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Pier Paolo Pasolini - L’ultimo eretico
Mangialibri.com di sabato 15 ottobre 2022
Nella sua vita da cineasta, ma anche da romanziere e letterato, Pier Paolo Pasolini ha dovuto difendersi per 33 volte in tribunale da accuse di ogni tipo, dalla censura all’oscenità. Il suo obiettivo, in senso fisico e metafisico, punta ciò che è scabroso, le ingiustizie sociali di fronte al disinteresse della società borghese, lo mette a fuoco e lo denuncia alla morale bigotta del Paese. Il risultato è che...

di Massimiliano De Conca

Nella sua vita da cineasta, ma anche da romanziere e letterato, Pier Paolo Pasolini ha dovuto difendersi per 33 volte in tribunale da accuse di ogni tipo, dalla censura all’oscenità. Il suo obiettivo, in senso fisico e metafisico, punta ciò che è scabroso, le ingiustizie sociali di fronte al disinteresse della società borghese, lo mette a fuoco e lo denuncia alla morale bigotta del Paese. Il risultato è che, per l’opinione pubblica, scabroso diventa lui con le sue macchinazioni. Per molti versi Pasolini non è solo eretico, ma è profetico: Accattone, Mamma Roma, Ragazzi di vita sono denunce di un percorso di a-culturazione, come lo definisce lui stesso in un’intervista filmata sulla spiaggia di Sabaudia nel 1974, che sta abbrutendo la società, sconfitta dalle logiche consumistiche e quindi privata di ogni senso etico e morale. Parole di 50 anni fa, parole ancora valide. Pasolini, l’eretico, è chiamato a rispondere in tribunale, potendo confidare spesso della testimonianza favorevole di intellettuali ben più ortodossi, come Luigi Russo, Giuseppe Ungaretti, Gianfranco Contini. Anche chi lo critica, come Emilio Cecchi, non entra nel merito del senso delle opere di Pasolini, resta sul senso e sulla portata poetica. Tutti, sicuramente molti, riconoscono l’opera di scavo nella cultura italiana, scavo sociale e linguistico, scavo semantico, scavo e denuncia. Questo suo spirito al limite, questa militanza che lo porta a scoprire verità nascoste prima di tutti anticipando i tempi, ne fanno un bersaglio della morale pubblica: i suoi film sono spesso interrotti o sospesi, sono bersaglio di critiche di carta, ma anche di fischi e lanci di verdura in sala. Pasolini è un personaggio scomodo, talvolta irritante per la naturalezza con la quale sbandiera le verità che altri cercano di nascondere. Non a caso muore mentre lavora ad un romanzo- progetto, Petrolio, che anticipa lo scandalo di Licio Gelli e della Loggia P2, con al centro disvelamenti delle corruzioni di Stato, delle interferenze fra politica e mercato, da cui altro abbrutimento sociale e umano. In un certo senso firma la sua condanna a morte. “Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi” (“Corriere della Sera”, 14 novembre 1974)...

Un saggio breve accompagnato da una ricca filmografia e da una bibliografia essenziale: così si presenta il libretto di Francesco Cenetiempo, agile nella lettura, per quanto denso nei contenuti. Cenetiempo ricostruisce con minuziosa dovizia di particolari la parabola poetica di Pier Paolo Pasolini, recuperando a mo’ di glossa le stese parole dell’intellettuale di Casarsa, per sottolineare il profondo intreccio fra l’attività poetica, letteraria e quella cinematografica. Tutto appartiene ad un unico filo conduttore, controverso ed ‘eretico’, che consiste nel rappresentare la realtà con la realtà, che ora si fa parola, ora si fa immagine. Il lungo catalogo di partecipazioni e di collaborazioni testimoniano la continua ricerca di un linguaggio adatto alla rappresentazione delle storie e dei sentimenti, una ricerca verso un linguaggio estremamente concreto, senza filtri, anche se a volte spinto all’estremo. Pasolini ha, per certi versi, pagato per tutti quelli che non amavano esporsi pur pensando le stesse immagini e storie: non a caso saranno coinvolti nei suoi progetti personaggi ed attori, come Attilio Bertolucci, Totò, Eduardo De Filippo, che sembrano tanto estranei, ma che restano invischiati dalla capacità immaginativa di Pasolini. Un bel saggio questo di Cenetiempo, utile, chiaro, serio, documentato. Sottoscrivo le parole di Francesco Ranieri Martinotti, presidente ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), che scrive la prefazione del volumetto, là dove invita a ricordare e studiare opere e personaggi come Pasolini non solo in occasione dei centenari, ma tutti i mesi, tutti i giorni, perché, aggiungo, sono un tassello del patrimonio culturale del nostro Paese, e non solo.



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Mangialibri.com - sabato 15 ottobre 2022
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di Massimiliano De Conca

Nella sua vita da cineasta, ma anche da romanziere e letterato, Pier Paolo Pasolini ha dovuto difendersi per 33 volte in tribunale da accuse di ogni tipo, dalla censura all’oscenità. Il suo obiettivo, in senso fisico e metafisico, punta ciò che è scabroso, le ingiustizie sociali di fronte al disinteresse della società borghese, lo mette a fuoco e lo denuncia alla morale bigotta del Paese. Il risultato è che, per l’opinione pubblica, scabroso diventa lui con le sue macchinazioni. Per molti versi Pasolini non è solo eretico, ma è profetico: Accattone, Mamma Roma, Ragazzi di vita sono denunce di un percorso di a-culturazione, come lo definisce lui stesso in un’intervista filmata sulla spiaggia di Sabaudia nel 1974, che sta abbrutendo la società, sconfitta dalle logiche consumistiche e quindi privata di ogni senso etico e morale. Parole di 50 anni fa, parole ancora valide. Pasolini, l’eretico, è chiamato a rispondere in tribunale, potendo confidare spesso della testimonianza favorevole di intellettuali ben più ortodossi, come Luigi Russo, Giuseppe Ungaretti, Gianfranco Contini. Anche chi lo critica, come Emilio Cecchi, non entra nel merito del senso delle opere di Pasolini, resta sul senso e sulla portata poetica. Tutti, sicuramente molti, riconoscono l’opera di scavo nella cultura italiana, scavo sociale e linguistico, scavo semantico, scavo e denuncia. Questo suo spirito al limite, questa militanza che lo porta a scoprire verità nascoste prima di tutti anticipando i tempi, ne fanno un bersaglio della morale pubblica: i suoi film sono spesso interrotti o sospesi, sono bersaglio di critiche di carta, ma anche di fischi e lanci di verdura in sala. Pasolini è un personaggio scomodo, talvolta irritante per la naturalezza con la quale sbandiera le verità che altri cercano di nascondere. Non a caso muore mentre lavora ad un romanzo- progetto, Petrolio, che anticipa lo scandalo di Licio Gelli e della Loggia P2, con al centro disvelamenti delle corruzioni di Stato, delle interferenze fra politica e mercato, da cui altro abbrutimento sociale e umano. In un certo senso firma la sua condanna a morte. “Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi” (“Corriere della Sera”, 14 novembre 1974)...

Un saggio breve accompagnato da una ricca filmografia e da una bibliografia essenziale: così si presenta il libretto di Francesco Cenetiempo, agile nella lettura, per quanto denso nei contenuti. Cenetiempo ricostruisce con minuziosa dovizia di particolari la parabola poetica di Pier Paolo Pasolini, recuperando a mo’ di glossa le stese parole dell’intellettuale di Casarsa, per sottolineare il profondo intreccio fra l’attività poetica, letteraria e quella cinematografica. Tutto appartiene ad un unico filo conduttore, controverso ed ‘eretico’, che consiste nel rappresentare la realtà con la realtà, che ora si fa parola, ora si fa immagine. Il lungo catalogo di partecipazioni e di collaborazioni testimoniano la continua ricerca di un linguaggio adatto alla rappresentazione delle storie e dei sentimenti, una ricerca verso un linguaggio estremamente concreto, senza filtri, anche se a volte spinto all’estremo. Pasolini ha, per certi versi, pagato per tutti quelli che non amavano esporsi pur pensando le stesse immagini e storie: non a caso saranno coinvolti nei suoi progetti personaggi ed attori, come Attilio Bertolucci, Totò, Eduardo De Filippo, che sembrano tanto estranei, ma che restano invischiati dalla capacità immaginativa di Pasolini. Un bel saggio questo di Cenetiempo, utile, chiaro, serio, documentato. Sottoscrivo le parole di Francesco Ranieri Martinotti, presidente ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), che scrive la prefazione del volumetto, là dove invita a ricordare e studiare opere e personaggi come Pasolini non solo in occasione dei centenari, ma tutti i mesi, tutti i giorni, perché, aggiungo, sono un tassello del patrimonio culturale del nostro Paese, e non solo.



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OGT newspaper
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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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