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L'albero, dialoghi tra Fotografo e Scrittore
Scienza e Governo di venerd 22 aprile 2022
In genere il lettore avvicinandosi a un libro si sofferma sulla copertina. Di fronte alla copertina di questo libro ci si ferma, e a lungo. Il bosco, selva scura dove spiccano tronchi eretti e chiari, immagine evocativa di paura e incertezza. Un sentimento diverso suscita il titolo: un riquadro con la parola...

di Alberta Vittadello
In genere il lettore avvicinandosi a un libro si sofferma sulla copertina. Di fronte alla copertina di questo libro ci si ferma, e a lungo. Il bosco, selva scura dove spiccano tronchi eretti e chiari, immagine evocativa di paura e incertezza. Un sentimento diverso suscita il titolo: un riquadro con la parola ALBERO preceduta dall’articolo determinativo a significare proprio l’albero come individuo proprio lui, quello con il tronco legnoso, parola ripetuta a specchio a far intuire la simmetria radici-chioma.
E poi il lettore si immerge, quasi non può farne a meno, in immagini e parole di poeti e scrittori. Pietro Greco, di cui tutto il mondo scientifico sente la mancanza, con la sua capacità descrittiva tipica di chi sa diffondere la scienza anche ai non addetti, affronta ambiti della conoscenza strettamente legati agli alberi, ciascun testo è accompagnato da immagini realizzate dal fotografo Besana. Si parte dal biblico albero della conoscenza al quale si associano altri alberi: il diagramma ad albero che ci permette la classificazione o l’albero genealogico per conoscere la storia dei nostri antenati a partire dalle scimmie antropomorfe.
Alberi della selva oscura dantesca dove il Sommo poeta teme di aver smarrito la strada ma nell’oscurità dell’ignoto Dante stesso sa trovare il bene. E noi uomini immersi nella società del consumo ci fermiamo di fronte a una poesia di Rodari sul pianeta degli alberi di Natale, a una citazione di Grazia Deledda nel suo racconto l’assassino degli alberi. Qui il protagonista deve scontare per pena una settimana di lavoro gratis per ciascun albero ammazzato. Greco condivide una riflessione: una pena così andrebbe comminata ai mandanti della deforestazione speculativa e i suoi conteggi in settimane di lavoro a ripiantare alberi dà la misura dello scrittore scienziato.
Così come nel capitolo “Il peso degli alberi” dove riprende lo studio di tre ricercatori israeliani che hanno dato un “peso” alla biomassa terrestre. Ebbene le piante da sole pesano oltre l’80%, i minuscoli batteri il 13%, gli organismi eterotrofi ovvero gli animali lo 0,4% di cui gli umani rappresentano lo 0,01%. Spaventano queste percentuali? O preoccupa di più il fatto che i rappresentanti del genere umano dalla loro comparsa hanno dimezzato la biomassa vegetale?
Ma quanto siamo vicini noi umani agli alberi? Ne facciamo parte integrante e Greco lo riprende da Ovidio nelle sue Metamorfosi dove cita il mito di Mirra madre di Adone che per sfuggire al meritato castigo, chiedendo al dio di lasciarla sospesa tra la vita e la morte, viene trasformata in albero che stilla lacrime profumate. E siamo vicini agli alberi perché da loro dipendiamo per la nostra vita; è scientificamente provato che questi meravigliosi viventi esistono sulla Terra da 450 milioni di anni. Possiamo quindi rasserenarci perché la capacità di adattamento, di evoluzione e diversificazione dimostra che saranno in grado di sopravviverci, considerando lo scarso senso di responsabilità che l’autodefinitosi Sapiens dimostra. Tra l’Infinito di Leopardi, Pianto antico di Carducci, Tancredi ed Erminia nella Gerusalemme liberata di Tasso, tra poesia epica e intimistica, tra prosa di ricercatori e scrittori internazionali, si snoda un percorso che arriva alle nude radici dei pini divelti dalla tempesta Vaia alla quale Sapiens ha contribuito accelerando i cambiamenti climatici.
Come chiamare questo libro se non manifesto dell’amore verso gli alberi? E magari, oltre a dettagliate conoscenze scientifiche, proprio questo volevano comunicarci i due autori!


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Scienza e Governo - venerd 22 aprile 2022
In genere il lettore avvicinandosi a un libro si sofferma sulla copertina. Di fronte alla copertina di questo libro ci si ferma, e a lungo. Il bosco, selva scura dove spiccano tronchi eretti e chiari, immagine evocativa di paura e incertezza. Un sentimento diverso suscita il titolo: un riquadro con la parola...

di Alberta Vittadello
In genere il lettore avvicinandosi a un libro si sofferma sulla copertina. Di fronte alla copertina di questo libro ci si ferma, e a lungo. Il bosco, selva scura dove spiccano tronchi eretti e chiari, immagine evocativa di paura e incertezza. Un sentimento diverso suscita il titolo: un riquadro con la parola ALBERO preceduta dall’articolo determinativo a significare proprio l’albero come individuo proprio lui, quello con il tronco legnoso, parola ripetuta a specchio a far intuire la simmetria radici-chioma.
E poi il lettore si immerge, quasi non può farne a meno, in immagini e parole di poeti e scrittori. Pietro Greco, di cui tutto il mondo scientifico sente la mancanza, con la sua capacità descrittiva tipica di chi sa diffondere la scienza anche ai non addetti, affronta ambiti della conoscenza strettamente legati agli alberi, ciascun testo è accompagnato da immagini realizzate dal fotografo Besana. Si parte dal biblico albero della conoscenza al quale si associano altri alberi: il diagramma ad albero che ci permette la classificazione o l’albero genealogico per conoscere la storia dei nostri antenati a partire dalle scimmie antropomorfe.
Alberi della selva oscura dantesca dove il Sommo poeta teme di aver smarrito la strada ma nell’oscurità dell’ignoto Dante stesso sa trovare il bene. E noi uomini immersi nella società del consumo ci fermiamo di fronte a una poesia di Rodari sul pianeta degli alberi di Natale, a una citazione di Grazia Deledda nel suo racconto l’assassino degli alberi. Qui il protagonista deve scontare per pena una settimana di lavoro gratis per ciascun albero ammazzato. Greco condivide una riflessione: una pena così andrebbe comminata ai mandanti della deforestazione speculativa e i suoi conteggi in settimane di lavoro a ripiantare alberi dà la misura dello scrittore scienziato.
Così come nel capitolo “Il peso degli alberi” dove riprende lo studio di tre ricercatori israeliani che hanno dato un “peso” alla biomassa terrestre. Ebbene le piante da sole pesano oltre l’80%, i minuscoli batteri il 13%, gli organismi eterotrofi ovvero gli animali lo 0,4% di cui gli umani rappresentano lo 0,01%. Spaventano queste percentuali? O preoccupa di più il fatto che i rappresentanti del genere umano dalla loro comparsa hanno dimezzato la biomassa vegetale?
Ma quanto siamo vicini noi umani agli alberi? Ne facciamo parte integrante e Greco lo riprende da Ovidio nelle sue Metamorfosi dove cita il mito di Mirra madre di Adone che per sfuggire al meritato castigo, chiedendo al dio di lasciarla sospesa tra la vita e la morte, viene trasformata in albero che stilla lacrime profumate. E siamo vicini agli alberi perché da loro dipendiamo per la nostra vita; è scientificamente provato che questi meravigliosi viventi esistono sulla Terra da 450 milioni di anni. Possiamo quindi rasserenarci perché la capacità di adattamento, di evoluzione e diversificazione dimostra che saranno in grado di sopravviverci, considerando lo scarso senso di responsabilità che l’autodefinitosi Sapiens dimostra. Tra l’Infinito di Leopardi, Pianto antico di Carducci, Tancredi ed Erminia nella Gerusalemme liberata di Tasso, tra poesia epica e intimistica, tra prosa di ricercatori e scrittori internazionali, si snoda un percorso che arriva alle nude radici dei pini divelti dalla tempesta Vaia alla quale Sapiens ha contribuito accelerando i cambiamenti climatici.
Come chiamare questo libro se non manifesto dell’amore verso gli alberi? E magari, oltre a dettagliate conoscenze scientifiche, proprio questo volevano comunicarci i due autori!


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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