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Così Fiume finì in Canada in una tazzina e un disco
Libero di mercoledì 2 febbraio 2022
Da «Esuli due voilte»
I primi gruppi di corregionali, sbarcati al Pier 21 di Halifax (la Ellis Island del Canada), erano stati caricati su treni scomodi e lenti, assegnati a diverse destinazioni di inserimento nella realtà del Paese. Soprattutto fattorie dove il loro lavoro era necessario per supportare popolazioni insediate da qualche tempo, legate a tradizioni, ritmi e organizzazione sociale ormai desueti nell'Europa che gli esuli si erano lasciati alle spalle. Gli europei portavano Oltreoceano un'evoluzione civile e culturale che nel nuovo mondo non era ancora giunta...

di Rosanna Turcinovich

I primi gruppi di corregionali, sbarcati al Pier 21 di Halifax (la Ellis Island del Canada), erano stati caricati su treni scomodi e lenti, assegnati a diverse destinazioni di inserimento nella realtà del Paese. Soprattutto fattorie dove il loro lavoro era necessario per supportare popolazioni insediate da qualche tempo, legate a tradizioni, ritmi e organizzazione sociale ormai desueti nell'Europa che gli esuli si erano lasciati alle spalle. Gli europei portavano Oltreoceano un'evoluzione civile e culturale che nel nuovo mondo non era ancora giunta... né nelle grandi città e tanto meno nella campagna vasta e desolata, arroccata quest'ultima su uno sviluppo che il tempo aveva cristallizzato, destinandolo ad una crescita lenta, sospettosa, non inclusiva. Come risultato c'era uno stridente incontro di culture, rispettosi gli uni degli altri, ma attoniti e quasi sbigottiti (…).

«Questo mondo giuliano-dalmata è pieno di scene grandiose» mi disse Elsa Reia «buone solo per alimentare la fantasia e rimanere lì. Guai a cercarle nella realtà, tutto si svilisce». Si riferiva al racconto sulla grandezza delle case, sulla bellezza dei villaggi, delle cittadine e città dall'altra parte dell'Oceano che un giorno le famiglie avevano lasciato per andare nei campi profughi in Jta1ia e da lì anni dopo, dopo lunghi inverni di freddo e miseria reale e dell'anima in baracche mal isolate, caricati su una nave e portati lontano: America, Sudafrica, Australia. La lontananza aveva mutato i parametri, ciò che avevano lasciato, nei loro racconti ai figli e poi ai nipoti era sempre più grande, più bello, più profumato di ciò che avevano conquistato altrove. Guai a contraddirli nemmeno di fronte all'evidenza dei fatti, i ritorni pertanto erano spesso controversi e dibattuti (...).

Luciano s'era fermato a Trieste ad attendere l'arrivo della giovane moglie Anita che non riusciva a lasciare Fiume ormai occupata dagli jugoslavi dopo il mese di maggio del 1945. Le giornate dense d'angoscia e quell'ansia tipicamente giovanile di voler risolvere tutto con la forza, con un colpo di testa. Lei, alla fine, era partita clandestina, avvolta in un materasso, all'interno di un camion, infilata come un panino imbottito tra mobili e suppellettili di gente che aveva avuto il penr1esso di partire. Quanta paura e quanta speranza tra quell'ammasso di lana. Alla fine di questo viaggio allucinante, s'erano ritrovati nella città giuliana, rifugio della maggior parte degli esuli giuliano-dalmati, con la promessa di rimanere insieme, per sempre... e così è stato (...).

Quando entrai per la prima volta nella loro casa di Toronto dei Susan, una villetta armoniosa in mattoni rossi, Fiume era in ogni angolo, adagiata su ogni mobile, incorniciata sulle pareti, esposta in biblioteca, esaltata nel piatto, nella tazzina di caffè, nella musica che arrivava da un vecchio grammofono comprensivo di apparecchio radio tutto in legno laccato color miele come s'usava negli eleganti ed innovativi anni Sessanta. Ma Fiume era soprattutto nei loro gesti e naturalmente nel dialetto, armonioso e canterino, che strideva col panorama fuori dalla finestra, ma anche li, a migliaia di miglia di distanza, aveva il sapore della condivisione (...).

La ricomposizione era iniziata da tempo, sulla spinta del bisogno dei singoli, alfine coscienti di essere stati usati dalla storia, convinti di dover mantenere intatta un'unità strana, fatta di idee ed esperienze pregresse, episodi marginali, ma profonda, a volte struggente, senza bisogno di essere spiegata, semplicemente presente e palpabile.

«Dovevimo esser nemici gli uni dei altri, ma noi se volemo ben e questo conta, e i altri non importa che i sappia cosa che noi provemo dentro...».



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Libero - mercoledì 2 febbraio 2022
Da «Esuli due voilte»
I primi gruppi di corregionali, sbarcati al Pier 21 di Halifax (la Ellis Island del Canada), erano stati caricati su treni scomodi e lenti, assegnati a diverse destinazioni di inserimento nella realtà del Paese. Soprattutto fattorie dove il loro lavoro era necessario per supportare popolazioni insediate da qualche tempo, legate a tradizioni, ritmi e organizzazione sociale ormai desueti nell'Europa che gli esuli si erano lasciati alle spalle. Gli europei portavano Oltreoceano un'evoluzione civile e culturale che nel nuovo mondo non era ancora giunta...

di Rosanna Turcinovich

I primi gruppi di corregionali, sbarcati al Pier 21 di Halifax (la Ellis Island del Canada), erano stati caricati su treni scomodi e lenti, assegnati a diverse destinazioni di inserimento nella realtà del Paese. Soprattutto fattorie dove il loro lavoro era necessario per supportare popolazioni insediate da qualche tempo, legate a tradizioni, ritmi e organizzazione sociale ormai desueti nell'Europa che gli esuli si erano lasciati alle spalle. Gli europei portavano Oltreoceano un'evoluzione civile e culturale che nel nuovo mondo non era ancora giunta... né nelle grandi città e tanto meno nella campagna vasta e desolata, arroccata quest'ultima su uno sviluppo che il tempo aveva cristallizzato, destinandolo ad una crescita lenta, sospettosa, non inclusiva. Come risultato c'era uno stridente incontro di culture, rispettosi gli uni degli altri, ma attoniti e quasi sbigottiti (…).

«Questo mondo giuliano-dalmata è pieno di scene grandiose» mi disse Elsa Reia «buone solo per alimentare la fantasia e rimanere lì. Guai a cercarle nella realtà, tutto si svilisce». Si riferiva al racconto sulla grandezza delle case, sulla bellezza dei villaggi, delle cittadine e città dall'altra parte dell'Oceano che un giorno le famiglie avevano lasciato per andare nei campi profughi in Jta1ia e da lì anni dopo, dopo lunghi inverni di freddo e miseria reale e dell'anima in baracche mal isolate, caricati su una nave e portati lontano: America, Sudafrica, Australia. La lontananza aveva mutato i parametri, ciò che avevano lasciato, nei loro racconti ai figli e poi ai nipoti era sempre più grande, più bello, più profumato di ciò che avevano conquistato altrove. Guai a contraddirli nemmeno di fronte all'evidenza dei fatti, i ritorni pertanto erano spesso controversi e dibattuti (...).

Luciano s'era fermato a Trieste ad attendere l'arrivo della giovane moglie Anita che non riusciva a lasciare Fiume ormai occupata dagli jugoslavi dopo il mese di maggio del 1945. Le giornate dense d'angoscia e quell'ansia tipicamente giovanile di voler risolvere tutto con la forza, con un colpo di testa. Lei, alla fine, era partita clandestina, avvolta in un materasso, all'interno di un camion, infilata come un panino imbottito tra mobili e suppellettili di gente che aveva avuto il penr1esso di partire. Quanta paura e quanta speranza tra quell'ammasso di lana. Alla fine di questo viaggio allucinante, s'erano ritrovati nella città giuliana, rifugio della maggior parte degli esuli giuliano-dalmati, con la promessa di rimanere insieme, per sempre... e così è stato (...).

Quando entrai per la prima volta nella loro casa di Toronto dei Susan, una villetta armoniosa in mattoni rossi, Fiume era in ogni angolo, adagiata su ogni mobile, incorniciata sulle pareti, esposta in biblioteca, esaltata nel piatto, nella tazzina di caffè, nella musica che arrivava da un vecchio grammofono comprensivo di apparecchio radio tutto in legno laccato color miele come s'usava negli eleganti ed innovativi anni Sessanta. Ma Fiume era soprattutto nei loro gesti e naturalmente nel dialetto, armonioso e canterino, che strideva col panorama fuori dalla finestra, ma anche li, a migliaia di miglia di distanza, aveva il sapore della condivisione (...).

La ricomposizione era iniziata da tempo, sulla spinta del bisogno dei singoli, alfine coscienti di essere stati usati dalla storia, convinti di dover mantenere intatta un'unità strana, fatta di idee ed esperienze pregresse, episodi marginali, ma profonda, a volte struggente, senza bisogno di essere spiegata, semplicemente presente e palpabile.

«Dovevimo esser nemici gli uni dei altri, ma noi se volemo ben e questo conta, e i altri non importa che i sappia cosa che noi provemo dentro...».



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