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«L’ordine infranto» di Maria Teresa Casella
Il mondo incantato dei libri di giovedì 6 ottobre 2022
Cosa accade quando all’improvviso scopri che i tuoi genitori ti hanno adottato perché credevano di non poter avere figli e poi tutto è cambiato quando il figlio desiderato è finalmente arrivato?
Accade che si infrange tutta la vita, non hai più certezze, ti senti di troppo in casa tua.
È quello che accade a Marta, studentessa universitaria di medicina, che in un giorno come tanti ascolta una conversazione che non dovrebbe ascoltare e scopre che coloro che ha sempre chiamato mamma e papà in realtà non lo sono: è stata adottata

di Elisa Santucci

Cosa accade quando all’improvviso scopri che i tuoi genitori ti hanno adottato perché credevano di non poter avere figli e poi tutto è cambiato quando il figlio desiderato è finalmente arrivato?
Accade che si infrange tutta la vita, non hai più certezze, ti senti di troppo in casa tua.
È quello che accade a Marta, studentessa universitaria di medicina, che in un giorno come tanti ascolta una conversazione che non dovrebbe ascoltare e scopre che coloro che ha sempre chiamato mamma e papà in realtà non lo sono: è stata adottata.
Questa rivelazione rende chiare tante cose, tanti comportamenti, tanti scollamenti che lei sentiva nei confronti dei suoi genitori soprattutto suo padre, finché non sente dalla sua voce di non essere sua figlia, ma soprattutto sente nella sua voce un distacco affettivo che la ferisce e distrugge.


“Per quanto ancora vogliamo tormentarci? L’abbiamo cresciuta al meglio delle nostre possibilità, non le abbiamo fatto mancare nulla, ma lei è sempre insoddisfatta, non le va bene niente. In casa c’è tensione, perfino Andrea comincia a risentirne. Con le buone o con le cattive, dobbiamo far sì che Marta cambi atteggiamento. Ora tocca a noi pretendere. Sarebbe ora che si rendesse un po’ più autonoma, ad esempio.”
[…] “Non accetterà mai. Si è messa in testa di diventare medico e non rinuncerà. È nostra figlia, Alberto, la conosciamo bene.”
“Adottiva. Figlia adottiva. Chiamiamo le cose con il loro nome. Se fosse davvero figlia nostra, forse non saremmo in questo guaio”.


Va via di casa, Marta. I genitori non la cercano e le bloccano la carta di credito. Diranno in seguito, per spingerla a tornare. Ma non accade Marta diventa una senzatetto, dedita agli abusi, finché non incontra in strada dove ormai vive Zaclina, una ragazza rom che la porta con sé nel suo campo rom.
È la storia di un’amicizia importante, quelle amicizie capaci di durare una vita, nonostante le diversità profonde culturali ed etniche.
Zaclina la porta con sé, Marta vive nel campo rom per sette mesi, il clan le offre protezione in cambio della sua esperienza di studentessa in medicina. La convivenza non è facile, le differenze sono troppo grandi. Sicuramente non è un periodo facile nella vita della ragazza ma in quel momento lei ha bisogno di cure, vivere nel campo rom la cura, la riporta alla vita, le diversità sono davvero abnormi, il capoclan fa vivere tutti nella miseria e nella malattia nonostante abbia una piccola fortuna ben nascosta nella sua roulotte. Marta non riesce ad accettare che i bambini non abbiano cibo a sufficienza e che non siano curati quando si ammalano. Quando una bambina perde l’udito perché non è stata curata una semplice otite, Marta capisce che le differenze non potranno mai essere colmate. Quando si rende conto che anche la sua amica Zaclina è malata, Marta la porta in ospedale dove finalmente l’amica si riprende con le medicine e il cibo regolare ricevuto. Non riesce ad accettare che la sua amica non abbia la possibilità di avere a sua disposizione le medicine necessarie a curarsi solo per l’avidità del capo clan, decide di rubare i soldi necessari a comprare le medicine. Viene scoperta e picchiata a sangue, forse sarebbe morta se Adrian, un rom per lei molto speciale, la riporta a casa.
Casa sua non l’aspetta, la sua cameretta è stata trasformata. Il suo andare via è stato accettato molto bene dalla sua famiglia adottiva, forse una liberazione…
In fondo non l’avevano mai sentita figlia loro, e forse la nascita di un figlio naturale ha fatto nascere in loro differenze affettive diventate con il tempo incolmabili. Marta ne ha preso atto da subito, ha capito che lo scollamento era avvenuto con la nascita di Andrea. Il campo rom l’ha rimessa in piedi, le ha consentito di trovare se stessa, la propria essenza. Le differenze hanno aperto in Marta nuovi orizzonti, la rabbia che provava in famiglia si è trasformata in forza, ha imparato a contare solo su di sé e a trovare la propria dimensione nel mondo. Ora Marta sa cosa vuole dalla vita. L’amicizia di Zaclina è stato un faro nella nebbia per lei. Anche dalle esperienze difficili possono nascere fiori. Se si rispetta l’identità altrui, il confronto tra mondi diversi può arricchire e creare quelle amicizie speciali che durano per sempre.
L’ordine infranto infrange il mondo di Marta, lo stravolge, mette in discussione la sua stessa essenza. Un libro che parla della vita, quella vera, quella non politically correct, dove tutti sono buoni e i genitori sono un faro nella nebbia. Lo scollamento che la ragazza sentiva sotto la pelle era sensibilità affettiva, come una pioggia di vetri che colpisce, lei sentiva sotto la pelle il distacco di chi avrebbe dovuto amarla e proteggerla, anche se figlia adottiva. In un mondo perfetto i figli sono di chi li cresce e li ama. Ma non sempre è così, a volte un figlio serve solo a colmare un vuoto. Le conseguenze sull’anima del figlio sono incalcolabili, sono i crimini che ogni giorno si consumano nel cuore delle famiglie apparentemente perfette. Ma l’ordine infranto non è solo questo. È anche il libro dell’accettazione di sé, di accettazione delle diversità che se accettate possono salvare, possono curare e creare dei rapporti importanti oltre ogni pregiudizio. La conoscenza e l’atteggiamento aperto, quello di chi non si erge a giudice della verità, può annullare ogni diversità, anche quelle apparentemente più incolmabili. La vita vera, dove nessuno si salva da solo è l’essenza di questo bel romanzo di Maria Teresa Cascella. Un libro che consiglio veramente a tutti, in un’epoca dove ogni tipo di diversità fa paura…



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Il mondo incantato dei libri - giovedì 6 ottobre 2022
Cosa accade quando all’improvviso scopri che i tuoi genitori ti hanno adottato perché credevano di non poter avere figli e poi tutto è cambiato quando il figlio desiderato è finalmente arrivato?
Accade che si infrange tutta la vita, non hai più certezze, ti senti di troppo in casa tua.
È quello che accade a Marta, studentessa universitaria di medicina, che in un giorno come tanti ascolta una conversazione che non dovrebbe ascoltare e scopre che coloro che ha sempre chiamato mamma e papà in realtà non lo sono: è stata adottata

di Elisa Santucci

Cosa accade quando all’improvviso scopri che i tuoi genitori ti hanno adottato perché credevano di non poter avere figli e poi tutto è cambiato quando il figlio desiderato è finalmente arrivato?
Accade che si infrange tutta la vita, non hai più certezze, ti senti di troppo in casa tua.
È quello che accade a Marta, studentessa universitaria di medicina, che in un giorno come tanti ascolta una conversazione che non dovrebbe ascoltare e scopre che coloro che ha sempre chiamato mamma e papà in realtà non lo sono: è stata adottata.
Questa rivelazione rende chiare tante cose, tanti comportamenti, tanti scollamenti che lei sentiva nei confronti dei suoi genitori soprattutto suo padre, finché non sente dalla sua voce di non essere sua figlia, ma soprattutto sente nella sua voce un distacco affettivo che la ferisce e distrugge.


“Per quanto ancora vogliamo tormentarci? L’abbiamo cresciuta al meglio delle nostre possibilità, non le abbiamo fatto mancare nulla, ma lei è sempre insoddisfatta, non le va bene niente. In casa c’è tensione, perfino Andrea comincia a risentirne. Con le buone o con le cattive, dobbiamo far sì che Marta cambi atteggiamento. Ora tocca a noi pretendere. Sarebbe ora che si rendesse un po’ più autonoma, ad esempio.”
[…] “Non accetterà mai. Si è messa in testa di diventare medico e non rinuncerà. È nostra figlia, Alberto, la conosciamo bene.”
“Adottiva. Figlia adottiva. Chiamiamo le cose con il loro nome. Se fosse davvero figlia nostra, forse non saremmo in questo guaio”.


Va via di casa, Marta. I genitori non la cercano e le bloccano la carta di credito. Diranno in seguito, per spingerla a tornare. Ma non accade Marta diventa una senzatetto, dedita agli abusi, finché non incontra in strada dove ormai vive Zaclina, una ragazza rom che la porta con sé nel suo campo rom.
È la storia di un’amicizia importante, quelle amicizie capaci di durare una vita, nonostante le diversità profonde culturali ed etniche.
Zaclina la porta con sé, Marta vive nel campo rom per sette mesi, il clan le offre protezione in cambio della sua esperienza di studentessa in medicina. La convivenza non è facile, le differenze sono troppo grandi. Sicuramente non è un periodo facile nella vita della ragazza ma in quel momento lei ha bisogno di cure, vivere nel campo rom la cura, la riporta alla vita, le diversità sono davvero abnormi, il capoclan fa vivere tutti nella miseria e nella malattia nonostante abbia una piccola fortuna ben nascosta nella sua roulotte. Marta non riesce ad accettare che i bambini non abbiano cibo a sufficienza e che non siano curati quando si ammalano. Quando una bambina perde l’udito perché non è stata curata una semplice otite, Marta capisce che le differenze non potranno mai essere colmate. Quando si rende conto che anche la sua amica Zaclina è malata, Marta la porta in ospedale dove finalmente l’amica si riprende con le medicine e il cibo regolare ricevuto. Non riesce ad accettare che la sua amica non abbia la possibilità di avere a sua disposizione le medicine necessarie a curarsi solo per l’avidità del capo clan, decide di rubare i soldi necessari a comprare le medicine. Viene scoperta e picchiata a sangue, forse sarebbe morta se Adrian, un rom per lei molto speciale, la riporta a casa.
Casa sua non l’aspetta, la sua cameretta è stata trasformata. Il suo andare via è stato accettato molto bene dalla sua famiglia adottiva, forse una liberazione…
In fondo non l’avevano mai sentita figlia loro, e forse la nascita di un figlio naturale ha fatto nascere in loro differenze affettive diventate con il tempo incolmabili. Marta ne ha preso atto da subito, ha capito che lo scollamento era avvenuto con la nascita di Andrea. Il campo rom l’ha rimessa in piedi, le ha consentito di trovare se stessa, la propria essenza. Le differenze hanno aperto in Marta nuovi orizzonti, la rabbia che provava in famiglia si è trasformata in forza, ha imparato a contare solo su di sé e a trovare la propria dimensione nel mondo. Ora Marta sa cosa vuole dalla vita. L’amicizia di Zaclina è stato un faro nella nebbia per lei. Anche dalle esperienze difficili possono nascere fiori. Se si rispetta l’identità altrui, il confronto tra mondi diversi può arricchire e creare quelle amicizie speciali che durano per sempre.
L’ordine infranto infrange il mondo di Marta, lo stravolge, mette in discussione la sua stessa essenza. Un libro che parla della vita, quella vera, quella non politically correct, dove tutti sono buoni e i genitori sono un faro nella nebbia. Lo scollamento che la ragazza sentiva sotto la pelle era sensibilità affettiva, come una pioggia di vetri che colpisce, lei sentiva sotto la pelle il distacco di chi avrebbe dovuto amarla e proteggerla, anche se figlia adottiva. In un mondo perfetto i figli sono di chi li cresce e li ama. Ma non sempre è così, a volte un figlio serve solo a colmare un vuoto. Le conseguenze sull’anima del figlio sono incalcolabili, sono i crimini che ogni giorno si consumano nel cuore delle famiglie apparentemente perfette. Ma l’ordine infranto non è solo questo. È anche il libro dell’accettazione di sé, di accettazione delle diversità che se accettate possono salvare, possono curare e creare dei rapporti importanti oltre ogni pregiudizio. La conoscenza e l’atteggiamento aperto, quello di chi non si erge a giudice della verità, può annullare ogni diversità, anche quelle apparentemente più incolmabili. La vita vera, dove nessuno si salva da solo è l’essenza di questo bel romanzo di Maria Teresa Cascella. Un libro che consiglio veramente a tutti, in un’epoca dove ogni tipo di diversità fa paura…



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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