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«Per Ungaretti un rapporto vitale tra poetica e arte figurativa»
Giornale di Brescia di lunedģ 15 novembre 2021
«Affrontare il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti,le arti figurative e la propria esperienza visiva - premette Carla Boroni, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Universitą Cattolica di Brescia...

di Francesco Mannoni
«Affrontare il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti,le arti figurative e la propria esperienza visiva - premette Carla Boroni, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica di Brescia - significa innanzitutto cercare di dar conto di una frequentazione e di un’affinità espressiva che trovano la propria ragion d’essere in una ben precisa sensibilità estetica».
Compito difficile, ma egregiamente svolto dalla prof.ssa Boroni, che attraverso «Lo sguardo di Ungaretti»(Gammarò,200 pagine, 18 euro; in libreria dal 20novembre) ha saputo cogliere con notevole acume critico «visività e influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana».
Ma che cosa inquadrava di preferenza lo sguardo benevolmente inquisitivo di Giuseppe Ungaretti (Alessandria, Egitto 1888 - Milano 1970), «il poeta più rivoluzionario dei
primi cinquant’anni del Novecento»?. Su quali dettagli si soffermava, cosa lo colpiva di certe pitture, sculture, architetture, tanto da tradurle in versi che sono altrettanti lampi luminosi d’un «impressionismo» vitale?
«In Ungaretti- spiega Carla Boroni - l’arte figurativa, sia quella del passato sia la
contemporanea, non ha mai costituito motivo di pura erudizione. Le motivazioni che lo hanno spinto ad approfondire particolari artisti o determinati periodi della storia dell’arte nascono sempre da una forte correlazione con la propria riflessione di poeta e con la propria poesia».

Quasi un rapporto artistico simbiotico?

È possibile. Ungaretti ha frequentato il mondo delle arti visive volendo instaurare sempre un rapporto vitale con la propria poetica. Ogni interesse per l’arte figurativa è stato per lui un interesse esistenziale, non puramente artistico. E ha determinato in vari modi la sua poetica.
I suoi versi come «espressionismo» esponenziale dell’autenticità dell’idea?
La poesia come letteratura trova giustificazione in Ungaretti solo come espressione che affonda le sue radici nel dato esistenziale, come espressione di vita mai disgiunta dalla pura vitalità. Anche dove non esplicita, tale vitalità è presente nella poesia ungarettiana come elemento motivante, perlomeno a livello di poetica. Questo vale anche per l’esperienza religiosa, inizialmente cosmica e naturale, sentita come anelito verso l’eterno e il trascendente,non accettata pienamente, ancora problematica, ma che diventerà col tempo più meditata, più sofferta, più consapevole, per arrivare,a conclusione di un itinerario religioso maiquieto nemmeno dopo la dichiarata conversione, all’accettazione e all’esaltazione anche teologica di Dio, ora non più indistinto, ma colto nella persona di Cristo.

Con quali impulsi visivi-emotivi racchiude l’infinito in brevi versi?

Voler dire l’indicibile nasce da un’esigenza mistica. La visività della poesia ungarettiana nasce dall’esperienza religiosa, dallo sguardo estatico, mistico, che si tramuta in sguardo estetico, sensibile.

Il tema religioso proiezione e affondo nel turbine insidioso del dubbio fino alla conversione?

Sì, fino alla conversione, ma anche dopo... Cristo «pensoso palpito» è il culmine di un itinerario cominciato col canto guerriero sulle rive dell’Isonzo e terminato, 27 anni dopo,col canto religioso sulle rive del Tevere. Rappresenta il vertice di un itinerario che Ungaretti ha compiuto nell’approfondimento, continuo e spesso tormentato, delle proprie origini. Prima come figlio dell’Essere, poi come figlio di Dio,nella certezza ultima, nella fede, che solo riconoscendosi figlio di Dio, fratello di Cristo, l’uomo può arrivare ad essere veramente uomo.
Ungaretti scrive qualche poesia sul Garda: quale stato d’animo lo infiammava, quale visione lo incantò?
Quelli che il girovago Ungaretti percorre non sono solo luoghi geografici... E tuttavia neppure sono luoghi puramente letterari, perché, anche se vivono nella scrittura, nascono dal suo proprio percorso esistenziale.


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Giornale di Brescia - lunedģ 15 novembre 2021
«Affrontare il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti,le arti figurative e la propria esperienza visiva - premette Carla Boroni, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Universitą Cattolica di Brescia...

di Francesco Mannoni
«Affrontare il complesso rapporto intercorso tra Ungaretti,le arti figurative e la propria esperienza visiva - premette Carla Boroni, professore associato di Letteratura italiana contemporanea all’Università Cattolica di Brescia - significa innanzitutto cercare di dar conto di una frequentazione e di un’affinità espressiva che trovano la propria ragion d’essere in una ben precisa sensibilità estetica».
Compito difficile, ma egregiamente svolto dalla prof.ssa Boroni, che attraverso «Lo sguardo di Ungaretti»(Gammarò,200 pagine, 18 euro; in libreria dal 20novembre) ha saputo cogliere con notevole acume critico «visività e influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana».
Ma che cosa inquadrava di preferenza lo sguardo benevolmente inquisitivo di Giuseppe Ungaretti (Alessandria, Egitto 1888 - Milano 1970), «il poeta più rivoluzionario dei
primi cinquant’anni del Novecento»?. Su quali dettagli si soffermava, cosa lo colpiva di certe pitture, sculture, architetture, tanto da tradurle in versi che sono altrettanti lampi luminosi d’un «impressionismo» vitale?
«In Ungaretti- spiega Carla Boroni - l’arte figurativa, sia quella del passato sia la
contemporanea, non ha mai costituito motivo di pura erudizione. Le motivazioni che lo hanno spinto ad approfondire particolari artisti o determinati periodi della storia dell’arte nascono sempre da una forte correlazione con la propria riflessione di poeta e con la propria poesia».

Quasi un rapporto artistico simbiotico?

È possibile. Ungaretti ha frequentato il mondo delle arti visive volendo instaurare sempre un rapporto vitale con la propria poetica. Ogni interesse per l’arte figurativa è stato per lui un interesse esistenziale, non puramente artistico. E ha determinato in vari modi la sua poetica.
I suoi versi come «espressionismo» esponenziale dell’autenticità dell’idea?
La poesia come letteratura trova giustificazione in Ungaretti solo come espressione che affonda le sue radici nel dato esistenziale, come espressione di vita mai disgiunta dalla pura vitalità. Anche dove non esplicita, tale vitalità è presente nella poesia ungarettiana come elemento motivante, perlomeno a livello di poetica. Questo vale anche per l’esperienza religiosa, inizialmente cosmica e naturale, sentita come anelito verso l’eterno e il trascendente,non accettata pienamente, ancora problematica, ma che diventerà col tempo più meditata, più sofferta, più consapevole, per arrivare,a conclusione di un itinerario religioso maiquieto nemmeno dopo la dichiarata conversione, all’accettazione e all’esaltazione anche teologica di Dio, ora non più indistinto, ma colto nella persona di Cristo.

Con quali impulsi visivi-emotivi racchiude l’infinito in brevi versi?

Voler dire l’indicibile nasce da un’esigenza mistica. La visività della poesia ungarettiana nasce dall’esperienza religiosa, dallo sguardo estatico, mistico, che si tramuta in sguardo estetico, sensibile.

Il tema religioso proiezione e affondo nel turbine insidioso del dubbio fino alla conversione?

Sì, fino alla conversione, ma anche dopo... Cristo «pensoso palpito» è il culmine di un itinerario cominciato col canto guerriero sulle rive dell’Isonzo e terminato, 27 anni dopo,col canto religioso sulle rive del Tevere. Rappresenta il vertice di un itinerario che Ungaretti ha compiuto nell’approfondimento, continuo e spesso tormentato, delle proprie origini. Prima come figlio dell’Essere, poi come figlio di Dio,nella certezza ultima, nella fede, che solo riconoscendosi figlio di Dio, fratello di Cristo, l’uomo può arrivare ad essere veramente uomo.
Ungaretti scrive qualche poesia sul Garda: quale stato d’animo lo infiammava, quale visione lo incantò?
Quelli che il girovago Ungaretti percorre non sono solo luoghi geografici... E tuttavia neppure sono luoghi puramente letterari, perché, anche se vivono nella scrittura, nascono dal suo proprio percorso esistenziale.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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