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”Miss Marx” La figura titanica e sofferta della ”figlia del Capitale”
PuntoZip di martedì 29 dicembre 2020
Il libro inizia con la morte per suicidio di “Tussy” (Eleanor Marx) e questo può disorientare il lettore che forse si aspetterebbe di conoscere, man mano che va avanti con la lettura, il motivo per cui l’ha fatto. Ma l’intento, egregiamente riuscito da parte della scrittrice, era proprio quello di metterci davanti al fatto compiuto e portarci indietro, nel mondo a noi oscuro, della Londra di un tempo con approfonditi e sorprendenti riferimenti storici da vera esperta del periodo. Attraverso uno spettacolo realistico e affascinante e in un contesto politico in grande fermento, Tussy viene scavata nel profondo del suo animo e della sua psiche, con una minuziosità a volte anche crudele. Nelle gravi difficoltà che incontra nella sua breve vita, Tussy non si risparmia mai, inventandosi di volta in volta lavori o attività che possono renderla indipendente o quantomeno distrarla dall’inizio del male oscuro, a lei ancora sconosciuto, ma che già la sta minando.

di Armida Tosi
Il libro inizia con la morte per suicidio di “Tussy” (Eleanor Marx) e questo può disorientare il lettore che forse si aspetterebbe di conoscere, man mano che va avanti con la lettura, il motivo per cui l’ha fatto. Ma l’intento, egregiamente riuscito da parte della scrittrice, era proprio quello di metterci davanti al fatto compiuto e portarci indietro, nel mondo a noi oscuro, della Londra di un tempo con approfonditi e sorprendenti riferimenti storici da vera esperta del periodo. Attraverso uno spettacolo realistico e affascinante e in un contesto politico in grande fermento, Tussy viene scavata nel profondo del suo animo e della sua psiche, con una minuziosità a volte anche crudele.
Nelle gravi difficoltà che incontra nella sua breve vita, Tussy non si risparmia mai, inventandosi di volta in volta lavori o attività che possono renderla indipendente o quantomeno distrarla dall’inizio del male oscuro, a lei ancora sconosciuto, ma che già la sta minando.
Bambina curiosa, ma mai invadente e che “usciva senza scarpe ma con un libro sottobraccio”, giocava con gli appunti del padre, da cui nascerà il “Capitale” e origliava dalla porta con la sorella durate gli incontri del padre con Engels al quale era fortemente affezionata.
La Minniti ci descrive Eleanor come una donna estremamente moderna, coraggiosa e incurante del “bel pensare” dell’epoca, tanto da convivere concubina con Edward Aveling, l’uomo che cambierà la sua vita. Lo lega a lui un amore appassionato che la rende succube e persino, inconsapevole alleata dei suoi tradimenti e sperperii.
Lo stile del romanzo è semplice e puro, quasi giornalistico e con interessanti riferimenti alla nostra quotidianità. Il suicidio di Eleanor è il pretesto, un ottimo pretesto, per immergerci in un affresco che descrive un’epoca, attraverso la descrizione di un’Europa che cambia e di un’ideologia protagonista del Novecento.
Tussy sapeva nascondere con grande abilità le sue nevrosi e mai si era lamentata o confidata con alcuno della sua solitudine interiore, cosa che, almeno in parte, avrebbe potuto alleggerire la sua emarginazione.
La sua passione politica, soverchiata dalla sua vita disperata, sarà minata nel 1881, dalla morte della maggior parte dei suoi familiari, che lasceranno un immenso vuoto, ma soprattutto grandi rimpianti e sensi di colpa.
S’ipotizza che il suo suicidio sia una vendetta contro Aveling che non riusciva ad abbandonare ma anche all’insoddisfazione per i magri risultati delle battaglie politiche cui aveva votato la sua esistenza. Vero è che la sua figura sottomessa e plagiata da i due uomini più importanti della sua vita, il padre e il compagno, ci fa riflettere sulla condizione immutata sulle donne.

Barbara Minniti, vive e lavora a Roma. Giornalista professionista, per anni cronista di un quotidiano romano, poi passata alla comunicazione pubblica e al giornalismo storico-scientifico, finchè non si è scoperta anche scrittrice. Nel 2005 ha pubblicato con Robin Edizioni il suo primo romanzo L’ombra della notte, seguito nel 2008 dal romanzo storico Casa Collins – Le memorie della segretaria inglese di Garibaldi, edito da Polistampa di Firenze. Attualmente è impegnata nel mondo del terzo settore, organizza eventi ed è Presidente di un’Associazione che si occupa della diffusione della lingua e cultura inglese.


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PuntoZip - martedì 29 dicembre 2020
Il libro inizia con la morte per suicidio di “Tussy” (Eleanor Marx) e questo può disorientare il lettore che forse si aspetterebbe di conoscere, man mano che va avanti con la lettura, il motivo per cui l’ha fatto. Ma l’intento, egregiamente riuscito da parte della scrittrice, era proprio quello di metterci davanti al fatto compiuto e portarci indietro, nel mondo a noi oscuro, della Londra di un tempo con approfonditi e sorprendenti riferimenti storici da vera esperta del periodo. Attraverso uno spettacolo realistico e affascinante e in un contesto politico in grande fermento, Tussy viene scavata nel profondo del suo animo e della sua psiche, con una minuziosità a volte anche crudele. Nelle gravi difficoltà che incontra nella sua breve vita, Tussy non si risparmia mai, inventandosi di volta in volta lavori o attività che possono renderla indipendente o quantomeno distrarla dall’inizio del male oscuro, a lei ancora sconosciuto, ma che già la sta minando.

di Armida Tosi
Il libro inizia con la morte per suicidio di “Tussy” (Eleanor Marx) e questo può disorientare il lettore che forse si aspetterebbe di conoscere, man mano che va avanti con la lettura, il motivo per cui l’ha fatto. Ma l’intento, egregiamente riuscito da parte della scrittrice, era proprio quello di metterci davanti al fatto compiuto e portarci indietro, nel mondo a noi oscuro, della Londra di un tempo con approfonditi e sorprendenti riferimenti storici da vera esperta del periodo. Attraverso uno spettacolo realistico e affascinante e in un contesto politico in grande fermento, Tussy viene scavata nel profondo del suo animo e della sua psiche, con una minuziosità a volte anche crudele.
Nelle gravi difficoltà che incontra nella sua breve vita, Tussy non si risparmia mai, inventandosi di volta in volta lavori o attività che possono renderla indipendente o quantomeno distrarla dall’inizio del male oscuro, a lei ancora sconosciuto, ma che già la sta minando.
Bambina curiosa, ma mai invadente e che “usciva senza scarpe ma con un libro sottobraccio”, giocava con gli appunti del padre, da cui nascerà il “Capitale” e origliava dalla porta con la sorella durate gli incontri del padre con Engels al quale era fortemente affezionata.
La Minniti ci descrive Eleanor come una donna estremamente moderna, coraggiosa e incurante del “bel pensare” dell’epoca, tanto da convivere concubina con Edward Aveling, l’uomo che cambierà la sua vita. Lo lega a lui un amore appassionato che la rende succube e persino, inconsapevole alleata dei suoi tradimenti e sperperii.
Lo stile del romanzo è semplice e puro, quasi giornalistico e con interessanti riferimenti alla nostra quotidianità. Il suicidio di Eleanor è il pretesto, un ottimo pretesto, per immergerci in un affresco che descrive un’epoca, attraverso la descrizione di un’Europa che cambia e di un’ideologia protagonista del Novecento.
Tussy sapeva nascondere con grande abilità le sue nevrosi e mai si era lamentata o confidata con alcuno della sua solitudine interiore, cosa che, almeno in parte, avrebbe potuto alleggerire la sua emarginazione.
La sua passione politica, soverchiata dalla sua vita disperata, sarà minata nel 1881, dalla morte della maggior parte dei suoi familiari, che lasceranno un immenso vuoto, ma soprattutto grandi rimpianti e sensi di colpa.
S’ipotizza che il suo suicidio sia una vendetta contro Aveling che non riusciva ad abbandonare ma anche all’insoddisfazione per i magri risultati delle battaglie politiche cui aveva votato la sua esistenza. Vero è che la sua figura sottomessa e plagiata da i due uomini più importanti della sua vita, il padre e il compagno, ci fa riflettere sulla condizione immutata sulle donne.

Barbara Minniti, vive e lavora a Roma. Giornalista professionista, per anni cronista di un quotidiano romano, poi passata alla comunicazione pubblica e al giornalismo storico-scientifico, finchè non si è scoperta anche scrittrice. Nel 2005 ha pubblicato con Robin Edizioni il suo primo romanzo L’ombra della notte, seguito nel 2008 dal romanzo storico Casa Collins – Le memorie della segretaria inglese di Garibaldi, edito da Polistampa di Firenze. Attualmente è impegnata nel mondo del terzo settore, organizza eventi ed è Presidente di un’Associazione che si occupa della diffusione della lingua e cultura inglese.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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