Una zia di mia madre, nobile fin dalla punta del naso e poi giù sino ai mignoli dei piedi, insegnava a lei, ragazzina, che, anche in estrema povertà, bisogna avere il migliore maestro di tennis e i capelli sempre a posto. Ho ritrovato i consigli della zia Lydia, se non tali e quali, almeno simili nella loro verità quasi oracolare, nel bel romanzo di Agi Berta “Confini incerti”, pubblicato dalla coraggiosa casa editrice Oltre, che esplora da anni la letteratura dei Paesi Balcanici e anche oltre, appunto. L’ho ritrovato, dicevo, a pagina 64, quando la piccola Dusi, nelle sue scarpette nuove e ticchettanti, si reca a scuola dalla Dame inglesi (che esistono ancora e ancora hanno scuole in giro per il mondo…) accompagnata dalla bella zia Irene, la quale, al pari della Lydia nostra (pur non amando, Irene, il tennis, come si legge…), impartisce alla Dusi una lezione per la vita: “I vestiti non sono importanti, ma le scarpe devono calzare alla perfezione. Sono le gambe che ci portano in giro. Ricordati di trattarle sempre bene. E’ meglio avere qualche indumento in meno, ma le scarpe devono essere sempre fatte su misura”. Questo piccolo-illuminante episodio della piccola storia accade quando la famiglia Harmath, è già fuggita dalla Croazia multietnica dei primi del Novecento – e in particolare dal paesino di Cakovec – costretta dalla Grande Storia a lasciarsi alle spalle tutto, casa, tradizione, vita. E a partire, profuga, senza mezzi, raminga, in cerca di una terra promessa. Che troverà a Budapest, in Ungheria. E a Budapest si intrecciano i destini dei protagonisti. I quali, nella loro piccola storia, diventano i fili misteriosi intrecciati dalla Grande Storia. Ognuno – Irene, Eugenio, Ida, Zoltan e gli altri, racconta la sua verità, nel valzer tumultuoso di eventi in cui precipita l’Ungheria che, da asburgica si ritroverà sovietica. Guerre, ideologie, rivoluzioni: tutto cambia in un fiat. Un giorno Irene balla vestita da sera, poco dopo, lasciati i figli, è in fuga per raggiungere Vienna… E non è facile districarsi nel labirinto di eventi narrati. Ed ecco perché, e ringraziamo, la scrittrice ha aggiunto, alla fine del libro, Una “Breve storia dell’Ungheria dal 1848 al 1952, cioè all’anno in cui è nata lei, Agi Berta che oggi vive a Napoli. Ma siccome a me, più che la Grande Storia, interessa quella famigliare, minore, la piccola storia, in qualche arcano modo, mi ritrovo nel prologo del libro, dove la scrittrice racconta, con parole semplici, nude direi, l’agonia della nonna, che “rifiutava il pannolone con disdegno” e l’impotenza di chi resta ad accompagnare fin sulla soglia dell’altra vita chi è giunto al confine ultimo e definitivo. Un prologo pieno di grazia che fa ben cominciare un libro da leggere con attenzione.
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