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Operazione Venere
ThrillerMagazine di mercoledě 29 settembre 2021
Operazione Venere A 25 anni dalla sua prima uscita nella collana di Segretissimo, Oltre edizioni ripubblica “Operazione Venere”, una spy story dal ritmo incalzante e avvincente, scritta da Diego Zandel ed ambientata a Cipro, il paradiso delle spie. 1994: venti anni dopo il fallito colpo di stato che avrebbe dovuto unirla alla Grecia, la nave da crociera italiana “Esperia” fa tappa...

di Andrea Coco
Operazione Venere A 25 anni dalla sua prima uscita nella collana di Segretissimo, Oltre edizioni ripubblica “Operazione Venere”, una spy story dal ritmo incalzante e avvincente, scritta da Diego Zandel ed ambientata a Cipro, il paradiso delle spie. 1994: venti anni dopo il fallito colpo di stato che avrebbe dovuto unirla alla Grecia, la nave da crociera italiana “Esperia” fa tappa nella splendida isola, celebre per le sue bellezze naturali ed artistiche. Peccato che Cipro sia oramai divisa in due stati: la Repubblica Turca di Cipro del Nord, popolata quasi del tutto da turchi ciprioti musulmani di rito sunnita e sostenuta militarmente dalla Turchia; la repubblica di Cipro abitata dai greci ciprioti, in netta prevalenza cristiani ortodossi, parte dei quali hanno abbandonato il territorio occupato dall’esercito turco. Per i patrioti greco-ciprioti l’arrivo della nave “Esperia” con a bordo turisti provenienti dal tutto il pianeta rappresenta un’ottima occasione per attirare l’attenzione del mondo politico internazionale sulla situazione dell’isola, tantopiù che nello stesso giorno la regina Elisabetta è in visita a Cipro, a suo tempo una colonia britannica. Il pullman che porta i passeggeri della nave a visitare il il tempio di Venere viene sequestrato dai i patrioti del movimento Elefthero Kyprou, i quali non esitano a chiedere subito il ritiro da Cipro dell’esercito turco e dei cinquantamila coloni proveniente dall’Anatolia. In realtà i patrioti greco-ciprioti non vogliono fare del male ai prigionieri, sono mossi da un nobile scopo, e, soprattutto, la loro preparazione militare è modesta rispetto a quella di altri servizi segreti che si mettono subito sulle loro tracce, decisi a sfruttare a loro vantaggio la situazione. Perché tra gli ostaggi, uomini e donne, adulti e bambini, etero e non, viaggia una persona importante agli occhi dei servizi segreti iracheni e, come non bastasse, i servizi segreti di un’altra potenza vorrebbero approfittare del sequestra per creare un caso internazionale che torni a loro vantaggio. Quello che sembrava una semplice operazione è, insomma, destinata complicarsi sempre di più via via che nuovi protagonisti entrano in azione. Nonostante sia passato un quarto di secolo, “Operazione Venere” è romanzo rimasto tuttora attuale e non solo sotto l’aspetto geopolitico, ma anche per quanto riguarda il suo ritmo narrativo, la suspence e la capacità di catturare la curiosità del lettore. Per quanto riguarda la storia questa manifesta fin dalle prime pagine un ritmo incalzante, che non verrà mai meno fino alla fine dell’opera, grazie al dispiegarsi di nuove situazioni e nuovi personaggi. Quello che era apparso un semplice sequestro, diventa sempre di più un intrigo internazionale pieno di colpi di scena e continui rovesciamenti di campo, una storia resa ancora più avvincente da uno stile narrativo chiaro e coinvolgente, il quale invoglia il lettore a proseguire per sapere come finirà la storia. “Operazione Venere” è un romanzo perfetto per chi ama le storie di spionaggio classiche, prive di violenza gratuita, un’opera dove Diego Zandel affronta due argomenti a lui molto cari, l’identità culturale e l’essere nato in una zona di frontiera, la sua famiglia era originaria di Fiume. Due temi rafforzati dall’amore per il mondo greco e per l’Istria, due parti del mondo che sono spesso presenti nelle sue opere come ambientazione e argomento delle sue storie.


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Operazione Venere A 25 anni dalla sua prima uscita nella collana di Segretissimo, Oltre edizioni ripubblica “Operazione Venere”, una spy story dal ritmo incalzante e avvincente, scritta da Diego Zandel ed ambientata a Cipro, il paradiso delle spie. 1994: venti anni dopo il fallito colpo di stato che avrebbe dovuto unirla alla Grecia, la nave da crociera italiana “Esperia” fa tappa...

di Andrea Coco
Operazione Venere A 25 anni dalla sua prima uscita nella collana di Segretissimo, Oltre edizioni ripubblica “Operazione Venere”, una spy story dal ritmo incalzante e avvincente, scritta da Diego Zandel ed ambientata a Cipro, il paradiso delle spie. 1994: venti anni dopo il fallito colpo di stato che avrebbe dovuto unirla alla Grecia, la nave da crociera italiana “Esperia” fa tappa nella splendida isola, celebre per le sue bellezze naturali ed artistiche. Peccato che Cipro sia oramai divisa in due stati: la Repubblica Turca di Cipro del Nord, popolata quasi del tutto da turchi ciprioti musulmani di rito sunnita e sostenuta militarmente dalla Turchia; la repubblica di Cipro abitata dai greci ciprioti, in netta prevalenza cristiani ortodossi, parte dei quali hanno abbandonato il territorio occupato dall’esercito turco. Per i patrioti greco-ciprioti l’arrivo della nave “Esperia” con a bordo turisti provenienti dal tutto il pianeta rappresenta un’ottima occasione per attirare l’attenzione del mondo politico internazionale sulla situazione dell’isola, tantopiù che nello stesso giorno la regina Elisabetta è in visita a Cipro, a suo tempo una colonia britannica. Il pullman che porta i passeggeri della nave a visitare il il tempio di Venere viene sequestrato dai i patrioti del movimento Elefthero Kyprou, i quali non esitano a chiedere subito il ritiro da Cipro dell’esercito turco e dei cinquantamila coloni proveniente dall’Anatolia. In realtà i patrioti greco-ciprioti non vogliono fare del male ai prigionieri, sono mossi da un nobile scopo, e, soprattutto, la loro preparazione militare è modesta rispetto a quella di altri servizi segreti che si mettono subito sulle loro tracce, decisi a sfruttare a loro vantaggio la situazione. Perché tra gli ostaggi, uomini e donne, adulti e bambini, etero e non, viaggia una persona importante agli occhi dei servizi segreti iracheni e, come non bastasse, i servizi segreti di un’altra potenza vorrebbero approfittare del sequestra per creare un caso internazionale che torni a loro vantaggio. Quello che sembrava una semplice operazione è, insomma, destinata complicarsi sempre di più via via che nuovi protagonisti entrano in azione. Nonostante sia passato un quarto di secolo, “Operazione Venere” è romanzo rimasto tuttora attuale e non solo sotto l’aspetto geopolitico, ma anche per quanto riguarda il suo ritmo narrativo, la suspence e la capacità di catturare la curiosità del lettore. Per quanto riguarda la storia questa manifesta fin dalle prime pagine un ritmo incalzante, che non verrà mai meno fino alla fine dell’opera, grazie al dispiegarsi di nuove situazioni e nuovi personaggi. Quello che era apparso un semplice sequestro, diventa sempre di più un intrigo internazionale pieno di colpi di scena e continui rovesciamenti di campo, una storia resa ancora più avvincente da uno stile narrativo chiaro e coinvolgente, il quale invoglia il lettore a proseguire per sapere come finirà la storia. “Operazione Venere” è un romanzo perfetto per chi ama le storie di spionaggio classiche, prive di violenza gratuita, un’opera dove Diego Zandel affronta due argomenti a lui molto cari, l’identità culturale e l’essere nato in una zona di frontiera, la sua famiglia era originaria di Fiume. Due temi rafforzati dall’amore per il mondo greco e per l’Istria, due parti del mondo che sono spesso presenti nelle sue opere come ambientazione e argomento delle sue storie.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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