"Codex Rubens" edito da Edizioni Oltre nella loro collana di graphic novel, Topffer (dal nome dell'artista svizzero considerato oggi il padre del fumetto moderno), è un volume molto interessante che nasce dalla collaborazione dell'illustratore italiano Marco D'Aponte con gli sceneggiatori francesi Michael Hoëllard e Nathalie Neau.
In questo articolo voglio dare ragione di alcuni elementi di forte originalità e brillante realizzazione dell'opera, in una sinergia strettisttima, come si vedrà, tra sceneggiatori e disegnatore: per tale ragione avverto che potrà esserci qualche spoiler non determinante (non sulla trama, ma sulla struttura dell'opera: ma essendo ovviamente i due elementi intrecciati in ogni opera di narrativa, suggerisco prima di leggere l'originale).
Il nome rimanda ovviamente al grande pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640) e sembra anche evocare il celebre "Da Vinci Code" di Dan Brown: e in effetti anche qui, come diremo, si passa dalle parti del fantastico e del misterioso, anche se in una chiave differente e non esoterica.
L'opera comincia con una narrazione dell'infanzia dell'autore, introdotta dalle belle tavole di D'Aponte, eleganti nel loro raffinato stile classico, realistico ma con un buon grado di sintesi che non appesantisce la narrazione visuale, e soprattutto con il suo raffinato acquerellato che conferisce una grande bellezza alle tavole, spesso ampie splash page.
Notiamo tuttavia le prime intersezioni particolari che segneranno la narrazione: sulle tavole di biografia all'apparenza "tradizionale" (ma vedremo non sarà così) si inseriscono dei tasselli come a matita dove Rubens, che racconta in prima persona nel voice over delle didascalie che accompagnano il racconto, aggiunge qualche nota a margine, come un appunto che non diviene un vero e proprio "quadro" del suo racconto (le vignette), ma solo una sorta di schizzo a matita.
Ma c'è di più: si intersecano anche delle piccole vignette in bianco e nero, a china, che si raccordano abbastanza alla narrazione generale, ma raffigurano scene western in francese, tratte da un fumetto di Luigi Grecchi. Un piccolo elemento bizzarro, volutamente un po' incongruo, che non spezza il racconto ma induce un primo dubbio al lettore.
A pagina 17 interviene il primo salto temporale all'attualità, dove incrociamo Lena, che si sta trasferendo a Colonia. Anche lei è un'artista, ma è una performer, una esponente decisa e determinata della nuova Arte Contemporanea del XX secolo, che ha spezzato (nella percezione dei più) la continuità con quell'Arte Moderna di cui Rubens è uno dei massimi simboli, forse il massimo fuori dalla ricchissima scena italiana.
Una intersezione che in sé è frequente per vivacizzare una biografia a fumetti (o filmica, o romanzesca), e che del resto ci appare annunciata fin dalla copertina, dove Rubens e Lena convivono tramite una paradossale "mise en abime" (da notare che è Rubens che osserva Lena in un quadro nella bella immagine di D'Aponte, mentre sarebbe stato più semplice - e meno originale - il viceversa, per un ordine temporale...).
Ma qui la cosa è resa complessa dal fatto che Rubens non si limita a essere la voce narrante del suo piano di racconto, ma interagisce anche con quello del presente. Le scelte cromatiche, pur in un accordo globale dell'opera, segnano lo stacco al periodo moderno con colori primari stesi a tinte piatte.
Ma, in questo gioco di intersezioni, anche i dipinti interni alla storia secentesca di Rubens (i "quadri nei quadri") sono effigiati con questi colori primari moderni, in un rimando dichiarato a Warhol, che a sua volta riprenderà, nella Pop Art, il fumetto a sgargianti colori primari nelle sue opere (come è più noto di Roy Lichtenstein: ma anche il grande Andy lo fa). Del resto, altra intersezione, l'atelier di Rubens all'apice del suo splendore sarà molto simile a quella che sarà poi la Factory warholiana, ben più che un semplice luogo maestro-apprendisti ma quasi una azienda moderna con più creativi in collaborazione.
Torniamo poi nell'era di Rubens dove lo seguiamo nella sua crescente, brillante inquietudine artistica e nel suo viaggio in Italia. Proprio qui le cose si complicano ulteriormente, perché alla finezza documentaria (sono ricostruiti con precisione fatti, luoghi, personaggi, ben colti dagli autori e ben raffigurati da D'Aponte nel suo stile di sintesi elegante) si sommano degli inserti fantastici.
Appare infatti, ed è il primo di molti, Don Diego de la Vega, il Zorro, che sarebbe effettivamente di questo periodo ma in un suo mondo di fantasia. Tuttavia, l'incontro funziona bene, inserito come è "nelle pieghe della Storia": ricorda un po' lo stilema di Hugo Pratt, che colloca il suo Corto Maltese in un periodo storico ben definito (dalla Grande Guerra alla Guerra di Spagna) e ogni volta sullo sfondo di un evento preciso, ma può fargli incontrare senza problemi personaggi immaginari anche di un piano sovrannaturale e fantastico.
I tre autori riprendono quindi questo espediente, che mi pare di grande interesse e che è un peccato che si sia spesso perso nella lezione di Hugo Pratt (già in un Maestro come Vittorio Giardino, che nelle sue opere di Max Friedman quasi ne raccoglie in parte il testimone con avventure che partono dalla Guerra di Spagna e vanno verso la Seconda Guerra Mondiale, gli incontri sono solo "nell'età della storia"). Ma vanno perfino oltre, e a p. 51, documentando il grandioso matrimonio regale, Rubens è colto come un paparazzo con tanto di invasiva reflex.
Torniamo poi da Lena, che è ancora alle prese con la sistemazione del suo nuovo appartamento e della sua vita, tra relazioni e impegni di lavoro e d'arte. Raffinato farle esporre in casa un manifesto della Droste, quello da cui deriva il famoso Effetto Droste (p.55), ovvero la "mise en abime", la scatola con la suora che regge una scatola con la suora che regge una scatola, e così via (ovvero: la storia nella storia nella storia... e anche il fumetto nel fumetto, e tutte le forme di metanarrazione). Poco prima (p.41) anche Rubens aveva sorbito la "bevanda degli dei" azteca, da poco giunta in Europa.
Tornati su Rubens, la storia riprende (per quanto gli autori inseriscano sempre nuovi virtuosismi per stupire il lettore, permane "leggibile" la biografia rubensiana classica, ben vivacizzata sia nella narrazione tradizionale, sia da questi espedienti) e avviene un nuovo incontro ancor più sorprendente, che squarcia definitivamente le pareti dello spazio-tempo: in una locanda spagnola, infatti, Rubens e Pablo Picasso si incontrano. La massima figura dell'arte moderna e il padre della rivoluzione artistica del XX secolo, padre del Cubismo, viene così a confrontarsi col maestro dell'arte moderna.
L'incontro oltretutto non è puramente gratuito, anzi: ha un senso narrativo forte, ben esplicitato dal dialogo, e quasi dal duello verbale, nella reciproca ammirazione, dei due autori, che entrano nelle rispettive opere e le esplorano, guidando il lettore ed evidenziando i potenti elementi comuni.
Rubens rovescia il Giudizio di Paride di Raffaello, e Picasso li rovescia entrambi nelle sue Damoiselles d'Avignon (1907) che iniziano il Cubismo e l'Arte Contemporanea, così come nella sua opera più universalmente celebre, Guernica, rovescia gli Orrori della guerra rubensiani (e altre Stragi degli Innocenti secentesche, come quella di Reni, almeno stando all'Asher Lew di Chaim Potok). La bellezza e l'orrore, i due poli della rappresentazione artistica, si toccano, dialogano, duellano nei due autori.
Proseguendo si collega ulteriormente il vertiginoso effetto Droste pluri-dimensionale che si va creando inserendo nel gioco anche la Madonna della Vallicella di Roma, opera del primo Seicento del Maestro dove egli crea la sua opera attorno a una più antica che avrebbe sanguinato per un sasso, dopo esser stata colpita nel 1535.
La cosa interessante è che Mondovì ospita anche delle opere di Rubens, nel suo Vescovado (che un tempo era tra i più importanti): si tratta degli arazzi con la storia di Decio Mure, su cartoni del Rubens ed eseguiti da altri. La cosa significativa per il nostro discorso, ovviamente, è che si tratta di un'opera chiaramente sequenziale, un protofumetto che narra la storia dell'eroe romano tramite una serie di immagini. Oltretutto, se amiamo i link spazio-temporali sul modello del Codex Rubens, l'arazzo è una delle prime forme di protofumetto con la rinascita dell'anno Mille dopo l'alto medioevo: l'Arazzo di Bayeux (di mano, si suppone, femminile anonima) composto dopo la vittoria di Hastings del 1066, che cambia la storia inglese e mondiale.
In più, Rubens si ispira come stile alla Colonna Traiana, che costituisce il più grande esempio di protofumetto romano, di cui riprende apertamente alcuni tasselli.
Qui si trova ampiamente ricostruita tutta la storia di quest'opera:
Storie di Decio Mure - Wikipedia
La cosa mi affascina, in un ulteriore effetto Droste che esce dall'opera ed entra nella mia Mondovì, perché tale miracolo è il modello (a livello di archetipo) più prossimo di quello della Madonna di Mondovì presso Vicoforte: una icona sacra campestre del 1450, di Segurano Cigna, colpita nel 1595 per errore da un cacciatore con un colpo di archibugio, e similmente fatta sanguinare in quello che è ritenuto il primo miracolo dell'era delle armi da fuoco (attorno a questo fatto venne edificata il grande santuario del Mondovì a cupola ovale, ancor oggi famoso nel mondo come il più grande edificio in questa forma edificato con le tecniche di semplice muratura).
Subito dopo aver introdotto tale concetto, pagina 84-87 sono realizzate in "effetto Droste" in un nuovo modo ancora: sono infatti le pagine di un ipotetico diario visuale che Rubens scrive, e che noi vediamo sulla pagina (il contorno delle vignette è disegnato come pagine di un libro antico e consunto).
E questo volume, con cui Rubens inventa il fumetto, e di fatto quindi scrive il fumetto che stiamo leggendo, che si interfaccerà anche con la storia di Lena e dei suoi amici (all'interno della quale emergono altre citazioni fumettistiche, dal Marchio Giallo / Marco Giallo / Marco D'Aponte, al dottor BlackJack) fino al finale dove cadono gli ultimi diaframmi tra passato e presente.
Il gioco degli incastri Droste tocca anche il tema del Macrocosmo e Microcosmo, tramite l'invenzione del Cannocchiale coeva a Rubens. Alcune note finali a p. 174 riportano alcune citazioni (alcune le ho riprese qui, quelle più significative per il mio ragionamento: molte le troverete qui, altre ne ho aggiunte in questo pezzo, e ve ne sono molte da trovare ancora, probabilmente).
Insomma, quest'opera mi pare si trovi il fumetto al suo meglio: non una semplice, piana trasposizione di una storia coi mezzi del fumetto, anche fossero usati all'apice della professionalità (come del resto è in questo caso); ma un'opera che diviene complessa e stratificata proprio partendo dalle possibilità visuali del medium, sfruttando a tale scopo tutte le sue componenti (storia, disegno, colore, elementi specifici del linguaggio come didascalie, montaggio...).
Un'opera che spinge il lettore a riflettere su Rubens, che gli dona non solo e non tanto un "bignamino" dell'autore (anzi: dopo questa lettura siamo invogliati a raccapezzarci le idee seguendo un buon saggio divulgativo più lineare) ma ci stimola a riflessioni ardite e a tratti paradossali, che però possono affascinare il lettore e spingerlo a indagare ancor di più sui temi trattati: non solo Rubens ma il senso dell'arte e della vita, per cominciare.
Il tutto, come detto più volte, mantenendo la sua leggibilità "di primo livello": per quanto non sia l'aspetto più rilevante, seguendo i dettami del postmoderno, si può anche leggere come un primo approccio alla vita di Rubens, magari per un ragazzo/a in un percorso liceale. O, semplicemente, per chi voglia immergersi con gli occhi dell'immaginazione nelle meraviglie del possibile che il fumetto ogni volta, se lo vuole, ci squaderna.
Abbiamo parlato di:
Marco D’Aponte, Michel Hoëllard, Nathalie Neau
Codex Rubens
Oltre Edizioni, collana Töpffer, 2022
176 pagine, colore, brossura, 17×24 cm, €24.50
ISBN: 978-88-8815132-8
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