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Per una terra possibile – Jean Sénac
Gli Amanti dei Libri di lunedě 9 dicembre 2019
Jean Sénac, scrittore e poeta algerino di lingua francese, grande amico di Albert Camus e di René Char, che appezzarono la sua poesia

di Nicola Vacca
Sénac ha lasciato un’opera letteraria considerevole per niente nota in Italia.
Finalmente questa lacuna è stata colmata. Sénac è un poeta che va assolutamente scoperto e letto.
La sua vita tormentata (fu assassinato ad Algeri nel 1973) al servizio della letteratura e della poesia merita di essere studiata, conosciuta e approfondita.
Per una terra possibile è il volume di cinquecentotredici pagine pubblicato da Oltre edizioni e curato e tradotto da Ilaria Guidantoni.
Il libro, oltre a una scelta vasta e approfondita dell’opera poetica di Sénac, contiene anche le prime due lettere che il poeta scrisse a Albert Camus e a René Char.
Nelle poesie di Sénac i due illustri amici sono quasi sempre presenti. «Il rapporto tra Sénac e Camus – si legge nella presentazione della poetica all’inizio del volume – sarà molto complesso e da un’amicizia quasi simbiotica – Sénac vedrà in lui il padre che non ha mai conosciuto, anche sotto il profilo del sostegno finanziario, visto che tutta la vita il poeta algerino ebbe problemi di soldi – si arriverà al “parricidio”».
Nelle sue poesie Sénac definisce Camus maestro dell’assoluto.
C’è un sentire comune e leggendo i loro rispettivi testi si ha l’impressione di trovarsi l’uno nelle pagine dell’altro.
Camus e Sénac sono morti tragicamente all’ età di 46 anni Il primo in un misterioso incidente stradale, il secondo assassinato in circostanze misteriose e violente.
Entrambi legati dalla stessa infanzia, sono numerose le coincidenze delle loro rispettive biografia che in certo senso li rende fratelli e compagni di penna.
Le parole della poesia di Jean Sénac rotolano nella carne, come ha scitto lui stesso.
Sono scritte col sangue e azzardano sempre. Leggendole ci accorgiamo di essere davanti a uno scrittore sconvolgente e contraddittorio. La letteratura e la vita nella sua opera poetica sono intrecciate.
La sua scrittura è folgorante, non si trovano nei suoi testi parole accomodanti: «Le tue sono parole di sangue / per la madre e per il figlio / Le parole giuste che s’insinuano / tra le foglie, le mani, / le parole vicine esplose / nella gola prima che nel cuore».
Nella lettera a René Char, Sénac scrive: «Sinistro, ragazzo, ho tentato di essere sincero. Le mostrerò un’altra volta versi più antichi dei miei pellegrinaggi Verlaine, Rimbaud, Valéry, Apollinaire, Éluard, Guillién. Dei poemi di lotto per gli uomini di cuore».
Per una terra possibile è il biglietto da visita di poeta autentico che ha scritto e pensato da uomo in rivolta che parlato senza compromessi affinché tutti conoscessero la sua terra, l’Algeria fiera e ferita dal sale.
Per Sénac la poesia prima di tutto è rivoluzione allo stato puro Davanti a essa non bisogno mai arretrare, a costo di perdere la vita.
«Una sola parola può far scoppiare / la tragedia delle stelle / una sola parola può far crescere / dei mandorli nel deserto».
Così è stato con la sua poesia che arriva oggi fino a noi, oltre la sua vita assassinata.


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Jean Sénac, scrittore e poeta algerino di lingua francese, grande amico di Albert Camus e di René Char, che appezzarono la sua poesia

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Sénac ha lasciato un’opera letteraria considerevole per niente nota in Italia.
Finalmente questa lacuna è stata colmata. Sénac è un poeta che va assolutamente scoperto e letto.
La sua vita tormentata (fu assassinato ad Algeri nel 1973) al servizio della letteratura e della poesia merita di essere studiata, conosciuta e approfondita.
Per una terra possibile è il volume di cinquecentotredici pagine pubblicato da Oltre edizioni e curato e tradotto da Ilaria Guidantoni.
Il libro, oltre a una scelta vasta e approfondita dell’opera poetica di Sénac, contiene anche le prime due lettere che il poeta scrisse a Albert Camus e a René Char.
Nelle poesie di Sénac i due illustri amici sono quasi sempre presenti. «Il rapporto tra Sénac e Camus – si legge nella presentazione della poetica all’inizio del volume – sarà molto complesso e da un’amicizia quasi simbiotica – Sénac vedrà in lui il padre che non ha mai conosciuto, anche sotto il profilo del sostegno finanziario, visto che tutta la vita il poeta algerino ebbe problemi di soldi – si arriverà al “parricidio”».
Nelle sue poesie Sénac definisce Camus maestro dell’assoluto.
C’è un sentire comune e leggendo i loro rispettivi testi si ha l’impressione di trovarsi l’uno nelle pagine dell’altro.
Camus e Sénac sono morti tragicamente all’ età di 46 anni Il primo in un misterioso incidente stradale, il secondo assassinato in circostanze misteriose e violente.
Entrambi legati dalla stessa infanzia, sono numerose le coincidenze delle loro rispettive biografia che in certo senso li rende fratelli e compagni di penna.
Le parole della poesia di Jean Sénac rotolano nella carne, come ha scitto lui stesso.
Sono scritte col sangue e azzardano sempre. Leggendole ci accorgiamo di essere davanti a uno scrittore sconvolgente e contraddittorio. La letteratura e la vita nella sua opera poetica sono intrecciate.
La sua scrittura è folgorante, non si trovano nei suoi testi parole accomodanti: «Le tue sono parole di sangue / per la madre e per il figlio / Le parole giuste che s’insinuano / tra le foglie, le mani, / le parole vicine esplose / nella gola prima che nel cuore».
Nella lettera a René Char, Sénac scrive: «Sinistro, ragazzo, ho tentato di essere sincero. Le mostrerò un’altra volta versi più antichi dei miei pellegrinaggi Verlaine, Rimbaud, Valéry, Apollinaire, Éluard, Guillién. Dei poemi di lotto per gli uomini di cuore».
Per una terra possibile è il biglietto da visita di poeta autentico che ha scritto e pensato da uomo in rivolta che parlato senza compromessi affinché tutti conoscessero la sua terra, l’Algeria fiera e ferita dal sale.
Per Sénac la poesia prima di tutto è rivoluzione allo stato puro Davanti a essa non bisogno mai arretrare, a costo di perdere la vita.
«Una sola parola può far scoppiare / la tragedia delle stelle / una sola parola può far crescere / dei mandorli nel deserto».
Così è stato con la sua poesia che arriva oggi fino a noi, oltre la sua vita assassinata.


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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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