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Roberto Collovati
Aggressivit e violenza maschile
al tempo della globalizzazione




copertina di Andrew Tosh
Se argomentare di globalizzazione può apparire relativamente semplice per la sua contemporaneità storico-sociale, non appena si introduce il tema dell’aggressività, della violenza e del conflitto umano, si spalanca un tempo dell’uomo e delle sue vicende che ci riporta ad abbracciare un arco temporale di oltre 2500 anni.
Ogni scienza, fin dalle origini, ha cercato tracce di comprensione dell’aggressività, nelle sue diverse forme, fino alla violenza nel suo apice: il genocidio.
Il mondo maschile sta affrontando nel terzo millennio, quello della globalizzazione, una regressione mentale e comportamentale grave e generalizzata, portatrice di aggressività e violenza diffusa e trasversale, ovunque nel Mondo.
I rapporti umani si caricano di una profonda, complessa e arcaica distruttività ove le donne, l’infanzia e i soggetti deboli si trovano al centro di queste energie represse e mai educate.
L’Autore ritiene che le ragioni siano un correlato tra fattori biologici, psicologici e sociali il cui meccanismo appare inceppato a vari livelli.
Il volume offre una “mappa orientativa” densa di nuove argomentazioni, integrate tra pensiero psicoanalitico, neuroscienze e psicologia sociale, che costituiscono la nuova frontiera dell’indagine scientifica.
Un pensiero riflessivo e di azione rivolto a educatori, professionisti e a tutti coloro che hanno l’ambizione di scalfire un quotidiano umano spesso anestetizzato e travolto dalla nuova “banalità del male”, che si alimenta anche delle molte forme di “demenza digitale” indotte dal nostro tempo tecnologico.



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Marchio editoriale
Oltre edizioni
Pubblicato il 19/06/2018
pagine: 338
formato: cm. 14 x 21
copertina: softback con alette — brossura
collana: PBS
genere: Psicologia, Psichiatria e Psicoanalisi
ISBN: 9788899932268

Prezzo di copertina € 18.00
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Se argomentare di globalizzazione può apparire relativamente semplice per la sua contemporaneità storico-sociale, non appena si introduce il tema dell’aggressività, della violenza e del conflitto umano, si spalanca un tempo dell’uomo e delle sue vicende che ci riporta ad abbracciare un arco temporale di oltre 2500 anni.
Ogni scienza, fin dalle origini, ha cercato tracce di comprensione dell’aggressività, nelle sue diverse forme, fino alla violenza nel suo apice: il genocidio.
Il mondo maschile sta affrontando nel terzo millennio, quello della globalizzazione, una regressione mentale e comportamentale grave e generalizzata, portatrice di aggressività e violenza diffusa e trasversale, ovunque nel Mondo.
I rapporti umani si caricano di una profonda, complessa e arcaica distruttività ove le donne, l’infanzia e i soggetti deboli si trovano al centro di queste energie represse e mai educate.
L’Autore ritiene che le ragioni siano un correlato tra fattori biologici, psicologici e sociali il cui meccanismo appare inceppato a vari livelli.
Il volume offre una “mappa orientativa” densa di nuove argomentazioni, integrate tra pensiero psicoanalitico, neuroscienze e psicologia sociale, che costituiscono la nuova frontiera dell’indagine scientifica.
Un pensiero riflessivo e di azione rivolto a educatori, professionisti e a tutti coloro che hanno l’ambizione di scalfire un quotidiano umano spesso anestetizzato e travolto dalla nuova “banalità del male”, che si alimenta anche delle molte forme di “demenza digitale” indotte dal nostro tempo tecnologico.



L'AUTORE
Roberto Collovati
(Pordenone 1960), mediatore familiare e dei conflitti umani complessi ad indirizzo psicodinamico, counselor e psicomotricista relazionale. Psicologo associato a Bps Uk (The British Psychological Society), studioso di conflitti umani, in ambito socio-familiare e geo-politico internazionale, con particolare riferimento allarea slavo-balcanico-caucasica. Lavora in campo libero-professionale ed consulente e formatore per enti e istituzioni. Giornalista pubblicista e saggista ha pubblicato: Il Bullismo Sociale Adulto e giovanile (Armando, Roma, 2010) con cui ha vinto il Premio Internazionale Carver per la saggistica (2011). Fin dallet giovanile ha frequentato e vissuto terre e Stati del socialismo reale e, al crollo degli anni 90, ha pianificato e organizzato lassistenza e il sostegno allinfanzia, quando i conflitti e le destabilizzazioni geo-politico sociali, hanno colpito quei Paesi cos tanto amati, ai quali profondamente legato.

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Pubblicato il 19/06/2018
pagine: 338
formato: cm. 14 x 21
copertina: softback con alette — brossura
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genere: Psicologia, Psichiatria e Psicoanalisi
ISBN: 9788899932268

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01/09/2024

L'intervista a Carla Boroni

Se la cultura di questa città fosse un palazzo, lei sarebbe una delle colonne.
Professoressa e scrittrice, docente e saggista, Carla Boroni si spende da una vita fra libri e università, progetti e istituzioni. Spirito libero e pensiero indipendente, non per questo ha evitato di cimentarsi in avventure strutturate che comportano gioco di squadra e visione di prospettiva: laureata in pedagogia e in lettere, professore associato alla cattedra di letteratura italiana contemporanea (scienze della formazione) all’Università Cattolica nonché membro del Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pubblicato articoli per riviste di critica letteraria e volumi che vanno da Ungaretti alle favole, dalla Storia alle ricette in salsa bresciana, variando registri espressivi e spaziando sempre.
Non a caso Fondazione Civiltà Bresciana non ha esitato a confermarla alla presidenza del suo Comitato Scientifico.
«Sono grata a presidente e vice presidente, Mario Gorlani e Laura Cottarelli - dice Carla Boroni -. Hanno creduto in me e insieme abbiamo formato questo comitato scientifico di persone che si danno molto da fare, ognuno nell’ambito della propria disciplina. Con loro è un piacere andare avanti, procedere lungo la strada intrapresa che ci ha già dato soddisfazioni. Con impegno ed entusiasmo immutati, anzi rinnovati».

Il Cda di Fcb ha riconosciuto il lavoro svolto a partire dalle pubblicazioni artistiche e architettoniche al Fondo Caprioli in avanzato stato di lavoro storico archivistico, da «Maggio di gusto» (sulle tradizioni culinarie nel bresciano), alla toponomastica, dal Centro Aleni sempre più internazionale alle mostre in sinergia con le province limitrofe, al riconoscimento della Rivista della Fondazione nella Classe A di molte discipline universitarie.
Attraverso una brescianità d’eccellenza e mai localistica siamo riusciti a coinvolgere le Università ma anche Accademie e Conservatori non solo cittadini, non trascurando quell’approccio pop che tanto fu caro al fondatore monsignor Antonio Fappani, con cui io e Sergio Onger iniziammo svolgendo un ruolo da direttori. Conferenze e iniziative, eventi e restauri, mostre e incontri, convenzioni e pubblicazioni: tanto è stato fatto, tanto ancora resta da fare.

Cosa vuole e può rappresentare Fondazione Civiltà Bresciana?
Tanti pensano che sia questo e stop, Civiltà Bresciana come indica il nome. In realtà noi a partire, non dico da Foscolo, ma da Tartaglia, Arici e Veronica Gambara, tutti grandi intellettuali che hanno lavorato per la città incidendo in profondità, cerchiamo di radicare al meglio i nostri riferimenti culturali. Dopodiché ci siamo aperti a Brescia senza remore.

Com’è composta la squadra?
Possiamo contare su tante competenze di rilievo. Marida Brignani, architetta e storica, si occupa di toponomastica. Gianfranco Cretti, ingegnere e storico cinese, del Centro GIulio Aleni. Massimo De Paoli, figlio del grande bomber del Brescia Calcio, storico dell’architettura, fa capo all’Università Statale di Brescia come Fiorella Frisoni, storica dell’arte, a quella di Milano. Licia Mari, musicologa, è attiva con l’Università Cattolica di Brescia come Simona Greguzzo con la Statale di Pavia quanto a storia moderna. Leonardo Leo, già direttore dell’Archivio di Stato, si occupa del Fondo Caprioli. L’esperto di enogastronomia è Gianmichele Portieri, giornalista e storico come Massimo Tedeschi, direttore della rivista della Fondazione. Massimo Lanzini, pure giornalista, specialista di dialetto e dialetti, prende il posto dell’indimenticabile Costanzo Gatta nel «Concorso dialettale» relativo ai Santi Faustino e Giovita.

Cosa c’è all’orizzonte adesso?
La priorità, in generale, è precisamente una: vogliamo dare alla brescianità un’allure di ampio respiro.
Al di là dell’anno da Capitale della Cultura, ad ampio raggio è in atto da tempo una rivalutazione, una ridefinizione della cultura di Brescia.
Io appartengo a una generazione che a scuola non poteva parlare in dialetto. Sono cresciuta a Berzo Demo e traducevo dal dialetto per esprimermi regolarmente in italiano. Mentre il dialetto a scuola era scartato, tuttavia, i poeti dialettali sono cresciuti enormemente, a partire da Pier Paolo Pasolini con le sue poesie a Casarsa.

Tanti anni di insegnamento: come sono cambiati gli studenti di generazione in generazione?
Checché se ne dica per me i ragazzi non sono cambiati tanto, anzi, non sono cambiati affatto. Sono quelli di sempre: se sentono che tu insegnante sei aperta nei loro confronti e li capisci davvero, ti seguono e la loro stima ti gratifica ogni giorno. Sono contentissima.

La chiave è l’apertura mentale?
Sì, sempre. Io vengo da un mondo cattolico privo di paraocchi, il mondo di don Fappani. Per esempio abbiamo fatto un libro con Michele Busi sui cattolici e la Strage: gravitiamo costantemente in un’area in cui non bisogna esitare a mettersi in discussione. Nel nostro Comitato Scientifico siamo tutti liberi battitori. Alla fine quello che conta è la preparazione, lo spessore.

Discorso logico ma controcorrente, nell’epoca di TikTok e della soglia di attenzione pari a un battito di ciglia.
Vero. All’università quando devo spiegare una poetica agli studenti propongo degli hashtag: #Foscolo, #illusioni, #disillusioni... Mi muovo sapendo di rivolgermi a chi è abituato a ragionare e ad esprimersi in 50 parole. Poi magari vengono interrogati e sanno tutto, ma devono partire da lì. I tempi cambiano e oggi funziona così.

Oggi a che punto è la Civiltà Bresciana, estendendo il concetto al di là della Fondazione?
Brescia ha sempre dovuto lottare, correre in salita, con la sua provincia così vasta e mutata nei secoli. Storia di dominazioni e resistenze, di slanci e prove d’ingegno. Adesso nella nostra Fondazione abbiamo persone di Cremona e Mantova, ci stiamo allargando, aprendo alle novità anche in questo senso. Così si può diventare meno Milano-centrici. Fieri delle nostre radici, ma senza paura di cambiare. Per crescere in un mondo che evolve rimanendo popolari. Per preservare la nostra cultura con lo sguardo proteso al futuro, sapendo che Brescia ha una grande qualità: può contare su una trasversalità di fondo a livello di rapporti intrecciati di stima che prescindono da ogni forma di appartenenza politica. Convergenze parallele virtuose che contribuiscono ad un gioco di squadra allargato.

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