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Il coraggio patriottico di Maria Pasquinelli e il dramma istriano-dalmata
Barbadillo di mercoledì 3 marzo 2021
La donna, fascista fervente, aderente alla RSI, nel 1947 uccise a colpi di pistola il generale inglese Robert De Winton perché gli alleati concessero i territori orientali italiani alla Jugoslavia. Lei aveva molti documenti sugli stermini dei partigiani titini. Ora sono stati pubblicati

di Manlio Triggiani

La memoria dei martiri delle Foibe è oltraggiata da pseudo-storici e da case editrici partigiane, ma registra anche il riconoscimento dei grandi media, come nel caso della paginata dedicata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera  alla patriota Maria Pasquinelli.

***

Fare chiarezza onestamente: questa è la parola d’ordine delle associazioni dei sopravvissuti e degli esuli. Hanno ragione gli esuli di terza generazione di origine istriana, dalmata e giuliana ad affermare che bisogna puntare non solo alla Giornata del Ricordo, che cade ogni 10 Febbraio, ma soprattutto a produrre studi e informazione per alimentare il ricordo dei Martiri dell’olocausto del confine orientale italiano. Questa nuova politica, di impostazione culturale, è stata varata da Carla Cace, neopresidente dell’Associazione nazionale dalmati, la quale sostiene che il miglior modo per commemorare le vittime italiane della pulizia etnica realizzata dai comunisti titini nel 1943-1947, è proprio fare chiarezza con studi, testimonianze, recupero di salme rimaste nelle foibe. Anche per contrastare il negazionismo. Infatti, è notizia di alcuni giorni fa che il Consiglio regionale del Veneto ha approvato una mozione (primo firmatario Raffaele Speranzon di FdI) che prevede che non vengano finanziate le associazioni che sostengono il negazionismo e il riduzionismo sul dramma delle foibe. Niente più soldi, quindi, a coloro che invece di effettuare studi fanno solo propaganda politica sulla pelle di quanti sono stati uccisi e gettati nelle foibe. La sinistra ha votato contro la mozione e questo la dice lunga. La speranza è che gli studi – come per tutte le vicende di ogni epoca storica – vengano incrementati. 

Nelle foibe, cavità carsiche profonde centinaia di metri, vennero gettate decine di migliaia di italiani, o in mare con una pietra al collo. Seguivano stermini, torture, violenze sulle donne. Insomma, tutte le gesta dei partigiani comunisti titini con i collaborazionisti partigiani italiani va ricordato alle nuove generazioni. Per non far scadere quelle vicende nell’ambito delle generiche violenze del ‘900.

Non solo. Va ricordata anche la conseguenza di questo sterminio: l’esodo di oltre 300mila profughi dalmati, giuliani, istriani, che persero tutto e furono anche maltrattati in Italia dai comunisti italiani che appoggiavano i comunisti titini e non i compatrioti. Anche perché questa era la linea dettata dal PCI. In seguito gli jugoslavi proseguirono nella loro politica di depredazione e corruzione espropriando le terre italiane, appropriandosi delle case italiane, continuando a uccidere gli italiani rimasti in quella zona, perseguitando le minoranze, che in tutte le nazioni in genere sono state sempre tutelate. Azioni barbare che favorirono la diaspora.

Da poco è in libreria un’opera di particolare interesse per la ricchezza della documentazione. Il libro è frutto di un’opera di curatela di due giornaliste, Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti (Tutto ciò che vedi. Parla Maria Pasquinelli, Oltre ed., pagg. 386, euro 21,00) con testi raccolti proprio in quei giorni tragici da Maria Pasquinelli (1913-2013). L’autrice è nota perché il 10 febbraio del 1947 uccise a revolverate il generale britannico Robert De Winton, massima autorità alleata nella città di Pola (Istria), per protestare contro il trattato firmato quel giorno stesso a Parigi, che assegnava l’Istria, la Dalmazia e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Fu la decisione delle potenze vincitrici. Coraggiosa, Maria Pasquinelli. Fervente fascista, iscritta al Partito nazionale fascista, volontaria alla Scuola di Mistica fascista e poi aderente al Partito fascista repubblicano, volle con quel gesto colpire la decisione degli Alleati rivendicando l’italianità di quelle terre. Fedele fino alla fine, fu condannata all’ergastolo. Maestra nella vita, svolse nel 1944-45 attività informativa sul confine orientale per la X Flottiglia Mas entrando in collegamento direttamente con il comandante Junio Valerio Borghese. Il libro contiene testimonianze, interviste, dichiarazioni, fotografie, stralci di giornali dell’epoca sulle foibe e sui massacri titini, sulle fosse comuni, insomma sulla politica sterminazionista dei comunisti jugoslavi nelle terre italiane. Talvolta aiutati da collaborazionisti partigiani italiani. Le modalità di esecuzione e di tortura usate dai comunisti titini erano raccapriccianti per estrema violenza e sadismo. Tutto questo è confermato dal materiale raccolto da Pasquinelli (con tanto di testimonianze scritte, e nomi, cognomi e firme), custodito in un baule depositato dall’arcivescovo Antonio Santin nel caveau di una banca. Solo pochi anni fa il materiale è stato “desecretato” e affidato alle due giornaliste che ne hanno curato la pubblicazione. Una testimonianza con tanto di fatti, vicende, esecuzioni sommarie di itaiani che avevano la colpa di essere italiani.

Una pecca nel libro c’è. All’inizio, nella pur interessante introduzione, Ezio Giuricin paga pegno al “politicamente corretto” offrendo interpretazioni non sempre in linea con quanto è successo. Basta leggere le testimonianze. Chiude il libro un triste e impressionante elenco di 228 istriani uccisi dai partigiani slavi comunisti nel settembre e ottobre 1943. Fabbri, impiegati, docenti, casalinghe, agricoltori, meccanici, un lungo elenco di persone qualunque, colpevoli solo di essere orgogliosamente italiane.



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Barbadillo - mercoledì 3 marzo 2021
La donna, fascista fervente, aderente alla RSI, nel 1947 uccise a colpi di pistola il generale inglese Robert De Winton perché gli alleati concessero i territori orientali italiani alla Jugoslavia. Lei aveva molti documenti sugli stermini dei partigiani titini. Ora sono stati pubblicati

di Manlio Triggiani

La memoria dei martiri delle Foibe è oltraggiata da pseudo-storici e da case editrici partigiane, ma registra anche il riconoscimento dei grandi media, come nel caso della paginata dedicata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera  alla patriota Maria Pasquinelli.

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Fare chiarezza onestamente: questa è la parola d’ordine delle associazioni dei sopravvissuti e degli esuli. Hanno ragione gli esuli di terza generazione di origine istriana, dalmata e giuliana ad affermare che bisogna puntare non solo alla Giornata del Ricordo, che cade ogni 10 Febbraio, ma soprattutto a produrre studi e informazione per alimentare il ricordo dei Martiri dell’olocausto del confine orientale italiano. Questa nuova politica, di impostazione culturale, è stata varata da Carla Cace, neopresidente dell’Associazione nazionale dalmati, la quale sostiene che il miglior modo per commemorare le vittime italiane della pulizia etnica realizzata dai comunisti titini nel 1943-1947, è proprio fare chiarezza con studi, testimonianze, recupero di salme rimaste nelle foibe. Anche per contrastare il negazionismo. Infatti, è notizia di alcuni giorni fa che il Consiglio regionale del Veneto ha approvato una mozione (primo firmatario Raffaele Speranzon di FdI) che prevede che non vengano finanziate le associazioni che sostengono il negazionismo e il riduzionismo sul dramma delle foibe. Niente più soldi, quindi, a coloro che invece di effettuare studi fanno solo propaganda politica sulla pelle di quanti sono stati uccisi e gettati nelle foibe. La sinistra ha votato contro la mozione e questo la dice lunga. La speranza è che gli studi – come per tutte le vicende di ogni epoca storica – vengano incrementati. 

Nelle foibe, cavità carsiche profonde centinaia di metri, vennero gettate decine di migliaia di italiani, o in mare con una pietra al collo. Seguivano stermini, torture, violenze sulle donne. Insomma, tutte le gesta dei partigiani comunisti titini con i collaborazionisti partigiani italiani va ricordato alle nuove generazioni. Per non far scadere quelle vicende nell’ambito delle generiche violenze del ‘900.

Non solo. Va ricordata anche la conseguenza di questo sterminio: l’esodo di oltre 300mila profughi dalmati, giuliani, istriani, che persero tutto e furono anche maltrattati in Italia dai comunisti italiani che appoggiavano i comunisti titini e non i compatrioti. Anche perché questa era la linea dettata dal PCI. In seguito gli jugoslavi proseguirono nella loro politica di depredazione e corruzione espropriando le terre italiane, appropriandosi delle case italiane, continuando a uccidere gli italiani rimasti in quella zona, perseguitando le minoranze, che in tutte le nazioni in genere sono state sempre tutelate. Azioni barbare che favorirono la diaspora.

Da poco è in libreria un’opera di particolare interesse per la ricchezza della documentazione. Il libro è frutto di un’opera di curatela di due giornaliste, Rosanna Turcinovich e Rossana Poletti (Tutto ciò che vedi. Parla Maria Pasquinelli, Oltre ed., pagg. 386, euro 21,00) con testi raccolti proprio in quei giorni tragici da Maria Pasquinelli (1913-2013). L’autrice è nota perché il 10 febbraio del 1947 uccise a revolverate il generale britannico Robert De Winton, massima autorità alleata nella città di Pola (Istria), per protestare contro il trattato firmato quel giorno stesso a Parigi, che assegnava l’Istria, la Dalmazia e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Fu la decisione delle potenze vincitrici. Coraggiosa, Maria Pasquinelli. Fervente fascista, iscritta al Partito nazionale fascista, volontaria alla Scuola di Mistica fascista e poi aderente al Partito fascista repubblicano, volle con quel gesto colpire la decisione degli Alleati rivendicando l’italianità di quelle terre. Fedele fino alla fine, fu condannata all’ergastolo. Maestra nella vita, svolse nel 1944-45 attività informativa sul confine orientale per la X Flottiglia Mas entrando in collegamento direttamente con il comandante Junio Valerio Borghese. Il libro contiene testimonianze, interviste, dichiarazioni, fotografie, stralci di giornali dell’epoca sulle foibe e sui massacri titini, sulle fosse comuni, insomma sulla politica sterminazionista dei comunisti jugoslavi nelle terre italiane. Talvolta aiutati da collaborazionisti partigiani italiani. Le modalità di esecuzione e di tortura usate dai comunisti titini erano raccapriccianti per estrema violenza e sadismo. Tutto questo è confermato dal materiale raccolto da Pasquinelli (con tanto di testimonianze scritte, e nomi, cognomi e firme), custodito in un baule depositato dall’arcivescovo Antonio Santin nel caveau di una banca. Solo pochi anni fa il materiale è stato “desecretato” e affidato alle due giornaliste che ne hanno curato la pubblicazione. Una testimonianza con tanto di fatti, vicende, esecuzioni sommarie di itaiani che avevano la colpa di essere italiani.

Una pecca nel libro c’è. All’inizio, nella pur interessante introduzione, Ezio Giuricin paga pegno al “politicamente corretto” offrendo interpretazioni non sempre in linea con quanto è successo. Basta leggere le testimonianze. Chiude il libro un triste e impressionante elenco di 228 istriani uccisi dai partigiani slavi comunisti nel settembre e ottobre 1943. Fabbri, impiegati, docenti, casalinghe, agricoltori, meccanici, un lungo elenco di persone qualunque, colpevoli solo di essere orgogliosamente italiane.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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