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Carne e sangue – Nicola Manicardi
Gli Amanti dei Libri di sabato 4 dicembre 2021
Le poesie di Nicola Manicardi sono ora ricordi raccolti in un pugno di versi e ora sensazioni che attraversano il tempo come pietre lanciate contro un muro. In entrambi i casi impattano con forza sull’animo del lettore, lasciando in lui un segno, una piccola ma mai innocua ferita...

di Martino Ciano

Le poesie di Nicola Manicardi sono ora ricordi raccolti in un pugno di versi e ora sensazioni che attraversano il tempo come pietre lanciate contro un muro. In entrambi i casi impattano con forza sull’animo del lettore, lasciando in lui un segno, una piccola ma mai innocua ferita.

Di carne e sangue sono fatti gli uomini, anche i poeti che non si fermano davanti all’apparenza, ma si imbattono nella tempesta della vita e se ne fregano di uscir feriti. Dopotutto, sono felici i buoni poeti quando imprimono sul foglio un verso che conservi la sua lucidità. Manicardi è così quando racconta della sua Modena, un mondo che si interseca nel Mondo, un universo che riposa nell’Universo. Non c’è disperazione nei suoi versi, ma solo quello che fu e che è tornato dall’oblio della memoria dopo aver riposato in esso. Così ogni ricordo si veste di umanità e all’umanità viene dato; carne e sangue, per l’appunto.

Ma Manicardi dedica poesie principalmente agli uomini, a quelli veri, che stanno ai margini; a quelli che preda dei loro deliri, delle loro povertà, dei loro demoni, sono nudi e alla nuda vita appartengono. Scacciati dal mondo dell’abbondanza e dello spettacolo, tutti possono ucciderli, violandone la carne e il sangue, svendendo la loro umanità. Ed è questo uno dei concetti che riporta in più occasioni anche Nicola Vacca nella sua prefazione.

Se mi chiedi cos’è l’ora felice/ti rispondo le due mani sul pianoforte/di quel ragazzo che vive in angolo di via Livorno./Suona di tutto e mi allieta in questo dormitorio/che canta di rado il fruscio.

E di carne e sangue sono composte anche le bestie e tutto ciò che l’uomo produce. Delle opere dell’uomo, il poeta modenese mai si dimentica perché dietro ogni manufatto sta la mano di chi lo ha creato, così come dietro ogni poesia sta il poeta… così come dietro ogni sconfitta stanno la carne e il sangue dell’uomo.

In questo ordine preciso/ho sbagliato il caffè/lasciato sulla fiamma/per scaldare ogni avvenimento./Non c’è chiamata oggi ma/un merlo maschio nascosto/ tra le foglie e un lombrico/come festa a questa pioggia./Qualcuno oggi festeggerà/ qualcun altro sentirà le mancanze/i più conteranno le assenze/in ogni sé c’è un ordine da abbattere, preciso.

Manicardi indaga con i suoi versi questa umanità produttiva che si dimentica della vanità dei gesti, ricomponendo ogni cosa in quella vasta tela bianca dietro cui la natura si cela. Ed è proprio l’eterna indifferenza della natura che si prende gioco delle umane intenzioni.

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Gli Amanti dei Libri - sabato 4 dicembre 2021
Le poesie di Nicola Manicardi sono ora ricordi raccolti in un pugno di versi e ora sensazioni che attraversano il tempo come pietre lanciate contro un muro. In entrambi i casi impattano con forza sull’animo del lettore, lasciando in lui un segno, una piccola ma mai innocua ferita...

di Martino Ciano

Le poesie di Nicola Manicardi sono ora ricordi raccolti in un pugno di versi e ora sensazioni che attraversano il tempo come pietre lanciate contro un muro. In entrambi i casi impattano con forza sull’animo del lettore, lasciando in lui un segno, una piccola ma mai innocua ferita.

Di carne e sangue sono fatti gli uomini, anche i poeti che non si fermano davanti all’apparenza, ma si imbattono nella tempesta della vita e se ne fregano di uscir feriti. Dopotutto, sono felici i buoni poeti quando imprimono sul foglio un verso che conservi la sua lucidità. Manicardi è così quando racconta della sua Modena, un mondo che si interseca nel Mondo, un universo che riposa nell’Universo. Non c’è disperazione nei suoi versi, ma solo quello che fu e che è tornato dall’oblio della memoria dopo aver riposato in esso. Così ogni ricordo si veste di umanità e all’umanità viene dato; carne e sangue, per l’appunto.

Ma Manicardi dedica poesie principalmente agli uomini, a quelli veri, che stanno ai margini; a quelli che preda dei loro deliri, delle loro povertà, dei loro demoni, sono nudi e alla nuda vita appartengono. Scacciati dal mondo dell’abbondanza e dello spettacolo, tutti possono ucciderli, violandone la carne e il sangue, svendendo la loro umanità. Ed è questo uno dei concetti che riporta in più occasioni anche Nicola Vacca nella sua prefazione.

Se mi chiedi cos’è l’ora felice/ti rispondo le due mani sul pianoforte/di quel ragazzo che vive in angolo di via Livorno./Suona di tutto e mi allieta in questo dormitorio/che canta di rado il fruscio.

E di carne e sangue sono composte anche le bestie e tutto ciò che l’uomo produce. Delle opere dell’uomo, il poeta modenese mai si dimentica perché dietro ogni manufatto sta la mano di chi lo ha creato, così come dietro ogni poesia sta il poeta… così come dietro ogni sconfitta stanno la carne e il sangue dell’uomo.

In questo ordine preciso/ho sbagliato il caffè/lasciato sulla fiamma/per scaldare ogni avvenimento./Non c’è chiamata oggi ma/un merlo maschio nascosto/ tra le foglie e un lombrico/come festa a questa pioggia./Qualcuno oggi festeggerà/ qualcun altro sentirà le mancanze/i più conteranno le assenze/in ogni sé c’è un ordine da abbattere, preciso.

Manicardi indaga con i suoi versi questa umanità produttiva che si dimentica della vanità dei gesti, ricomponendo ogni cosa in quella vasta tela bianca dietro cui la natura si cela. Ed è proprio l’eterna indifferenza della natura che si prende gioco delle umane intenzioni.

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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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