verificava autodidatticamente le potenzialità dell’energia elettrica.
Sebbene odiasse studiare, amava tanto leggere, libri classici, anche di autori russi, romanzi d’avventura e viaggi. Il suo idolo era Al Capone.
Giorgio Vizzardelli è stato un giovanissimo omicida reo confesso, condannato all’ergastolo in tutti i gradi di giudizio, perché ritenuto colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Ma tra ottanta e cento anni dopo, l’autrice prova “a cambiare prospettiva”, non per giustificare le sue azioni e nemmeno per riabilitare la memoria di un assassino, ma per guardarlo:
Nella sua totalità umana, per comprenderlo senza però giustificarlo.
Il ragazzino omicida, refrattario ad ogni regola e insofferente alla vita scolastica, diventò in carcere un uomo che aveva compreso l’importanza degli studi, arrivando a leggere Shakespeare in lingua originale e curando la traduzione di testi dall’inglese.
Ma una volta ottenuta la libertà, non resse allo status di uomo libero e si tolse la vita, in casa della sorella.
Prima, si era assicurato di curare ogni dettaglio perché il disagio del ritrovamento del corpo fosse limitato al massimo per i famigliari. Un estremo gesto di attenzione verso gli altri, mancata al giovane diciassettenne omicida nell’infanzia e nell’adolescenza.