CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
AA. VV. A trent’anni dal “congedo” di Giorgio Caproni
Liberi di scrivere di mercoledì 21 aprile 2021
Giorgio Caproni è stato uno dei poeti più innovativi del Novecento. La sua essenzialità musicale scavata nella nuda terra della parola sconvolse il linguaggio della poesia

di Nicola Vacca

Giorgio Caproni è stato uno dei poeti più innovativi del Novecento. La sua essenzialità musicale scavata nella nuda terra della parola sconvolse il linguaggio della poesia.
I suoi versi restano un’esemplare testimonianza di un secolo ferito in cui il poeta si è posto nella condizione di viaggiatore.
I temi preferiti da Caproni sono il viaggio, la frontiera, la terra di nessuno con i loro paesaggi solitari. L’andare poetico di Caproni è fatto di metafisiche apparizioni che mettono a nudo l’incerto confine della vita abitato dall’uomo che è cacciatore e preda allo stesso tempo.
Caproni già in Come un’allegoria si interroga sulla vita e in seguito negli altri suoi libri (Il muro della terra, Congedo del viaggiatore cerimonioso) ha affrontato a viso aperto le ragioni profonde dell’esistenza toccando con limpida chiarezza i temi legati alle domande fondamentali, davanti alle quali chiede al lettore un’attenzione perplessa.
Nato il 7 Gennaio 1912 a Livorno e scomparso il 22 febbraio 1990 Giorgio Caproni è stato senza alcun dubbio uno dei massimi poeti del Novecento anche se ancora oggi tutte le iniziative promosse in suo favore sono servite ben poco a favorirne una più larga conoscenza.
Questo sostiene Francesco De Nicola che (insieme a Federico Marenco)in occasione dei trent’anni della scomparsa di Caproni al poeta ha curato un volume interessante scritto a più mani.
A trent’anni dal “congedo” di Giorgio Caproni. “Scendo, buon proseguimento” (Gammarò edizioni, pagine 115, € 16,00 è una raccolta di scritti (Angela Siciliano, Maria Teresa Caprile, Francesca Irene Sensini, Valentina Colonna, Federico Marenco, Francesco De Nicola) che esplorano alcuni aspetti sinora pressoché trascurati nella pur vasta bibliografia critica esistente sulla sua poesia.
Maria Teresa Caprile si sofferma sulle intuizioni di Caproni in merito al dubbio e sulla parola che nel Novecento ha subito un’estenuante falsificazione assecondata alla politica, un’imminente volgarizzazione che ha corroso i valori dell’umanesimo.
Partendo da questa premessa Caproni affronterà radicalmente tutti i dilemmi del disfacimento, inventando una lingua nuova che ha nella rottura del significato il suo punto di forza per una poetica che resterà un’esemplare e unica testimonianza di un secolo ferito in cui il poeta si è posto nella condizione di viaggiatore.
Un viaggio che porterà Caproni in nessun luogo, o in posti nebbiosi, assurdi e vuoti «La sua – scriverà Gian Luigi Beccaria – è la religione del vuoto, descritta, commentata con dizione mirabile in luoghi di frontiera dove tutto è solitudine, dolore, addio di un uomo in viaggio o in fuga».
Francesca Irene Sensini nel suo scritto intitolato Anarchici fuori tema: orti, giardini e fiori di Giorgio Caproni scrive che le tesi di Caproni sottraggono il lettore agli automatismi sensoriali del quotidiano e lo trascinano in un termin vague dove gli elementi concreti che cadono sotto i sensi si trasformano in metafisici e assolvono la funzione di strumenti conoscitivi.
Il viaggio, la frontiera, la terra di nessuno con i suoi paesaggi solitari. L’andare poetico di Caproni è fatto di metafisiche apparizioni che mettono a nudo l’incerto confine della vita abitato dall’uomo che è cacciatore e preda allo stesso tempo.

«Una poesia contratta – scrive Carlo Bo – fino allo spasimo e che tuttavia conserva una sua corposità, una parte di sostanza incontaminata. Al fondo c’è sempre l’uomo inseguito dalle sue preoccupazioni».

Caproni è stato il maggiore poeta italiano del secondo Novecento.
Il poeta livornese è riuscito a dare conto in versi dei moti dell’esistere, del vuoto e del nulla inventando un dire che tutto ha messo in discussione fino a tracciare le linee di un’esperienza poetica che ha un grado d’inventività, come giustamente osservava Vittorio Sereni, capace di individuare una situazione lirica nel quotidiano senza alcuna pretesa di definitività.
A trent’anni dal “congedo” di Giorgio Caproni è un libro prezioso, quasi un bilancio che invita il mondo della cultura a una serie di riflessioni sulla grandezza ancora non riconosciuta del grande poeta.

«La viva voce di Caproni – scrive Valentina Colonna nell’ultimo scritto che chiude il volume – è forse tra le meno conosciute del secondo Novecento, in quanto limitato fu anche lo spazio mediatico concessogli rispetto a quello di altri poeti suoi contemporanei, di cui si è consolidato, nella memoria del pubblico della televisione di quegli anni, un ricordo più chiaro. Possiamo infatti più facilmente ricordare la teatralità di Ungaretti o la melodiosità di Montale, con stili diversi e tecniche interpretative molto divergenti e contrastanti. Ma qual era la voce di Giorgio Caproni?»

Eppure quella di Caproni, come giustamente sottolinea Giovanni Giudici, era una poesia nuova.
Ancora oggi lui il è poeta nuovo che ha molto da dire e da insegnare alla cultura e alla poesia italiana contemporanea.



leggi l'articolo integrale su Liberi di scrivere
SCHEDA LIBRO   |   Segnala  |  Ufficio Stampa


CATALOGO      AUTORI      APPROFONDIMENTI      EVENTI      ARTE & ARTISTI      UNIVERSITÀ

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Oltre edizioni

Login (se sei già registrato) oppure Registrati
Liberi di scrivere - mercoledì 21 aprile 2021
Giorgio Caproni è stato uno dei poeti più innovativi del Novecento. La sua essenzialità musicale scavata nella nuda terra della parola sconvolse il linguaggio della poesia

di Nicola Vacca

Giorgio Caproni è stato uno dei poeti più innovativi del Novecento. La sua essenzialità musicale scavata nella nuda terra della parola sconvolse il linguaggio della poesia.
I suoi versi restano un’esemplare testimonianza di un secolo ferito in cui il poeta si è posto nella condizione di viaggiatore.
I temi preferiti da Caproni sono il viaggio, la frontiera, la terra di nessuno con i loro paesaggi solitari. L’andare poetico di Caproni è fatto di metafisiche apparizioni che mettono a nudo l’incerto confine della vita abitato dall’uomo che è cacciatore e preda allo stesso tempo.
Caproni già in Come un’allegoria si interroga sulla vita e in seguito negli altri suoi libri (Il muro della terra, Congedo del viaggiatore cerimonioso) ha affrontato a viso aperto le ragioni profonde dell’esistenza toccando con limpida chiarezza i temi legati alle domande fondamentali, davanti alle quali chiede al lettore un’attenzione perplessa.
Nato il 7 Gennaio 1912 a Livorno e scomparso il 22 febbraio 1990 Giorgio Caproni è stato senza alcun dubbio uno dei massimi poeti del Novecento anche se ancora oggi tutte le iniziative promosse in suo favore sono servite ben poco a favorirne una più larga conoscenza.
Questo sostiene Francesco De Nicola che (insieme a Federico Marenco)in occasione dei trent’anni della scomparsa di Caproni al poeta ha curato un volume interessante scritto a più mani.
A trent’anni dal “congedo” di Giorgio Caproni. “Scendo, buon proseguimento” (Gammarò edizioni, pagine 115, € 16,00 è una raccolta di scritti (Angela Siciliano, Maria Teresa Caprile, Francesca Irene Sensini, Valentina Colonna, Federico Marenco, Francesco De Nicola) che esplorano alcuni aspetti sinora pressoché trascurati nella pur vasta bibliografia critica esistente sulla sua poesia.
Maria Teresa Caprile si sofferma sulle intuizioni di Caproni in merito al dubbio e sulla parola che nel Novecento ha subito un’estenuante falsificazione assecondata alla politica, un’imminente volgarizzazione che ha corroso i valori dell’umanesimo.
Partendo da questa premessa Caproni affronterà radicalmente tutti i dilemmi del disfacimento, inventando una lingua nuova che ha nella rottura del significato il suo punto di forza per una poetica che resterà un’esemplare e unica testimonianza di un secolo ferito in cui il poeta si è posto nella condizione di viaggiatore.
Un viaggio che porterà Caproni in nessun luogo, o in posti nebbiosi, assurdi e vuoti «La sua – scriverà Gian Luigi Beccaria – è la religione del vuoto, descritta, commentata con dizione mirabile in luoghi di frontiera dove tutto è solitudine, dolore, addio di un uomo in viaggio o in fuga».
Francesca Irene Sensini nel suo scritto intitolato Anarchici fuori tema: orti, giardini e fiori di Giorgio Caproni scrive che le tesi di Caproni sottraggono il lettore agli automatismi sensoriali del quotidiano e lo trascinano in un termin vague dove gli elementi concreti che cadono sotto i sensi si trasformano in metafisici e assolvono la funzione di strumenti conoscitivi.
Il viaggio, la frontiera, la terra di nessuno con i suoi paesaggi solitari. L’andare poetico di Caproni è fatto di metafisiche apparizioni che mettono a nudo l’incerto confine della vita abitato dall’uomo che è cacciatore e preda allo stesso tempo.

«Una poesia contratta – scrive Carlo Bo – fino allo spasimo e che tuttavia conserva una sua corposità, una parte di sostanza incontaminata. Al fondo c’è sempre l’uomo inseguito dalle sue preoccupazioni».

Caproni è stato il maggiore poeta italiano del secondo Novecento.
Il poeta livornese è riuscito a dare conto in versi dei moti dell’esistere, del vuoto e del nulla inventando un dire che tutto ha messo in discussione fino a tracciare le linee di un’esperienza poetica che ha un grado d’inventività, come giustamente osservava Vittorio Sereni, capace di individuare una situazione lirica nel quotidiano senza alcuna pretesa di definitività.
A trent’anni dal “congedo” di Giorgio Caproni è un libro prezioso, quasi un bilancio che invita il mondo della cultura a una serie di riflessioni sulla grandezza ancora non riconosciuta del grande poeta.

«La viva voce di Caproni – scrive Valentina Colonna nell’ultimo scritto che chiude il volume – è forse tra le meno conosciute del secondo Novecento, in quanto limitato fu anche lo spazio mediatico concessogli rispetto a quello di altri poeti suoi contemporanei, di cui si è consolidato, nella memoria del pubblico della televisione di quegli anni, un ricordo più chiaro. Possiamo infatti più facilmente ricordare la teatralità di Ungaretti o la melodiosità di Montale, con stili diversi e tecniche interpretative molto divergenti e contrastanti. Ma qual era la voce di Giorgio Caproni?»

Eppure quella di Caproni, come giustamente sottolinea Giovanni Giudici, era una poesia nuova.
Ancora oggi lui il è poeta nuovo che ha molto da dire e da insegnare alla cultura e alla poesia italiana contemporanea.



leggi l'articolo integrale su Liberi di scrivere
SCHEDA LIBRO   |   Stampa   |   Segnala  |  Ufficio Stampa

TUTTI GLI EVENTI

OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

LEGGI TUTTO