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Il secondo Novecento a Fiume
La Voce del popolo di mercoledģ 1 dicembre 2021
Il volume che s’intitola “Un tetto di radici. Lettere italiane: il secondo Novecento a Fiume” (Sestri Levante, Gammarņ edizioni, collana Le bitte, 2021), delle autrici Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano, appena uscito nelle librerie italiane, č un’opera dal contenuto inedito nel panorama degli studi dedicati alla letteratura italiana e alla sua storia...

Il volume che s’intitola “Un tetto di radici. Lettere italiane: il secondo Novecento a Fiume” (Sestri Levante, Gammarò edizioni, collana Le bitte, 2021), delle autrici Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano, appena uscito nelle librerie italiane, è un’opera dal contenuto inedito nel panorama degli studi dedicati alla letteratura italiana e alla sua storia.

Il testo presenta un’importantissima raccolta di testimonianze, analisi, riflessioni, commenti, interpretazioni inerenti alla produzione letteraria in lingua italiana nei territori che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sono passati sotto il dominio della Jugoslavia prima e della Croazia poi.

Con l’entrata delle truppe del maresciallo Tito a Fiume la Storia della città volta pagina.

Ne risentiranno l’anima stessa della città che si vedrà abbandonata da gran parte dei suoi cittadini che preferiranno la strada dell’esilio. Di quegli abitanti, sostituiti da genti provenienti da altri siti, anche lontani, dell’ex Jugoslavia, è rimasta una minoranza, nel tempo divenuta sempre più sparuta, ma che, nonostante tutto, ha saputo coraggiosamente resistere con le sole armi della lingua e della cultura alla forzata colonizzazione.
È cresciuta così una letteratura fiumana autoctona, originale, che le due autrici hanno saputo brillantemente raccogliere, analizzare, sviluppare, mettendo a fuoco e connettendo tra loro gli autori e le opere che di quel grande, violento iato avvenuto al termine della Seconda guerra mondiale sono la testimonianza, tra quanti di lingua italiana, nati a Fiume prima della guerra (Enrico Morovich, Franco Vegliani, Paolo Santarcangeli) sono poi stati costretti all’esilio, tenendo sempre ferme le loro origini e la loro formazione, così come quelli che sono rimasti (Osvaldo Ramous, Ezio Mestrovich); oppure sono arrivati o nati e cresciuti a Fiume dopo la guerra (Mario Schiavato, Giacomo Scotti, Alessandro Damiani, Nirvana Ferletta, Laura Marchig e altri) mantenendo viva la lingua italiana, che, nel contesto multilinguistico, era poi la lingua franca storica di tutti i fiumani, qualsiasi fosse la loro etnia. Ma il libro prende in esame anche quegli autori di origine fiumana vissuti lontani dalla loro città, nati in esilio o in prossimità di esso, ma sentimentalmente e letterariamente legati ad essa (Marisa Madieri, Valentino Zeichen, Diego Bastianutti, Diego Zandel). Il tutto preceduto da un’ampia e approfondita sintesi che offre al lettore il quadro storico d’insieme della letteratura fiumana, nelle sue diverse fasi, dal Medioevo a oggi. Il risultato è un’opera unica, sicuramente la prima e la più completa, che le autrici, docenti al Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume, offrono agli studiosi, prima di tutto, e più in generale a quanti sono interessati all’universo articolato, complesso, vivo, ricco di influssi, che si cela dentro il microcosmo di una città di frontiera.

Il volume è uno strumento indispensabile per ogni futura ricerca che voglia addentrarsi nello studio dei testi letterari e della storia degli italiani della zona istro-quarnerina, oltre a costituire un capitolo imprescindibile della storia della letteratura italiana contemporanea. L’offerta di nuovi titoli soddisferà dunque anche i lettori più esigenti.



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La Voce del popolo - mercoledģ 1 dicembre 2021
Il volume che s’intitola “Un tetto di radici. Lettere italiane: il secondo Novecento a Fiume” (Sestri Levante, Gammarņ edizioni, collana Le bitte, 2021), delle autrici Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano, appena uscito nelle librerie italiane, č un’opera dal contenuto inedito nel panorama degli studi dedicati alla letteratura italiana e alla sua storia...

Il volume che s’intitola “Un tetto di radici. Lettere italiane: il secondo Novecento a Fiume” (Sestri Levante, Gammarò edizioni, collana Le bitte, 2021), delle autrici Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz Giuliano, appena uscito nelle librerie italiane, è un’opera dal contenuto inedito nel panorama degli studi dedicati alla letteratura italiana e alla sua storia.

Il testo presenta un’importantissima raccolta di testimonianze, analisi, riflessioni, commenti, interpretazioni inerenti alla produzione letteraria in lingua italiana nei territori che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sono passati sotto il dominio della Jugoslavia prima e della Croazia poi.

Con l’entrata delle truppe del maresciallo Tito a Fiume la Storia della città volta pagina.

Ne risentiranno l’anima stessa della città che si vedrà abbandonata da gran parte dei suoi cittadini che preferiranno la strada dell’esilio. Di quegli abitanti, sostituiti da genti provenienti da altri siti, anche lontani, dell’ex Jugoslavia, è rimasta una minoranza, nel tempo divenuta sempre più sparuta, ma che, nonostante tutto, ha saputo coraggiosamente resistere con le sole armi della lingua e della cultura alla forzata colonizzazione.
È cresciuta così una letteratura fiumana autoctona, originale, che le due autrici hanno saputo brillantemente raccogliere, analizzare, sviluppare, mettendo a fuoco e connettendo tra loro gli autori e le opere che di quel grande, violento iato avvenuto al termine della Seconda guerra mondiale sono la testimonianza, tra quanti di lingua italiana, nati a Fiume prima della guerra (Enrico Morovich, Franco Vegliani, Paolo Santarcangeli) sono poi stati costretti all’esilio, tenendo sempre ferme le loro origini e la loro formazione, così come quelli che sono rimasti (Osvaldo Ramous, Ezio Mestrovich); oppure sono arrivati o nati e cresciuti a Fiume dopo la guerra (Mario Schiavato, Giacomo Scotti, Alessandro Damiani, Nirvana Ferletta, Laura Marchig e altri) mantenendo viva la lingua italiana, che, nel contesto multilinguistico, era poi la lingua franca storica di tutti i fiumani, qualsiasi fosse la loro etnia. Ma il libro prende in esame anche quegli autori di origine fiumana vissuti lontani dalla loro città, nati in esilio o in prossimità di esso, ma sentimentalmente e letterariamente legati ad essa (Marisa Madieri, Valentino Zeichen, Diego Bastianutti, Diego Zandel). Il tutto preceduto da un’ampia e approfondita sintesi che offre al lettore il quadro storico d’insieme della letteratura fiumana, nelle sue diverse fasi, dal Medioevo a oggi. Il risultato è un’opera unica, sicuramente la prima e la più completa, che le autrici, docenti al Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume, offrono agli studiosi, prima di tutto, e più in generale a quanti sono interessati all’universo articolato, complesso, vivo, ricco di influssi, che si cela dentro il microcosmo di una città di frontiera.

Il volume è uno strumento indispensabile per ogni futura ricerca che voglia addentrarsi nello studio dei testi letterari e della storia degli italiani della zona istro-quarnerina, oltre a costituire un capitolo imprescindibile della storia della letteratura italiana contemporanea. L’offerta di nuovi titoli soddisferà dunque anche i lettori più esigenti.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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