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Dalle parole allo schermo
armandoadolgiso.it di venerdě 8 ottobre 2021
In tutte le Tv del mondo le cosiddette “serie” si sono affermate. Alcune di quelle produzioni registrano record d’ascolti anche in Italia. Da noi č stato spesso detto, perfino da illustri firme di critici, che le “serie” erano robe non confacenti ai nostri autori e meno ancora al nostro sistema produttivo. I fatti hanno smentito quei giudizi, prodotti italiani oltre a non avere nulla da invidiare a produzioni straniere sono state acquistate da grandi sigle, per fare un solo esempio dal gigante Hbo emittente televisiva statunitense a pagamento, via cavo e satellitare, di proprietŕ di Home Box Office, sussidiaria di WarnerMedia. Un bel libro che illustra perché e come non c’č da meravigliarsi di quanto in tanti si sono meravigliati lo ha pubblicato Oltre Edizioni

di Armando Adolgiso

A Massimo Carloni (in foto) ho rivolto alcune domande.

Quale principale finalità ti sei posto nello scrivere “Dalle parole allo schermo”?

Si tratta della tesi di laurea in Storia e critica delle arti e dello spettacolo. Massimo Felisatti è un autore che conoscevo dai tempi della mia prima laurea in Lettere sul romanzo giallo italiano contemporaneo; dopo aver contattato i suoi eredi (la vedova e il figlio), ho ottenuto di poter visionare alcune sceneggiature per la tv inedite. Da qui l'idea di analizzare il passaggio dal cinema alla pagina scritta alla sceneggiatura inedita per tv di un testo in particolare. Naturalmente ho ricostruito, sullo sfondo, l'ambiente letterario, cinematografico e televisivo del poliziesco in Italia degli anni Settanta.

Una tua definizione della differenza fra giallo e noir

Premesso che molti in Italia usano i due termini indifferentemente, come sostanziali sinonimi, direi che il giallo si concentra principalmente sul meccanismo dell'indagine e sulla scoperta del responsabile di uno o più delitti; il noir invece vede il singolo eroe/antieroe alle prese con vicende più o meno angoscianti, più o meno criminali, di cui può essere vittima o responsabile, che suscitano identificazione nel lettore/spettatore.

Sia l’editoria italiana della carta stampata sia quella televisiva della Rai al principio si sono modellate su quei generi così come prodotti negli States.
Fu un errore? Se sì oppure no, perché
?

All'inizio è chiaro che si prenda come modello l'esperienza artistica più riuscita; l'importante è non rimanerne schiacciato per anni e anni, a causa di un malinteso senso d'inferiorità o addirittura solo per pigrizia. Direi che in Italia la tv, dal tenente Sheridan in poi, il cinema, col poliziottesco, e la letteratura, da Sciascia e Scerbanenco in poi, sono riusciti nel liberarsi dall'ingombrante eredità USA. Basti vedere il successo planetario di serie come Gomorra.

I vecchi, gloriosi, gialli della tv italiana ancora in b/n e le serie di oggi in che cosa essenzialmente differiscono?

Nel ritmo, infinitamente più lento allora; nella recitazione, infinitamente superiore allora; nello sviluppo seriale, infinitamente più articolato oggi.

Con le serie tv americane e canadesi nasce la figura dello showrunner.
Perché in una serie supera per importanza quella del regista
?

Perché è lui il vero creatore del programma di successo; il regista retrocede al ruolo tipicamente anglosassone di "director" tanto che spesso lo diventa uno dei principali attori della serie senza che si noti il cambio di passo.

Nel libro è dedicato largo spazio ai ferraresi Massimo Felisatti (1939 – 2016) e Fabio Pittorru (1928 – 1995). Perché ritieni di rilievo i profili di questi due autori?

Per il fatto che in largo anticipo rispetto ai tempi, soprattutto in Italia, si muovono con disinvoltura in un universo transmediale in cui lo stesso prodotto può indifferentemente transitare su un medium o l'altro, naturalmente con gli aggiustamenti del caso dovuti al target di riferimento.

Nel tuo curriculum si legge che hai scritto “Il caso Degortes” con Antonio Perria esclusivamente via mail.
Puoi qui chiarire come in pratica avete proceduto
?

Abbiamo concordato, sempre via mail, la scaletta e la distribuzione in capitoli della vicenda. Ciascuno ha steso i capitoli di sua responsabilità (di solito i dispari Perria, i pari io; i primi ambientati in Sardegna, i secondi a Reggio Emilia o in Umbria) e li ha spediti al collega che li ha letti e che ha consigliato eventualmente gli aggiustamenti per evitare contraddizioni narrative. Alla fine, sono stati assemblati ma NON è stato effettuata un'armonizzazione stilistica, aiutati dal fatto che le diverse location con i rispettivi personaggi permettevano questa scelta.



leggi l'articolo integrale su armandoadolgiso.it
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armandoadolgiso.it - venerdě 8 ottobre 2021
In tutte le Tv del mondo le cosiddette “serie” si sono affermate. Alcune di quelle produzioni registrano record d’ascolti anche in Italia. Da noi č stato spesso detto, perfino da illustri firme di critici, che le “serie” erano robe non confacenti ai nostri autori e meno ancora al nostro sistema produttivo. I fatti hanno smentito quei giudizi, prodotti italiani oltre a non avere nulla da invidiare a produzioni straniere sono state acquistate da grandi sigle, per fare un solo esempio dal gigante Hbo emittente televisiva statunitense a pagamento, via cavo e satellitare, di proprietŕ di Home Box Office, sussidiaria di WarnerMedia. Un bel libro che illustra perché e come non c’č da meravigliarsi di quanto in tanti si sono meravigliati lo ha pubblicato Oltre Edizioni

di Armando Adolgiso

A Massimo Carloni (in foto) ho rivolto alcune domande.

Quale principale finalità ti sei posto nello scrivere “Dalle parole allo schermo”?

Si tratta della tesi di laurea in Storia e critica delle arti e dello spettacolo. Massimo Felisatti è un autore che conoscevo dai tempi della mia prima laurea in Lettere sul romanzo giallo italiano contemporaneo; dopo aver contattato i suoi eredi (la vedova e il figlio), ho ottenuto di poter visionare alcune sceneggiature per la tv inedite. Da qui l'idea di analizzare il passaggio dal cinema alla pagina scritta alla sceneggiatura inedita per tv di un testo in particolare. Naturalmente ho ricostruito, sullo sfondo, l'ambiente letterario, cinematografico e televisivo del poliziesco in Italia degli anni Settanta.

Una tua definizione della differenza fra giallo e noir

Premesso che molti in Italia usano i due termini indifferentemente, come sostanziali sinonimi, direi che il giallo si concentra principalmente sul meccanismo dell'indagine e sulla scoperta del responsabile di uno o più delitti; il noir invece vede il singolo eroe/antieroe alle prese con vicende più o meno angoscianti, più o meno criminali, di cui può essere vittima o responsabile, che suscitano identificazione nel lettore/spettatore.

Sia l’editoria italiana della carta stampata sia quella televisiva della Rai al principio si sono modellate su quei generi così come prodotti negli States.
Fu un errore? Se sì oppure no, perché
?

All'inizio è chiaro che si prenda come modello l'esperienza artistica più riuscita; l'importante è non rimanerne schiacciato per anni e anni, a causa di un malinteso senso d'inferiorità o addirittura solo per pigrizia. Direi che in Italia la tv, dal tenente Sheridan in poi, il cinema, col poliziottesco, e la letteratura, da Sciascia e Scerbanenco in poi, sono riusciti nel liberarsi dall'ingombrante eredità USA. Basti vedere il successo planetario di serie come Gomorra.

I vecchi, gloriosi, gialli della tv italiana ancora in b/n e le serie di oggi in che cosa essenzialmente differiscono?

Nel ritmo, infinitamente più lento allora; nella recitazione, infinitamente superiore allora; nello sviluppo seriale, infinitamente più articolato oggi.

Con le serie tv americane e canadesi nasce la figura dello showrunner.
Perché in una serie supera per importanza quella del regista
?

Perché è lui il vero creatore del programma di successo; il regista retrocede al ruolo tipicamente anglosassone di "director" tanto che spesso lo diventa uno dei principali attori della serie senza che si noti il cambio di passo.

Nel libro è dedicato largo spazio ai ferraresi Massimo Felisatti (1939 – 2016) e Fabio Pittorru (1928 – 1995). Perché ritieni di rilievo i profili di questi due autori?

Per il fatto che in largo anticipo rispetto ai tempi, soprattutto in Italia, si muovono con disinvoltura in un universo transmediale in cui lo stesso prodotto può indifferentemente transitare su un medium o l'altro, naturalmente con gli aggiustamenti del caso dovuti al target di riferimento.

Nel tuo curriculum si legge che hai scritto “Il caso Degortes” con Antonio Perria esclusivamente via mail.
Puoi qui chiarire come in pratica avete proceduto
?

Abbiamo concordato, sempre via mail, la scaletta e la distribuzione in capitoli della vicenda. Ciascuno ha steso i capitoli di sua responsabilità (di solito i dispari Perria, i pari io; i primi ambientati in Sardegna, i secondi a Reggio Emilia o in Umbria) e li ha spediti al collega che li ha letti e che ha consigliato eventualmente gli aggiustamenti per evitare contraddizioni narrative. Alla fine, sono stati assemblati ma NON è stato effettuata un'armonizzazione stilistica, aiutati dal fatto che le diverse location con i rispettivi personaggi permettevano questa scelta.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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