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Paesaggio e passaggio, l’umano svelato nel tributo in foto a Pietro Greco
Sapereambiente di giovedě 3 giugno 2021
Lo scorso dicembre il celebre chimico divulgatore č morto prematuramente nella sua Ischia, dov’era nato. L’amico e fotografo Roberto Besana gli dedica un libro di immagini e riflessioni. Un progetto dello stesso “professore”, divenuto tributo, a cui hanno partecipato sessantacinque amici e colleghi

di Maria Luisa Vitale

Un proverbio dice che quando l’uomo fa progetti, Dio ride. Ride della nostra illusione di poter comandare il destino ma, nonostante tutto, viviamo per progettare. Il giorno della scomparsa di Pietro Greco, in molti lo hanno ricordato dicendo che proprio pochi giorni prima lo avevano sentito per quel tal progetto da fare insieme. Progetti tutti diversi, perché Pietro Greco sembrava instancabile: l’impegno come saggista, giornalista, direttore di giornale, come conduttore radiofonico, come docente nei Master di comunicazione della scienza e, con la pandemia, sembrava aver raddoppiato anche il suo impegno negli incontri con il pubblico, facilitati dai webinar.

 

La lezione di Pietro Greco agli studenti del corso di
Divulgazione naturalistica sulla comunicazione della scienza

 

Un progetto divenuto tributo

Stava progettando anche un nuovo libro fotografico con Roberto Besana, un libro che seguisse L’albero, presentato poche settimane prima della scomparsa del chimico divulgatore. E quel progetto Roberto Besana non l’ha accantonato ma lo ha trasformato in un tributo all’amico, chiedendo ad altri 65 amici di Pietro (65 come gli anni che aveva al momento della sua morte) di scrivere pensieri, parole, riflessioni sul nostro paesaggio in cambiamento a corredo delle 65 foto in bianco e nero dello stesso Besana. È nato così Il paesaggio, un libro fotografico diviso in quattro parti a cui hanno contribuito tanti nomi del giornalismo scientifico, ambientale e della divulgazione che molto devono al lascito di Pietro Greco. Fra i contribuiti, anche le parole di Rossella Panarese, ideatrice di Radio3 Scienza, anche lei prematuramente scomparsa pochissimi mesi dopo Greco. Ad ogni autore è stata lasciata libertà di interpretare l’immagine prescelta, ne è nato un volume che alterna ricordi dell’amico a riflessioni sul tempo che passa, riferisce dell’opera di cambiamento dell’uomo sul paesaggio, fa riflettere sulla compenetrazione tra mano umana e natura, sulla vita in armonia, sulla sua distruzione.

 

Paesaggi, o della natura come costruzione

La premessa è che il paesaggio non è la natura in quanto tale, ma è una sua elaborazione, una sua costruzione. Quello che la macchina fotografica coglie è un momento di una porzione scelta di spazio: la luce, la profondità o il dettaglio condizionano la percezione, portando i 65 autori a vedere e sentire in modo diverso questa costruzione. Paesaggio che è anche luogo dell’anima e del ricordo: ed allora la natura prepotente che si fa spazio tra mura diroccate diventa il ricordo di una pur vicina vita rurale, l’ombra degli alberi che si allunga al tramonto suscita la riflessione sul tempo umano scandito dal sole e sostituito invece dagli impegni calendarizzati in agenda. Nelle foto, nuvole grigie e cariche di pioggia schermano accecanti bagliori solari esaltati dal bianco e nero, che non lasciando ai colori la possibilità di suggerire momenti e storie, fa concentrare sul gioco delle ombre e dei particolari. Vediamo impronte sulla neve candida, la verticalità delle vette contrapposta all’orizzontalità delle linee elettriche che con forza dichiarano la presenza umana, così come le betulle ordinatamente allineate sull’argine del fiume, che creano linee e schemi umani che la nebbia della valle padana prova a confondere.



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Sapereambiente - giovedě 3 giugno 2021
Lo scorso dicembre il celebre chimico divulgatore č morto prematuramente nella sua Ischia, dov’era nato. L’amico e fotografo Roberto Besana gli dedica un libro di immagini e riflessioni. Un progetto dello stesso “professore”, divenuto tributo, a cui hanno partecipato sessantacinque amici e colleghi

di Maria Luisa Vitale

Un proverbio dice che quando l’uomo fa progetti, Dio ride. Ride della nostra illusione di poter comandare il destino ma, nonostante tutto, viviamo per progettare. Il giorno della scomparsa di Pietro Greco, in molti lo hanno ricordato dicendo che proprio pochi giorni prima lo avevano sentito per quel tal progetto da fare insieme. Progetti tutti diversi, perché Pietro Greco sembrava instancabile: l’impegno come saggista, giornalista, direttore di giornale, come conduttore radiofonico, come docente nei Master di comunicazione della scienza e, con la pandemia, sembrava aver raddoppiato anche il suo impegno negli incontri con il pubblico, facilitati dai webinar.

 

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Un progetto divenuto tributo

Stava progettando anche un nuovo libro fotografico con Roberto Besana, un libro che seguisse L’albero, presentato poche settimane prima della scomparsa del chimico divulgatore. E quel progetto Roberto Besana non l’ha accantonato ma lo ha trasformato in un tributo all’amico, chiedendo ad altri 65 amici di Pietro (65 come gli anni che aveva al momento della sua morte) di scrivere pensieri, parole, riflessioni sul nostro paesaggio in cambiamento a corredo delle 65 foto in bianco e nero dello stesso Besana. È nato così Il paesaggio, un libro fotografico diviso in quattro parti a cui hanno contribuito tanti nomi del giornalismo scientifico, ambientale e della divulgazione che molto devono al lascito di Pietro Greco. Fra i contribuiti, anche le parole di Rossella Panarese, ideatrice di Radio3 Scienza, anche lei prematuramente scomparsa pochissimi mesi dopo Greco. Ad ogni autore è stata lasciata libertà di interpretare l’immagine prescelta, ne è nato un volume che alterna ricordi dell’amico a riflessioni sul tempo che passa, riferisce dell’opera di cambiamento dell’uomo sul paesaggio, fa riflettere sulla compenetrazione tra mano umana e natura, sulla vita in armonia, sulla sua distruzione.

 

Paesaggi, o della natura come costruzione

La premessa è che il paesaggio non è la natura in quanto tale, ma è una sua elaborazione, una sua costruzione. Quello che la macchina fotografica coglie è un momento di una porzione scelta di spazio: la luce, la profondità o il dettaglio condizionano la percezione, portando i 65 autori a vedere e sentire in modo diverso questa costruzione. Paesaggio che è anche luogo dell’anima e del ricordo: ed allora la natura prepotente che si fa spazio tra mura diroccate diventa il ricordo di una pur vicina vita rurale, l’ombra degli alberi che si allunga al tramonto suscita la riflessione sul tempo umano scandito dal sole e sostituito invece dagli impegni calendarizzati in agenda. Nelle foto, nuvole grigie e cariche di pioggia schermano accecanti bagliori solari esaltati dal bianco e nero, che non lasciando ai colori la possibilità di suggerire momenti e storie, fa concentrare sul gioco delle ombre e dei particolari. Vediamo impronte sulla neve candida, la verticalità delle vette contrapposta all’orizzontalità delle linee elettriche che con forza dichiarano la presenza umana, così come le betulle ordinatamente allineate sull’argine del fiume, che creano linee e schemi umani che la nebbia della valle padana prova a confondere.



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OGT newspaper
oggi
01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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