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«Nel Novecento le favole narrano il disagio e il disorientamento»
Il Giornale di Brescia di lunedì 28 dicembre 2020
Carla Boroni parla del suo nuovo lavoro «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana»

Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Le mille e una notte », i Grimm, Collodi o Gianni Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile - apparentemente - struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio molto interessante è andata alla scoperta di quelle che sono «Lenostre favole», selezionando ben 50 «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana» (Gammarò Edizioni, XIV-376 pagine, 21 euro). «Il libro - premette la prof.Boroni - si propone di far rivivere favola e fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra,Camilleri e tanti altri, tutti "pezzi da novanta" della letteratura contemporanea. I testi, scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bimbi della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte. A margine di ogni racconto sono proposti una nota biografica e qualche suggerimento per il lavoro in classe».

di Francesco Mannoni
Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Le mille e una notte », i Grimm, Collodi o Gianni Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile - apparentemente - struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio molto interessante è andata alla scoperta di quelle che sono «Lenostre favole», selezionando ben 50 «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana» (Gammarò Edizioni, XIV-376 pagine, 21 euro). «Il libro - premette la prof.Boroni - si propone di far rivivere favola e fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra,Camilleri e tanti altri, tutti "pezzi da novanta" della letteratura contemporanea. I testi, scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bimbi della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte. A margine di ogni racconto sono proposti una nota biografica e qualche suggerimento per il lavoro in classe».

Intenti didattici e divulgativi a braccetto in questa antologia critica della favola?

Il libro è nato come Manuale per studenti di Scienze di Formazione primaria (per il mio insegnamento di Letteratura italiana contemporanea), ma i fruitori si sono aggiunti e stratificati. È un libro abbastanza unico nel suo genere. Un lavoro che presenta dubbi sul codice di valori che un insegnante può proporre, così come accade, proprio, per la favola moderna. Si è drasticamente esaurita la spinta educativa dei due secoli precedenti, che tanti nomi illustri e tante storie ci avevano regalato, con «happy end» quasi scontati e con la loro solida morale da perseguire. Il Novecento,con annesso questo ventennio del nostro secolo, si presenta contraddittorio, in equilibrio tra una volontà distruttiva e un costante desiderio di rinascita. Alcuni autori hanno riservato alla favola uno spazio specifico, non certo di secondaria importanza, all’interno della loro produzione. Si sono definiti autori di favole e si sono dedicati alla favola per lo più con intenti di rinnovamento del genere, sentendo la necessità di uniformarsi alle esigenze e agli orientamenti culturali delle generazioni alle quali si rivolgono, che esigono libertà di approccio.

Dagli antichi greci a Gianni Rodari, com’è cambiato nel tempo il mondo della favola?

Se in passato, da Esopo a Fedro, le favole offrivano consigli di prudenza necessari per la vita quotidiana, per salvarsi dalla violenza, dalla frode, da una società crudele, la favola del Novecento ha perso il carattere «moralistico» e dedica il suo spazio a narrazioni nelle quali i protagonisti non impartiscono lezioni esemplari, ma raccontano semplicemente quel che accade. Le favole del Novecento forniscono una rappresentazione della società che si rispecchia nel disagio dell’uomo e dell’intellettuale. Fin dai tempi antichi, la struttura delle favole consisteva nel contrasto-dialogo tra personaggi, risolto nella prevalenza dell’uno sull’altro. Il protagonista di tante favole del Novecento, invece, spesso non ha un antagonista se non la società in cui vive, e se stesso in tutto il suo disorientamento. Se la peculiarità stilistica di Fedro è la «brevitas», uno degli elementi caratteristici del sistema linguistico di Rodari (forse l’erede più «scapestrato» e interessante dei favolisti antichi), che gli deriva dalla sua formazione di giornalista e maestro, è la naturale inclinazione al racconto breve, cui si accompagna la personale tendenza alla narrativa del discorso letterario.


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Il Giornale di Brescia - lunedì 28 dicembre 2020
Carla Boroni parla del suo nuovo lavoro «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana»

Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Le mille e una notte », i Grimm, Collodi o Gianni Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile - apparentemente - struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio molto interessante è andata alla scoperta di quelle che sono «Lenostre favole», selezionando ben 50 «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana» (Gammarò Edizioni, XIV-376 pagine, 21 euro). «Il libro - premette la prof.Boroni - si propone di far rivivere favola e fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra,Camilleri e tanti altri, tutti "pezzi da novanta" della letteratura contemporanea. I testi, scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bimbi della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte. A margine di ogni racconto sono proposti una nota biografica e qualche suggerimento per il lavoro in classe».

di Francesco Mannoni
Non solo Esopo, Fedro, La Fontaine, «Le mille e una notte », i Grimm, Collodi o Gianni Rodari: la favola in ogni tempo ha sedotto gli scrittori, e il Novecento italiano è ricco di autori famosi che si sono cimentati con la sua facile - apparentemente - struttura. La scrittrice Carla Boroni, professore associato di Letteratura contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, in uno studio molto interessante è andata alla scoperta di quelle che sono «Lenostre favole», selezionando ben 50 «Favole e fiabe di scrittori della letteratura italiana» (Gammarò Edizioni, XIV-376 pagine, 21 euro). «Il libro - premette la prof.Boroni - si propone di far rivivere favola e fiaba del passato attraverso alcuni scrittori del Novecento quali Gozzano, Palazzeschi, Moravia, Rigoni Stern, Arpino, Malerba, Papini, Elsa Morante, Soffici, Tonino Guerra,Camilleri e tanti altri, tutti "pezzi da novanta" della letteratura contemporanea. I testi, scelti con attenzione, possono servire per costruire unità di apprendimento per i bimbi della scuola primaria e dell’infanzia. La severità di tanti di questi poeti e prosatori nulla toglie alla freschezza delle composizioni proposte. A margine di ogni racconto sono proposti una nota biografica e qualche suggerimento per il lavoro in classe».

Intenti didattici e divulgativi a braccetto in questa antologia critica della favola?

Il libro è nato come Manuale per studenti di Scienze di Formazione primaria (per il mio insegnamento di Letteratura italiana contemporanea), ma i fruitori si sono aggiunti e stratificati. È un libro abbastanza unico nel suo genere. Un lavoro che presenta dubbi sul codice di valori che un insegnante può proporre, così come accade, proprio, per la favola moderna. Si è drasticamente esaurita la spinta educativa dei due secoli precedenti, che tanti nomi illustri e tante storie ci avevano regalato, con «happy end» quasi scontati e con la loro solida morale da perseguire. Il Novecento,con annesso questo ventennio del nostro secolo, si presenta contraddittorio, in equilibrio tra una volontà distruttiva e un costante desiderio di rinascita. Alcuni autori hanno riservato alla favola uno spazio specifico, non certo di secondaria importanza, all’interno della loro produzione. Si sono definiti autori di favole e si sono dedicati alla favola per lo più con intenti di rinnovamento del genere, sentendo la necessità di uniformarsi alle esigenze e agli orientamenti culturali delle generazioni alle quali si rivolgono, che esigono libertà di approccio.

Dagli antichi greci a Gianni Rodari, com’è cambiato nel tempo il mondo della favola?

Se in passato, da Esopo a Fedro, le favole offrivano consigli di prudenza necessari per la vita quotidiana, per salvarsi dalla violenza, dalla frode, da una società crudele, la favola del Novecento ha perso il carattere «moralistico» e dedica il suo spazio a narrazioni nelle quali i protagonisti non impartiscono lezioni esemplari, ma raccontano semplicemente quel che accade. Le favole del Novecento forniscono una rappresentazione della società che si rispecchia nel disagio dell’uomo e dell’intellettuale. Fin dai tempi antichi, la struttura delle favole consisteva nel contrasto-dialogo tra personaggi, risolto nella prevalenza dell’uno sull’altro. Il protagonista di tante favole del Novecento, invece, spesso non ha un antagonista se non la società in cui vive, e se stesso in tutto il suo disorientamento. Se la peculiarità stilistica di Fedro è la «brevitas», uno degli elementi caratteristici del sistema linguistico di Rodari (forse l’erede più «scapestrato» e interessante dei favolisti antichi), che gli deriva dalla sua formazione di giornalista e maestro, è la naturale inclinazione al racconto breve, cui si accompagna la personale tendenza alla narrativa del discorso letterario.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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