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'Don Chisciotte' di Miguel de Cervantes e Giusi Rigoni
SOLOLIBRI.NET di mercoledģ 6 maggio 2020
Sono passati quattrocento anni, eppure la storia di Don Chisciotte continua a ispirare gli artisti di tutto il mondo. Oggi č uscita in Italia una rivisitazione edita da Töpffer, che al centro della storia non ha il romanzo di Cervantes in sé, bensģ le splendide tavole dell’illustratrice Giusi Rigoni

di Eva Luna Mascolino
Oggi, per esempio, è uscita in Italia Don Chisciotte, una rivisitazione illustrata del celebre romanzo di Miguel de Cervantes, edito da Töpffer e caratterizzato da una singolare peculiarità: al centro della storia non ci sono i capitoli veri e propri della storia, bensì 59 splendenti tavole 50x70 cm curate dall’illustratrice italiana Giusi Rigoni. Una prima parte introduttiva guida così neofiti e appassionati in un’atmosfera sempre più dettagliata e approfondita legata all’universo donchisciottesco, prima di entrare nel vivo di una singolare e affascinante esperienza di lettura. Una breve biografia dell’autore e della disegnatrice è quindi seguita da una stringata scheda dell’opera, seguita da un’altrettanto sintetica trama per sommi capi e, poi, da un riassunto ben più articolato del contenuto dei due libri in cui si suddivide il capolavoro spagnolo. A seguito della trattazione, un paragrafo è dedicato anche al significato e all’importanza del Don Chisciotte nei secoli, che restituisce in maniera piuttosto completa i suoi diversi piani di interpretazione, le sue finalità, i suoi spunti di ispirazione e le riflessioni a cui ha condotto critici e letterati di tutto il mondo.
Quando chiunque desideri imbarcarsi in questa avventura ha familiarizzato con i personaggi e con il senso dell’opera, comincia la magia. Sulle facciate sinistre si alternano infatti brevi passaggi tratti in successione dai capitoli dell’opera, mentre sulla destra appaiono in tutto il loro splendore le tavole di accompagnamento, che in realtà non si limitano a costituire un mero completamento del testo di Cervantes, spalancando piuttosto un nuovo livello di fruizione delle avventure dell’hidalgo. La carta spessa e lucida, infatti, diventa il canale privilegiato di una lettura immersiva e creativa, che si concentra ora su alcuni momenti cruciali dell’intreccio e ora su scene che evidentemente hanno colpito più nello specifico l’immaginario personale dell’artista vicentina.
Strabiliante il loro carattere sempre polifonico, in grado di restituire la molteplicità di punti di vista e di personaggi presenti nel romanzo, e soprattutto una prospettiva studiata sempre “ad arte”. Prospettiva in termini tecnici, dal momento che i piani del disegno sono molteplici, tridimensionali e sempre di grande effetto visivo; prospettiva in termini di angolazione, visto che quanto accade nel libro viene osservato ora di sbieco, ora dall’alto e ora da una posizione praticamente impossibile da adottare, oltrepassando i vincoli del realismo per sfociare nell’impavido regno della fantasia; e prospettiva nella sua accezione più concettuale, considerato che la scelta di raffigurare in un determinato modo determinati snodi del testo non sembra mai lasciata al caso.
A risaltare in maniera preponderante sono i tre colori primari e il verde, con qualche incursione del rosa scuro in particolare nel libro secondo, che tra l’altro è quello in cui, dopo una forte presenza dell’elemento paesaggistico (dovuto in sé alla struttura della storia), viene lasciato ampio spazio alla rappresentazione dei personaggi più bizzarri, nonché quello in cui spicca un omaggio aperto a Il Bacio del pittore italiano Francesco Hayez. Non sono rare, peraltro, le volte in cui la disegnatrice gioca con le dimensioni stesse degli oggetti o del corpo umano, per enfatizzare con stupefacente accuratezza l’effetto straniante a cui è sottoposto dal lontano 1605 chi legge il capolavoro cervantesco.
E c’è di più: nella sua rielaborazione del Quijote, Giusi Rigoni sceglie di non riprodurre e di non nominare nemmeno indirettamente la morte del protagonista. Alonso Quijano non si ritrova, quindi, in punto di morte con il fedele Sancho Panza al suo capezzale e tutto ciò che appare nell’ultima tavola del volume dedicata al 74° capitolo del secondo libro sono i versi che Cervantes riprende da un romance sulla morte di Alonso de Aguilar nell’assedio di Granada, nei quali si sottolinea che per l’autore solo è nato Don Chisciotte, e il suo creatore per lui, senza che per questo si faccia riferimento al tragico epilogo della vicenda.
“Quijote vive”, sembra dunque rammentare a suo modo l’ennesima, mirabile impresa ispirata dal prode cavaliere, con una vivacità e un estro tutti da gustare.


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Sono passati quattrocento anni, eppure la storia di Don Chisciotte continua a ispirare gli artisti di tutto il mondo. Oggi č uscita in Italia una rivisitazione edita da Töpffer, che al centro della storia non ha il romanzo di Cervantes in sé, bensģ le splendide tavole dell’illustratrice Giusi Rigoni

di Eva Luna Mascolino
Oggi, per esempio, è uscita in Italia Don Chisciotte, una rivisitazione illustrata del celebre romanzo di Miguel de Cervantes, edito da Töpffer e caratterizzato da una singolare peculiarità: al centro della storia non ci sono i capitoli veri e propri della storia, bensì 59 splendenti tavole 50x70 cm curate dall’illustratrice italiana Giusi Rigoni. Una prima parte introduttiva guida così neofiti e appassionati in un’atmosfera sempre più dettagliata e approfondita legata all’universo donchisciottesco, prima di entrare nel vivo di una singolare e affascinante esperienza di lettura. Una breve biografia dell’autore e della disegnatrice è quindi seguita da una stringata scheda dell’opera, seguita da un’altrettanto sintetica trama per sommi capi e, poi, da un riassunto ben più articolato del contenuto dei due libri in cui si suddivide il capolavoro spagnolo. A seguito della trattazione, un paragrafo è dedicato anche al significato e all’importanza del Don Chisciotte nei secoli, che restituisce in maniera piuttosto completa i suoi diversi piani di interpretazione, le sue finalità, i suoi spunti di ispirazione e le riflessioni a cui ha condotto critici e letterati di tutto il mondo.
Quando chiunque desideri imbarcarsi in questa avventura ha familiarizzato con i personaggi e con il senso dell’opera, comincia la magia. Sulle facciate sinistre si alternano infatti brevi passaggi tratti in successione dai capitoli dell’opera, mentre sulla destra appaiono in tutto il loro splendore le tavole di accompagnamento, che in realtà non si limitano a costituire un mero completamento del testo di Cervantes, spalancando piuttosto un nuovo livello di fruizione delle avventure dell’hidalgo. La carta spessa e lucida, infatti, diventa il canale privilegiato di una lettura immersiva e creativa, che si concentra ora su alcuni momenti cruciali dell’intreccio e ora su scene che evidentemente hanno colpito più nello specifico l’immaginario personale dell’artista vicentina.
Strabiliante il loro carattere sempre polifonico, in grado di restituire la molteplicità di punti di vista e di personaggi presenti nel romanzo, e soprattutto una prospettiva studiata sempre “ad arte”. Prospettiva in termini tecnici, dal momento che i piani del disegno sono molteplici, tridimensionali e sempre di grande effetto visivo; prospettiva in termini di angolazione, visto che quanto accade nel libro viene osservato ora di sbieco, ora dall’alto e ora da una posizione praticamente impossibile da adottare, oltrepassando i vincoli del realismo per sfociare nell’impavido regno della fantasia; e prospettiva nella sua accezione più concettuale, considerato che la scelta di raffigurare in un determinato modo determinati snodi del testo non sembra mai lasciata al caso.
A risaltare in maniera preponderante sono i tre colori primari e il verde, con qualche incursione del rosa scuro in particolare nel libro secondo, che tra l’altro è quello in cui, dopo una forte presenza dell’elemento paesaggistico (dovuto in sé alla struttura della storia), viene lasciato ampio spazio alla rappresentazione dei personaggi più bizzarri, nonché quello in cui spicca un omaggio aperto a Il Bacio del pittore italiano Francesco Hayez. Non sono rare, peraltro, le volte in cui la disegnatrice gioca con le dimensioni stesse degli oggetti o del corpo umano, per enfatizzare con stupefacente accuratezza l’effetto straniante a cui è sottoposto dal lontano 1605 chi legge il capolavoro cervantesco.
E c’è di più: nella sua rielaborazione del Quijote, Giusi Rigoni sceglie di non riprodurre e di non nominare nemmeno indirettamente la morte del protagonista. Alonso Quijano non si ritrova, quindi, in punto di morte con il fedele Sancho Panza al suo capezzale e tutto ciò che appare nell’ultima tavola del volume dedicata al 74° capitolo del secondo libro sono i versi che Cervantes riprende da un romance sulla morte di Alonso de Aguilar nell’assedio di Granada, nei quali si sottolinea che per l’autore solo è nato Don Chisciotte, e il suo creatore per lui, senza che per questo si faccia riferimento al tragico epilogo della vicenda.
“Quijote vive”, sembra dunque rammentare a suo modo l’ennesima, mirabile impresa ispirata dal prode cavaliere, con una vivacità e un estro tutti da gustare.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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