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“L’ultimo ebreo” – Ivo Scanner
lefrasipiubelledeilibri.it di lunedģ 12 aprile 2021
Prima parte: 1958, Unione nazionalista europea. La seconda guerra mondiale, terminata ormai da diversi anni, ha visto uscire vincitore Adolf Hitler e i suoi alleati; il potere nazista sul continente europeo, e non solo...

di Anna Rita

TRAMA

“L’ultimo ebreo” è un romanzo che ha gli ingredienti tipici del noir e del thriller, ma si svolge in due universi paralleli, immaginando un mondo in cui la Seconda guerra mondiale è stata vinta dai nazifascisti e lo sterminio degli ebrei è arrivato a compimento. Ambientata nel 1958, la trama si impernia su due protagonisti principali, l’uomo accusato di essere l’ultimo ebreo, un italiano, e il maggiore nazista che gli dà la caccia. La fuga dell’ultimo ebreo parte da Berlino e si conclude in una Roma mussoliniana, con una rivelazione che scompagina le certezze iniziali. Nella seconda parte, Sotto la casa, l’incubo nazista si ripresenta ai nostri giorni, in un differente universo, più simile a quello in cui viviamo: i giovani di un centro sociale occupano un vecchio casolare abbandonato, ma scopriranno che quell’edificio nasconde molti segreti e molti misteri. In chiusura del volume, un saggio di Fabio Giovannini sull’ucronia (le situazioni storiche alternative, diverse da quelle realmente avvenute) nella letteratura e nell’immaginario.

Leggi le frasi che abbiamo scelto per te


RECENSIONI

Prima parte: 1958, Unione nazionalista europea. La seconda guerra mondiale, terminata ormai da diversi anni, ha visto uscire vincitore Adolf Hitler e i suoi alleati; il potere nazista sul continente europeo, e non solo, ne è uscito rinvigorito. Un dispiegamento di forze fuori scala è stato adoperato per portare a termine la grande impresa: ripulire il mondo dal morbo ebreo. Dall’ultimo censimento fatto gli ebrei risultano essere stati totalmente sterminati. Eccetto uno.

La sua cattura rende inquiete le notti del camerata Konig: ufficiale del reparto Cacciatori, ha seminato il terrore tra gli oppositori del regime, portando morte ovunque.
Dell’ultimo ebreo si sa fin troppo perché possa scappare. Renzo Renna, italiano, appena ha saputo di essere il nemico numero uno del grande Reich si è dato alla fuga insieme a Mila, comunista nota alle forze armate.
Konig e Renna arriveranno ad essere l’uno davanti all’altro innumerevoli volte. In un inquietante danza della morte muoveranno i loro passi; l’istinto di sopravvivenza permetterà a Renzo di fuggire dalle mani del perverso camerata, che si “nutre” del sangue delle sue vittime?

Seconda parte: giorni nostri, Roma. Casa Conchiglia è un vecchio edificio abbandonato attorno a cui ruotano diverse storie, forse vere, forse no. Pare sia stata utilizzata durante l’occupazione nazista per torturare ed uccidere oppositori e comunisti. Dichiarata pericolante, sarà presto rasa al suolo dagli addetti del comune. Ma i ragazzi del centro sociale “Marcos”, dalle idee rivoluzionarie e certamente antifasciste, decideranno di occuparla, come ennesimo atto sovversivo, riprova del loro dissenso verso quello che fu. Una volta arrivati a Casa Conchiglia i ragazzi troveranno altre ospiti, due giornaliste spintesi fin lì per accaparrarsi per prime la notizia dell’occupazione.

Ma quello che li attenderà sarà ben diverso da ciò che penseranno di trovare. Controsoffitti pieni di armi, scantinati evanescenti e pavimenti vacillanti.
L’edificio fatiscente nasconderà nei suoi sotterranei un riverbero di un’epoca passata, in cerca di un canale attraverso cui tornare nel mondo.

“L’ultimo ebreo” celebra l’ucronia: la storia che non fu mai (ma che poteva essere). Nell’illuminante postfazione a opera di Fabio Giovannini, si apprende la genesi di questo genere di romanzo che rompe gli schemi, pur restandoci dentro. Così Ivo Scanner crea un pezzo di storia, quella che non fu, che viaggia accanto a quella che è stata.
La suspense, la tensione, e a tratti anche l’inquietudine, faranno da padrone durante la lettura di questo libro.

E raggiungeranno il loro apice nelle frasi di chiusura:
“Parlano in tedesco e io non li capisco.
Ma l’ufficiale che sa l’italiano mi spiega che un giorno usciranno all’aperto, di nuovo.
Percorreranno le gallerie sotterranee e sbucheranno tra i palazzi. Alla luce.
In questa città, o in un’altra.”

[©Martina Caruso per Le frasi più belle dei Libri…]

 

Le recensioni presenti in “Le frasi più belle dei Libri…” esprimono le opinioni personali del recensore. Ti suggeriamo di leggere i libri che ti proponiamo, a prescindere dal giudizio da noi espresso. Qualora volessi esprimere la tua opinione invia commenti o recensioni tramite il modulo presente nel nostro sito web.


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Prima parte: 1958, Unione nazionalista europea. La seconda guerra mondiale, terminata ormai da diversi anni, ha visto uscire vincitore Adolf Hitler e i suoi alleati; il potere nazista sul continente europeo, e non solo...

di Anna Rita

TRAMA

“L’ultimo ebreo” è un romanzo che ha gli ingredienti tipici del noir e del thriller, ma si svolge in due universi paralleli, immaginando un mondo in cui la Seconda guerra mondiale è stata vinta dai nazifascisti e lo sterminio degli ebrei è arrivato a compimento. Ambientata nel 1958, la trama si impernia su due protagonisti principali, l’uomo accusato di essere l’ultimo ebreo, un italiano, e il maggiore nazista che gli dà la caccia. La fuga dell’ultimo ebreo parte da Berlino e si conclude in una Roma mussoliniana, con una rivelazione che scompagina le certezze iniziali. Nella seconda parte, Sotto la casa, l’incubo nazista si ripresenta ai nostri giorni, in un differente universo, più simile a quello in cui viviamo: i giovani di un centro sociale occupano un vecchio casolare abbandonato, ma scopriranno che quell’edificio nasconde molti segreti e molti misteri. In chiusura del volume, un saggio di Fabio Giovannini sull’ucronia (le situazioni storiche alternative, diverse da quelle realmente avvenute) nella letteratura e nell’immaginario.

Leggi le frasi che abbiamo scelto per te


RECENSIONI

Prima parte: 1958, Unione nazionalista europea. La seconda guerra mondiale, terminata ormai da diversi anni, ha visto uscire vincitore Adolf Hitler e i suoi alleati; il potere nazista sul continente europeo, e non solo, ne è uscito rinvigorito. Un dispiegamento di forze fuori scala è stato adoperato per portare a termine la grande impresa: ripulire il mondo dal morbo ebreo. Dall’ultimo censimento fatto gli ebrei risultano essere stati totalmente sterminati. Eccetto uno.

La sua cattura rende inquiete le notti del camerata Konig: ufficiale del reparto Cacciatori, ha seminato il terrore tra gli oppositori del regime, portando morte ovunque.
Dell’ultimo ebreo si sa fin troppo perché possa scappare. Renzo Renna, italiano, appena ha saputo di essere il nemico numero uno del grande Reich si è dato alla fuga insieme a Mila, comunista nota alle forze armate.
Konig e Renna arriveranno ad essere l’uno davanti all’altro innumerevoli volte. In un inquietante danza della morte muoveranno i loro passi; l’istinto di sopravvivenza permetterà a Renzo di fuggire dalle mani del perverso camerata, che si “nutre” del sangue delle sue vittime?

Seconda parte: giorni nostri, Roma. Casa Conchiglia è un vecchio edificio abbandonato attorno a cui ruotano diverse storie, forse vere, forse no. Pare sia stata utilizzata durante l’occupazione nazista per torturare ed uccidere oppositori e comunisti. Dichiarata pericolante, sarà presto rasa al suolo dagli addetti del comune. Ma i ragazzi del centro sociale “Marcos”, dalle idee rivoluzionarie e certamente antifasciste, decideranno di occuparla, come ennesimo atto sovversivo, riprova del loro dissenso verso quello che fu. Una volta arrivati a Casa Conchiglia i ragazzi troveranno altre ospiti, due giornaliste spintesi fin lì per accaparrarsi per prime la notizia dell’occupazione.

Ma quello che li attenderà sarà ben diverso da ciò che penseranno di trovare. Controsoffitti pieni di armi, scantinati evanescenti e pavimenti vacillanti.
L’edificio fatiscente nasconderà nei suoi sotterranei un riverbero di un’epoca passata, in cerca di un canale attraverso cui tornare nel mondo.

“L’ultimo ebreo” celebra l’ucronia: la storia che non fu mai (ma che poteva essere). Nell’illuminante postfazione a opera di Fabio Giovannini, si apprende la genesi di questo genere di romanzo che rompe gli schemi, pur restandoci dentro. Così Ivo Scanner crea un pezzo di storia, quella che non fu, che viaggia accanto a quella che è stata.
La suspense, la tensione, e a tratti anche l’inquietudine, faranno da padrone durante la lettura di questo libro.

E raggiungeranno il loro apice nelle frasi di chiusura:
“Parlano in tedesco e io non li capisco.
Ma l’ufficiale che sa l’italiano mi spiega che un giorno usciranno all’aperto, di nuovo.
Percorreranno le gallerie sotterranee e sbucheranno tra i palazzi. Alla luce.
In questa città, o in un’altra.”

[©Martina Caruso per Le frasi più belle dei Libri…]

 

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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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