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IN “FUGA DALL’APOCALISSE” LA FANTASCIENZA INCONTRA IL GIALLO
Fenice Bookstore di sabato 8 febbraio 2020
Adriano Petta, il tuo č un romanzo di fantascienza, ma anche un thriller che fa stare col fiato sospeso il lettore dalla prima all’ultima pagina. Il lettore che, in questo caso, si immedesima anche nell’abitante di questa terra minacciata da un evento cosmico, sfruttato da alcuni ai fini del proprio potere personale. Come č nata l’idea che sembra nata in virtů di forti competenze scientifiche?

di Antonio Cantrida

Sono libero studioso di fisica, astronomia e di storia della scienza.  Sono un romanziere fortunato, perché mai nella storia l’uomo ha potuto lanciare il suo sguardo nell’universo visibile ed invisibile¼ come negli ultimi decenni. Erano anni che seguivo le scoperte che riguardavano il bosone di Higgs, l’inafferrabile “primula rossa” delle particelle. E le ricerche avvenivano lì, sotto il lago di Ginevra, nell’acceleratore più grande del mondo. Un luogo molto simile al mio posto di lavoro (un piccolo bunker a protezione atomica) che mi ha facilitato l’ambientazione del romanzo. Un giorno apparve in cielo Apophis, un gigantesco asteroide che avrebbe potuto cadere sulla Terra cancellando ogni forma di vita. Lo studioso Adriano Petta si recò a Pisa al centro dove si studiano le traiettorie degli asteroidi¼ mentre il romanziere Adriano Petta parallelamente aveva cominciato a tessere una trama che avrebbe dovuto precedere gli avvenimenti reali, ma la realtà astronomica era più veloce di quella romanzesca. In questa rincorsa frenetica contro il tempo, il bosone di Higgs cominciò timidamente a bussare alla porta del mio romanzo¼

 

Tu hai una ampia produzione letteraria, quasi tutta segnata da tre elementi: l’amore per la scienza, una particolare attenzione alla figura della donna nella Storia, il tutto sottoposto a una sorta di denuncia dell’oscurantismo in generale. Il tuo capolavoro “Ipazia”, edito da La Lepre, racchiude questi tre elementi, così come questo romanzo “Fuga dall’Apocalisse”, due case editrici i cui libri possono essere tranquillamente acquistati su questo sito. Ecco, da quale vicende esistenziali e letture si nutrono questi elementi che ho sottolineato?

 Anche “Fuga dall’apocalisse” ha la sua eroina: tutti i miei romanzi sono testimonianze di vita di grandi donne che sono state estromesse dalla storia dal maschio della nostra specie, per paura che potessero frenare la sua fame di guerre e di sterminio¼ 

Molti anni fa lessi un piccolo trattato sulle donne filosofe e scoprii ch’era vissuta, nell’anno quattrocento, una scienziata donna, astronoma, matematica e filosofa: Ipazia d’Alessandria. Man mano che studiavo, mi rendevo conto che mi ero imbattuto nel caso di occultamento più grosso della storia umana. Ipazia la conoscevano solo le élite culturali! Mentre nelle scuole e nelle università, di Ipazia non se ne sapeva nulla. Da tenace studioso di storia della scienza cominciai a scavare¼ e la figura di questa grande donna e scienziata cominciò a parlarmi, a chiedere alla mia penna di raccontare la sua storia, la sua vita, la storia della sua biblioteca¼ la prima al mondo aperta a tutti, anche alla povera gente ignorante. Ipazia fu anche la madre della scienza sperimentale.

Raccontai la sua vita, ne fecero anche un film, oggi in tutto il mondo si conosce la storia di Ipazia, ancora non si studia a scuola perché non è stata trovata la risposta da dare agli alunni: “Signora maestra, perché per milleseicento anni nessuno ci ha mai raccontato questa storia?”

Sono alcuni anni che i tuoi tanti lettori e fans aspettavano un tuo nuovo libro. Con “Fuga dall’apocalisse” segni un ritorno alla grande. Possiamo promettere ai lettori che non dovranno passare altri tanti anni per leggere un tuo nuovo libro?

Negli ultimi due anni ho scritto giorno e notte dando alla luce quattro romanzi: due thriller storici e due thriller fantasy, già sottoposti all’attenzione della Oltre Edizioni. Spero di aver scritto romanzi dominati da quello che scuote la mia vita in ogni frangente: la passione, la passione per un ideale politico, per un grande amore. Quando prendo una penna in mano, sogno di trasformare il fango in oro, e questo mi permette di bussare al migliore dei mondi impossibili, quello del romanzo.



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Adriano Petta, il tuo č un romanzo di fantascienza, ma anche un thriller che fa stare col fiato sospeso il lettore dalla prima all’ultima pagina. Il lettore che, in questo caso, si immedesima anche nell’abitante di questa terra minacciata da un evento cosmico, sfruttato da alcuni ai fini del proprio potere personale. Come č nata l’idea che sembra nata in virtů di forti competenze scientifiche?

di Antonio Cantrida

Sono libero studioso di fisica, astronomia e di storia della scienza.  Sono un romanziere fortunato, perché mai nella storia l’uomo ha potuto lanciare il suo sguardo nell’universo visibile ed invisibile¼ come negli ultimi decenni. Erano anni che seguivo le scoperte che riguardavano il bosone di Higgs, l’inafferrabile “primula rossa” delle particelle. E le ricerche avvenivano lì, sotto il lago di Ginevra, nell’acceleratore più grande del mondo. Un luogo molto simile al mio posto di lavoro (un piccolo bunker a protezione atomica) che mi ha facilitato l’ambientazione del romanzo. Un giorno apparve in cielo Apophis, un gigantesco asteroide che avrebbe potuto cadere sulla Terra cancellando ogni forma di vita. Lo studioso Adriano Petta si recò a Pisa al centro dove si studiano le traiettorie degli asteroidi¼ mentre il romanziere Adriano Petta parallelamente aveva cominciato a tessere una trama che avrebbe dovuto precedere gli avvenimenti reali, ma la realtà astronomica era più veloce di quella romanzesca. In questa rincorsa frenetica contro il tempo, il bosone di Higgs cominciò timidamente a bussare alla porta del mio romanzo¼

 

Tu hai una ampia produzione letteraria, quasi tutta segnata da tre elementi: l’amore per la scienza, una particolare attenzione alla figura della donna nella Storia, il tutto sottoposto a una sorta di denuncia dell’oscurantismo in generale. Il tuo capolavoro “Ipazia”, edito da La Lepre, racchiude questi tre elementi, così come questo romanzo “Fuga dall’Apocalisse”, due case editrici i cui libri possono essere tranquillamente acquistati su questo sito. Ecco, da quale vicende esistenziali e letture si nutrono questi elementi che ho sottolineato?

 Anche “Fuga dall’apocalisse” ha la sua eroina: tutti i miei romanzi sono testimonianze di vita di grandi donne che sono state estromesse dalla storia dal maschio della nostra specie, per paura che potessero frenare la sua fame di guerre e di sterminio¼ 

Molti anni fa lessi un piccolo trattato sulle donne filosofe e scoprii ch’era vissuta, nell’anno quattrocento, una scienziata donna, astronoma, matematica e filosofa: Ipazia d’Alessandria. Man mano che studiavo, mi rendevo conto che mi ero imbattuto nel caso di occultamento più grosso della storia umana. Ipazia la conoscevano solo le élite culturali! Mentre nelle scuole e nelle università, di Ipazia non se ne sapeva nulla. Da tenace studioso di storia della scienza cominciai a scavare¼ e la figura di questa grande donna e scienziata cominciò a parlarmi, a chiedere alla mia penna di raccontare la sua storia, la sua vita, la storia della sua biblioteca¼ la prima al mondo aperta a tutti, anche alla povera gente ignorante. Ipazia fu anche la madre della scienza sperimentale.

Raccontai la sua vita, ne fecero anche un film, oggi in tutto il mondo si conosce la storia di Ipazia, ancora non si studia a scuola perché non è stata trovata la risposta da dare agli alunni: “Signora maestra, perché per milleseicento anni nessuno ci ha mai raccontato questa storia?”

Sono alcuni anni che i tuoi tanti lettori e fans aspettavano un tuo nuovo libro. Con “Fuga dall’apocalisse” segni un ritorno alla grande. Possiamo promettere ai lettori che non dovranno passare altri tanti anni per leggere un tuo nuovo libro?

Negli ultimi due anni ho scritto giorno e notte dando alla luce quattro romanzi: due thriller storici e due thriller fantasy, già sottoposti all’attenzione della Oltre Edizioni. Spero di aver scritto romanzi dominati da quello che scuote la mia vita in ogni frangente: la passione, la passione per un ideale politico, per un grande amore. Quando prendo una penna in mano, sogno di trasformare il fango in oro, e questo mi permette di bussare al migliore dei mondi impossibili, quello del romanzo.



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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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